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04. Le strade da seguire

Sulle direzioni da intraprendere Cristini pone l’accento su alcune questioni prioritarie. La prima è l’aumento della produttività per referenza. I segnali sono inquietanti. Solo il Superstore ha aumentato la produttività media di tre punti nell’ultimo anno, il Supermercato ne ha persi 3 il Discount 7 e l’Ipermercato addirittura 8.

Ma se la riduzione di prezzo non paga e soprattutto riduce i margini, occorre che le referenze siano più conosciute. «Occorre sviluppare azioni di marketing nei punti vendita, attraverso la comunicazione in sinergia con l’insegna, il confronto con altri prodotti teso a qualificare la MDD nei confronti della marca industriale, anche con un’azione muscolare, la migliore connotazione a livello di display e panorami. E poi è necessario ampliare l’assortimento e il presidio delle categorie in più forte sviluppo puntando anche su modelli culturali più avanzati (la cucina locale, l’ambiente, la sostenibilità attraverso il bio e il naturale), la funzionalità (take away, servizio), il progetto salute (integratori, ricostituenti, calmanti, circolazione, digestione). Le insegne eccellenti orientate alla MDD sono in grado di aumentare la quota della MDD avvicinandosi alla media europea, migliorare gli indicatori economici più rilevanti, in particolare la marginalità, qualificare e differenziare la propria offerta, rafforzando il posizionamento competitivo nel mercato distributivo italiano».

E proprio le differenze tra i diversi stadi di avanzamento nello sviluppo della marca del distributore sono emerse tra i retailer chiamati a commentare i risultati dell’Osservatorio.

Così il direttore del prodotto a marchio Coop Domenico Brisigotti ha segnalato che il fenomeno congiunturale descritto dai dati potrebbe durare per diversi anni e che, sebbene per Coop la quota sia stata del 27%, in crescita di tre punti, sarà «fondamentale costruire valore attorno alla marca del distributore con tutte le leve disponibili concentrando gli investimenti sua ciò che sta attorno alla private label», sviluppando le categorie premium, bio, infanzia, ma anche il mondo salute.

L’amministratore delegato del Gruppo VéGé Giorgio Santambrogio, al contrario, si chiede se per strutture come quella che lui rappresenta non sia più corretto contenere il numero delle referenze più performanti nelle categorie e nei territori per aumentare la produttività. Mentre Davide Cozzarolo, direttore commerciale e marketing Sigma, mette l’accento sull’equity tra valore del prodotto e valore dell’insegna con una presenza anche cross format e nei reparti a vendita assistita.

Marco Bordoli, anmministratore delegato di Crai aggiunge qualche considerazione in più sul posizionamento della MDD in rapporto alle marche industriali. «Abbiamo sempre ritenuto che la Mdd dovesse erodere quote di mercato ai follower e che le marche leader fossero intoccabili. Quando la MDD ha cominciato a entrare nei territori di queste ultime, la reazione è stata quella del pricing, della promozione, dei nuovi prodotti volti ad attaccare la MDD. È necessario un cambiamento che consideri la MDD non più una cash cow per ripagare i costi di logistica, del personale e altro, ma un generatore di risorse che vanno reinvestiti per aumentarne la quota».

Sul fatto che debba cambiare il ruolo della MDD conviene anche il direttore generale di Selex Maniere Tasca, che chiosa: «Ridurre il differenziale di prezzo con i prodotti di marca non è sostenibile e siamo rimasti alla mercé del leader. Questo approccio dell’Idm con uno shift dagli investimenti in comunicazione e innovazione a quelli in promozione e prezzo deroga dal ruolo che dovrebbe avere. Ci aspettiamo che si ampli il differenziale di prezzo con l’Idm in funzione delle categorie, ma riguardo al posizionamento di prezzo non possiamo prescindere dal considerare la situazione competitiva sulle singole piazze».

Il nervo sensibile per i retailer, insomma, è l’eccesso di promozionalità dei brand (alla cui crescita peraltro hanno una buona dose di responsabilità). Così Francesco Pugliese parla di «promozioni come cocaina della grande industria e della distribuzione italiana: a un certo punto non puoi più tornare indietro» e auspica piani di riduzione della pressione promozionale per investire di posizionamento di continuità per differenziarsi in alcune categorie. E l’amministratore delegato di Unes Mario Gasbarrino, che ha fatto la scelta dell’every day low price, definisce stupido concentrare energie sulle attività promozionali, perché «la bomba atomica delle promozioni ci ha fatto dimenticare che il cliente sceglie non per le promozioni ma per altre leve a disposizione del retailer, cioè la modalità espositiva, gli assortimenti, la qualità dell’offerta. I problemi veri sono altri. Per esempio che davanti allo scaffale bisognerebbe trovare la giusta varietà di offerta, mentre oggi i prodotti sono uno uguale all’altro o l’opportunità di modulare gli assortimenti con una certa logica che premi per esempio il regionalismo».

In tutto questo le prospettive per il 2015 lasciano qualche spiraglio di luce sull’andamento dei consumi. «Il prezzo del petrolio in calo - afferma Fedele De Novellis, chief economist di REF Ricerche - rappresenta una discontinuità di cui prendere atto. Il potere di acquisto delle famiglie potrebbe avere un vantaggio innescando un possibile primo incremento dei consumi grazie a un impatto sui prezzi finali che potrebbe arrivare all’1,5%. La filiera del food potrebbe trarne vantaggio». Ma il condizionale è d’obbligo.