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Da dove nasce la voce di un brand

I marchi sono online insieme a noi, ci parlano e ci ascoltano. Abbiamo chiesto a un’esperta dove trovano il loro carattere

Illustrazioni_2011-44.pngFacebook ha oltre un miliardo di utenti. Il social network cinese QZone ne ha 630 milioni. Instagram 300 milioni. Twitter 280. Tumblr 230. Pinterest 70 milioni. I social network sono le grandi nazioni del web, dove milioni di persone si incontrano tutti i giorni, parlano, discutono, si scambiano informazioni, link, video, immagini. In mezzo a tutta questa gente, però, si infilano anche altre entità: i brand. Piccoli e grandi marchi, dai detersivi ai biscotti, passando per le bibite e i fast food, che anche online cercano di fare pubblicità. Ma invece di creare giganteschi cartelloni che sponsorizzano i propri prodotti, sui social network, i brand si allontanano dal linguaggio distaccato della pubblicità tradizionale e cominciano a parlare come noi. Ancora di più, iniziano a parlare con noi. Per farlo, devono trovare una voce e un’identità. Diventare, in qualche modo, persone.

Paola Guarneri è una digital strategist di Social@Ogilvy, la divisione di Ogilvy & Mather (una delle agenzie di pubblicità più importanti del mondo, Network of the Year al festival della pubblicità di Cannes nel 2012, 2013 e 2014) che si occupa di strategie digitali con particolare attenzione per i social media, da Facebook a Twitter, da Pinterest a YouTube. Parte del suo lavoro è proprio quello di aiutare i brand a trovare una voce, arrivando nel modo giusto sui social network, parlando alla persone come persone. Le abbiamo chiesto di raccontarci come si fa.

Cosa fa un brand quando vuole andare sui social network?

I brand hanno la necessità definire la propria personalità: quell’insieme di obiettivi, tono di voce e atteggiamenti che utilizzeranno poi all’interno dei diversi canali social, un tono di voce. D’altronde ci troviamo in un luogo che, come dice il nome stesso, è un “media sociale”. Essere sociali vuol dire instaurare una relazione. E la relazione con una persona la instauri su dei valori condivisi.

Ma è qualcosa che tutti i brand possono fare? Un detersivo può avere un carattere? Avere dei valori? Non è una forzatura?

Illustrazioni_2012-108.pngL’errore sta nel pensare al detersivo in modo neutro e distaccato, come qualcosa di esclusivamente pratico e senz’anima. Perché un detersivo si differenzi è necessario che abbia un carattere distintivo con cui gli utenti possano empatizzare. I detersivi non sono tutti uguali, hanno dei valori aggiunti a livello di formulazione, che spesso impattano in modo importante su tutto l’impianto di marketing e comunicazione con cui vengono raccontati al pubblico. Sono diversi nel modo in cui possono dare una mano alle casalinghe, ad esempio. E di conseguenza Dash non parla allo stesso modo di Dixan.

Uno dei clienti che seguo, ad esempio, è un brand di detersivi, con una gamma green di prodotti ecosostenibili e biodegradabili, con un posizionamento vicino al mondo delle mamme. Non può parlare in modo neutro e asettico, nel prodotto stesso c’è un impegno e un trasporto che bisogna andare a comunicare e a trasmettere. Lo trasmetti caratterizzando il brand con una specifica personalità.

Questa personalità nasce dall’essenza di quello che è il brand: quali sono i suoi valori, i suoi obiettivi e la promessa che vuole mantenere nei confronti degli utenti. Un nucleo che lo differenzia, che lo rende unico e che soprattutto consente di creare una relazione vera e genuina con le persone. Poi ovviamente essendo un carattere vero e proprio ha diverse sfaccettature che si mostrano a seconda delle circostanze e dei canali in cui il brand comunica.

Non c’è anche un lavoro fatto a partire dalle persone che il brand vuole raggiungere?

Be’, trattandosi di un dialogo e non di un monologo, così come non si può prescindere dall’avere “un carattere” ben definito, non si può prescindere dal prendere in considerazione anche gusti, necessità e comportamenti degli utenti a cui il brand si rivolge. Per capire queste cose abbiamo in mano strumenti diversi. Analisi di settore sia qualitative che quantitative. E poi il web e i social media ci consentono l’uso di un altro strumento che trovo meraviglioso: l’ascolto della rete. Esistono degli strumenti specifici che permettono di andare a vedere quanto e come le persone parlano online (su social media e blog) di un determinato brand o di argomenti più ampi come ad esempio intere categorie di prodotti ma anche argomenti più quotidiani.

Leggendo le conversazioni degli utenti possiamo intercettare tensioni culturali, bisogni pratici ma anche semplicemente capire quali sono rispetto a un tema gli argomenti che generano maggiore interesse. Da qui nascono gli spunti che un brand intelligente può sfruttare. Basta porsi una semplice domanda: io che sono questo tipo di brand, che cosa posso dire a queste persone che hanno questo tipo di interesse e queste necessità?

Questo non porta i brand a essere un po’ populisti? ..

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