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Co-branding e brand collaboration: quando l’unione fa la forza

l'opinione di

Stefania Boleso

Oggi tutto è comunicazione (e la comunicazione è tutto). Ne sono fermamente convinta: accanto agli strumenti tradizionali, ogni attività che l’azienda porta avanti può trasformarsi in un importante touchpoint di comunicazione, per farsi notare e ottenere l’attenzione del pubblico.

Tra le varie iniziative, negli ultimi anni è tornato alla ribalta il fenomeno del co-branding, vale a dire della creazione di un nuovo prodotto grazie alla cooperazione tra due brand.

Il co-branding esiste da oltre vent’anni o forse più. È stato il mondo della moda, dopo un periodo di semi oblio, a dargli nuovo lustro e a capire che poteva rappresentare un formidabile strumento di comunicazione.

Cosa fare per creare un picco di attenzione, accanto alle attività più classiche, quindi sfilate, operazioni di influencer marketing, campagne media tradizionali? Come far parlare di sé nei momenti in cui c’è poco da dire? Semplice, attraverso la collaborazione con un altro brand.

Se poi la collaborazione viene realizzata con l’intenzione di riuscire ad ampliare il rispettivo pubblico di riferimento e raggiungere una nuova audience, diventa ancora più interessante: non c’è solo un obiettivo di comunicazione, ma anche di posizionamento e potenziale sviluppo del business.

Gli esempi sono molteplici: pensiamo a Louis Vuitton x Supreme, Dior x Air Jordan, Gucci x The North Face o al recentissimo Balenciaga e Under Armour, per citarne alcuni.
Ai brand del lusso interessa posizionarsi nel mondo dello streetstyle o del cosiddetto athleisure (abbigliamento originariamente pensato per le attività sportive e il tempo libero che viene indossato anche in contesti non sportivi e più formali), perché si tratta di segmenti in crescita, soprattutto presso un target più giovane, ma non solo, mentre i loro “partner” sono interessati ad elevare il proprio percepito, spostandosi verso il cosiddetto affordable luxury.

In alcuni casi il co-branding è più “estremo”, e quindi ancora più destinato a generare l’effetto sorpresa e a mettere in moto il passaparola, soprattutto tra gli appassionati del genere: pensiamo all’edizione limitata delle famose scarpe Air Force 1, nate dalla collaborazione tra Nike e Tiffany & Co nel 2023, andate sold out in pochi minuti.
Spesso questi co-branding fanno leva sul cosiddetto FOMO (“fear of missing out”, la paura di essere esclusi, tagliati fuori) e quindi spingono le persone a cercare di ottenere il prodotto a tutti i costi, così da dimostrare (in primis agli altri, ma anche a se stessi) di far parte di una cerchia di eletti.

Anche il largo consumo non è stato risparmiato da questo trend, ma forse qui si è sentito meno l’effetto FOMO, perché in questo settore esiste meno il coinvolgimento emotivo nei confronti dei brand che esiste invece in altri settori, moda in primis: potrei parlarvi della collaborazione tra Rummo e Fendi, Barilla e il brand di moda GCDS, oppure di Oreo e SuperMario (sì, proprio il videogioco) e tanti altri ancora. Basta farsi un giro in qualunque supermercato per rendersene conto.

Come però spesso succede quando tanti brand fanno ricorso allo stesso strumento, è sempre più difficile differenziarsi.

E allora cosa si può fare?

Penso che ancora una volta che tutto parta dalla comprensione dei bisogni del pubblico e di conseguenza di ciò che può davvero portargli valore. Naturalmente non parlo di un valore economico, quanto piuttosto emozionale: solo operazioni di co-branding che sono in grado di intercettare i trend, inserirsi in maniera credibile e diventare di conseguenza rilevanti presso il target che si vuole intercettare possono sperare di riuscire a superare il cosiddetto “rumore di fondo”, essere cioè notate, ricordate e, perché no, rappresentare anche un’interessante opportunità di business.

Un esempio su tutti: nel 2020, la modella Gigi Hadid ha pubblicato un video su Instagram dove mostrava come preparare una pasta piccante con vodka e pomodoro. Il suo gesto è diventato un trend virale su TikTok, dove migliaia di utenti si sono cimentati nella preparazione della loro versione del piatto.

Per cavalcare questo trend e per consolidare la sua posizione nel mercato dei sughi pronti, in cui era entrato solo l’anno precedente, Heinz, il famoso brand di ketchup (e altre salse), ha realizzato nel 2023 una collaborazione con Absolut Vodka, mettendo sul mercato in UK un sugo al pomodoro e vodka in edizione limitata (“Heinz x Absolut Tomato Vodka Pasta Sauce”) e comunicato l’attività di co-branding in maniera eccellente, con immagini e testo che ricordava le iconiche comunicazioni di Absolut Vodka popolari negli anni Ottanta e Novanta.

Il risultato? Strepitoso.

In Gran Bretagna il prodotto ha venduto oltre 55 unità a settimana per negozio, rispetto a una media di sette nella categoria, e generato un aumento delle vendite del 52% per l’intera gamma di sughi, registrando il tutto esaurito sia online che in negozio. Heinz ha conquistato una quota di mercato del 24% durante il periodo di lancio, diventando così il brand leader di sughi per pasta nei supermercati.
Come se non bastasse, i sughi Heinz hanno addirittura superato il ketchup per diventare il prodotto più venduto dell’azienda (fonte MarketingWeek)

Non tutti sono Heinz e non sempre capita un’occasione così ghiotta… È innegabile però che esistono micro e macro trend sotto gli occhi di tutti, quindi basta saper osservare ed ascoltare, per riuscire a creare co-branding che siano in grado di andare oltre i famosi 15 minuti di celebrità, per diventare davvero memorabili.