sostenibilità

Il lungo viaggio nella sostenibilità

Al centro del terzo appuntamento con Green Retail Lab le domande cruciali per passare dalle parole ai fatti in tema di sostenibilità. I consumatori ne sono consapevoli, le imprese devono fare di più

Passare dalle parole ai fatti in tema di sostenibilità è una responsabilità primaria per le imprese, in particolare nella filiera food, insieme al tessile-moda, tra quelle a maggiore impatto ambientale. E chi dovrà fare da guida? Quali strumenti e innovazioni organizzative bisogna mettere in campo? Quali obiettivi sono più rilevanti per il contesto delle imprese? Sono i temi del terzo appuntamento con il Green Retail Lab organizzato da Retail Institute Italia, espressamente dedicato alla filiera alimentare sostenibile.

Per Andrea Alemanno, group director Ipsos, la sostenibilità oggi è «il tema dei temi», perché non se ne può più fare a meno. Le istituzioni hanno ormai tracciato un percorso preciso, dagli Sdg dell’Onu al Green Deal europeo, con il Piano d’azione per l’economia circolare e la strategia Farm to fork. Ora resta da mettere in pratica gli enunciati con gli strumenti già previsti, il Next generation Eu e, per l’Italia, il Pnrr. Le istituzioni stesse, insieme al mercato (concorrenza e supply chain) e ai consumatori e cittadini spingono le imprese a percorrere la strada della sostenibilità. «C’è ancora un terzo delle aziende che non se ne sta occupando, ma pagheranno duramente questa scelta attendista, perché, non dimentichiamolo, la finanza, con gli indicatori ESG, sta già premiando quelle che hanno adottato pratiche sostenibili», puntualizza Alemanno.

Il consumatore decide nel carello

Del resto per il 58% dei consumatori italiani la sostenibilità è un aspetto importante negli acquisti, senza particolari differenze di censo, laddove a livello internazionale è un concetto più sentito dalle classi più elevate (52% contro 42% del totale), e si trasforma in driver di fiducia, assimilandola alla qualità del prodotto. Aumenta anche l’attenzione personale ai temi della sostenibilità, in particolare evitare gli sprechi, evitare prodotti con packaging ridondanti, ridurre l’utilizzo dell’auto e degli aerei, consumare meno carne e latticini (48% e 39% rispettivamente degli italiani), individuando come elementi critici nel settore alimentare l’allevamento, il packaging e il suo smaltimento. E sebbene il 51% ritenga che le aziende non stanno facendo abbastanza, il 55% è disposto a pagare di più per proposte etiche e sostenibili.

Dove agire? Si fa tanto nel settore alimentare, ma molto si potrebbe ancora fare: limitare lo spreco di cibo, offrire un equo compenso ai lavoratori, limitare l’uso della chimica, la deforestazione, l’eccessivo uso delle risorse idriche, tra le altre azioni possibili. «Per passare dalle parole ai fatti – conclude Alemanno – occorre offrire prodotti e servizi sostenibili, promuovere l’apertura e l’attivismo interno alle aziende, prestare attenzione alla supply chain, usare la tecnologia come abilitatore, identificare e impegnarsi in obiettivi misurabili».

Figura 1 - Le azioni di miglioramento delle imprese per la sostenibilità nel food

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Fonte: Ipsos “Green Retail Lab” 2021

Un particolare osservatorio di come le aziende comunicano il proprio agire è quello dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy che ogni sei mesi (è giunto alla nona edizione) offre nuove viste sulle abitudini di consumo degli italiani attraverso le informazioni presenti sulle etichette di 126mila prodotti venduti nei supermercati e negli ipermercati, incrociate con i dati di mercato, di consumo e dei media forniti da Nielsen. «Le etichette sono in maniera molto evidente degli strumenti di comunicazione con la presenza di informazioni obbligatorie e facoltative, i claim, che consentono di registrare i cambiamenti dei trend», afferma Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy. «Tra i claim, presenti spesso più di uno per volta, in qualche caso fino a oltre sette generando qualche confusione per eccesso di informazione, la sostenibilità si ritrova in 26.100 prodotti che costituiscono il 26% delle vendite, in crescita nel 2020 del +7,6%. È una sostenibilità che si declina in diverse sfumature, ma alcuni claim si dimostrano più dinamici come “senza antibiotici”, che dall’iniziale mondo avicunicolo (pioniere al riguardo è stato Coop Italia, ndr) si sta estendendo ad altri comparti dell’allevamento, “meno plastica”, “risparmio di CO2”. Aumentano anche gli attributi legati al packaging “con materiale riciclato”, “biodegradabile”, “compostabile”». Riguardo alle confezioni, l’Osservatorio Immagino ha calcolato che un italiano medio in un anno produce 50 chili di packaging relativo alla sola spesa grocery da smaltire. E il largo consumo è particolarmente sensibile a questa problematica: un prodotto su tre riporta informazioni sul riciclo delle confezioni (diventa uno su due nel reale carrello della spesa), l’83% di esse è totalmente o largamente riciclabile e il numero dei prodotti che comunicano la riciclabilità aumenta in tutte le merceologie.

Figura 2 – Quota numerica dei prodotti in cui è comunicata la riciclabilità del packaging

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Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy “Green Retail Lab” 2021

«Tutte le imprese si stanno muovendo – riprende Cuppini – ma val la pena sottolineare che le MDD (le marche dei distributori) sono più attente e si sono mosse prima di altri sulla comunicazione della riciclabilità dei packaging e che gran parte delle informazioni avvengono dietro gli interventi del legislatore, che proprio recentemente ha varato un provvedimento per inserire la composizione dei materiali del pack in etichetta».

