economia

Umanesimo industriale

Il mondo dell’impresa può adattarsi alle sfide della contemporaneità con un capitalismo inclusivo

Guerra in Ucraina, pandemia, emergenza climatica, crisi degli approvvigionamenti. Le estreme criticità di questi anni costringono gli Stati a un cambio di paradigma delle relazioni politiche e dello sviluppo economico e sociale. È necessario tracciare nuove rotte della conoscenza, per ricalibrare ciò che consideriamo “progresso”.

«Dall’inizio degli anni ‘80 c’è stata una corsa al profitto rapido, anche attraverso un uso estremo della finanza-per-la-finanza, quindi non l’impresa, la cultura della produzione e dello sviluppo sociale, ma fare soldi partendo dai soldi», dice a Linkiesta Antonio Calabrò, senior vice president Affari istituzionali e cultura di Pirelli e direttore della Fondazione Pirelli, autore del saggio “L’avvenire della memoria. Raccontare l’impresa per stimolare l’innovazione” (Egea).

Calabro_Linkiesta_Articolo.jpg Nel suo libro, Calabrò indica l’esigenza di un capitalismo più inclusivo, perché gli ultimi decenni hanno esasperato alcune disuguaglianze, sia tra Stati sia all’interno dei singoli Stati. «L’idea – prosegue – era che generando ricchezza poi qualcosa “percolasse”, per usare un termine caro alla scuola di Chicago. Però non ha funzionato. C’è stata una serie di conseguenze: crisi ambientale, disuguaglianza, messa in crisi di meccanismi di produzione capitalisti».

Criticità che avrebbero dovuto suonare come un campanello d’allarme: il capitalismo non avrebbe più potuto inseguire solo un’ideale ricchezza, ma avrebbe dovuto trasformarsi in una versione più inclusiva.

L’ultimo capitolo de “L’avvenire della memoria” è dedicato all’ideale dell’inclusione nell’impresa: il ruolo della donna, o «scrivere con mano più femminile gli equilibri della qualità della vita», perché in questi anni, spiega l’autore, «sono state privilegiate posizioni di rendimento di vecchi poteri e vecchi equilibri, si sono tenute da parte risorse straordinarie intellettuali e umane».

Nel libro, l’industria italiana è centrale, protagonista. L’autore ce la racconta in perenne movimento, una metamorfosi costante che deve recepire le trasformazioni dell’innovazione e della tecnologia.

«La premessa da fare è che il mondo dell’impresa italiana è molto migliore della sua rappresentazione», spiega Calabrò. «Non perché non manchino problemi, come le morti sul lavoro. Ma la percezione dell’opinione pubblica è che la parola impresa sia legata alla parola affari, speculazione, sfruttamento, invece la si dovrebbe accompagnare a inclusione, sostenibilità, ricchezza diffusa, welfare, lavoro, innovazione».

Per fare questo è necessario impiantare e radicare un nuovo umanesimo digitale. La tecnologia da sviluppare adesso è quella che valorizza l’uomo, la persona, il valore aggiunto che una macchina non può dare. Che però non è un ritorno al passato. Anzi, bisogna andare esattamente nella direzione opposta.

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