Il ruolo dell’etichetta narrante è anche centrale per Alce Nero, pioniere del biologico, per raccontare il territorio, le modalità di coltivazione, l’impiego delle risorse per la produzione e il ruolo delle persone: «È anche una sfida culturale per fare entrare in relazione il consumatore con ciò che sta mangiando», sottolinea Chiara Marzaduri, responsabile comunicazione ed eventi Alce Nero. Per Too Good to Go, la piattaforma che mette in contatto gli esercizi della distribuzione con i consumatori che possono ritirare prodotti freschi invenduti (magic box) a un terzo del prezzo, l’etichetta diventa consapevole con l’apposizione di una ulteriore specifica per aiutare i consumatori a comprendere in maniera più efficace se un prodotto sia ancora buono oltre il termine minimo di conservazione, contribuendo così a ridurre lo spreco di cibo a livello domestico, che oggi pesa per il 53% di tutto lo spreco alimentare.

Un futuro da leader per la Distribuzione?

GreenRetailLab_luglio.pngIn questo contesto di aumentata rilevanza della sostenibilità per le imprese e per i consumatori (su 57 valori personali fondamentali il rispetto per l’ambiente è il sedicesimo per importanza, in crescita di 11 posizioni dal 2016, secondo il Consumer life global 2020 di Gfk), il dibattito si sta spostando, secondo Guido Cristini, professore Retail lab - Università di Parma, sui contenuti e su come progettare la nuova strategia cercando di definire le priorità e le scelte dei modelli da utilizzare in termini di implementazione, anche perché alcune decisioni richiedono investimenti, scelte di priorità, processi condivisi. «Per la sostenibilità la filiera alimentare è centrale ma ha un grado di complessità elevata (si pensi alla strategia Farm to fork), e per creare valore sulle scelte sostenibili è necessaria la collaborazione di tutti gli attori presenti nella filiera. C’è però bisogno di qualche innovatore che possa richiamare gli altri a fare scelte fondamentali. Può essere la Distribuzione?», si chiede Cristini.

Con i suoi 60 milioni di clienti ogni settimana la Distribuzione dimostra una crescente sensibilità in questa direzione, tanto che l’adozione di strategie improntate alla Csr è diventata una leva strategica per il successo delle aziende distributive. La sottoscrizione di protocolli di intesa con associazioni, enti e istituzioni, ultimo dei quali con Coripet per la promozione dell’installatore di ecocompattatori presso i punti vendita è l’esempio del percorso intrapreso da Federdistribuzione nel supportare e coordinare le imprese verso iniziative di settore. «La Marca del distributore, poi, è lo strumento principale della distribuzione moderna per contribuire e una visione sostenibile del paese», afferma Carlo Alberto Buttarelli, direttore ufficio studi e rapporti con la filiera dell’associazione che rappresentativa delle imprese della distribuzione moderna per 67 miliardi di euro di fatturato aggregato. Protagonista nel carrello della spesa, «la MDD esercita una funzione di indirizzo e di stimolo nei confronti delle aziende partner verso un modello di produzione sostenibile e circolare con l’introduzione di requisiti specifici, rafforzandone anche la dimensione industriale e competitiva, con una correlazione positiva tra incidenza della MDD sul fatturato totale e l’attenzione alla sostenibilità ambientale delle aziende MDD partner. Inoltre svolge un ruolo di garante della sostenibilità verso il consumatore, innovando continuamente l’offerta per rispondere ai nuovi stili di consumo e ai principi di benessere e salute. Da ultimo la MDD ha un impatto diretto o indiretto su tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e su 71 dei 169 target complessivi».

Figura 3 – Il ruolo virtuoso della MDD nei confronti delle aziende partner

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Fonte: Federdistribuzione da Teh Ambrosetti “Green Retail Lab” 2021

Reti integrate e change management

Per Cristini «il processo verticale di filiera è messo in discussione a favore di modelli reticolari complessi, nei quali l’interconnessione è continua e il valore è condiviso con la società. Quindi la creazione di valore dipende dalla capacità di comunicare quanto realizzato con strumenti avanzati e linguaggi nuovi (trasparenza, informazione, garanzia, fiducia). Per la Distribuzione, come dimostra l’attività intrapresa da tempo da Esselunga, si tratta di agire per passi successivi identificando le iniziative rispetto ai goal da presidiare, individuare i gap, selezionare gli strumenti da adottare e le innovazioni organizzative da realizzare, misurare e verificare i risultati».

Su questo punto concorda anche Giovanni Ravelli, project leader area sostenibilità Scs Consulting secondo il quale oggi è sempre più importante parlare di agire sostenibile, un percorso necessario per affrontare i dilemmi che la sostenibilità pone alle imprese che decidono di affrontarla. Quali? La contrapposizione tra gli interessi degli stackeholder e quelli degli azionisti, la coerenza tra ciò che si realizza e ciò che si comunica, tra greenwashing e strategia di sostenibilità, tra la riduzione dei costi e la corretta remunerazione di filiera. «Il contesto richiede di sviluppare approcci di change management volti a favorire l’agire sostenibile in azienda, a partire dalla definizione degli obiettivi e della strategia e attraverso il coinvolgimento attivo delle persone (management, dipendenti, stackeholder esterni). C’è bisogno di individuare un change agent o sustainability ambassador in grado di promuovere l’integrazione nel modus operandi dell’azienda di comportamenti coerenti con gli obiettivi strategici di sostenibilità dell’impresa».

È un percorso lungo, che non termina mai, perché, come sottolinea Emanuela Raimondi, amministratore delegato Gruppo Felsineo, specialista della mortadella che ha avviato anche la produzione nel settore delle proteine vegetali come scelta per promuovere una dieta flessibile, «è un percorso di crescita continua al quale tutti i reparti dell’azienda partecipano, e per questo richiede una visione di lungo periodo».

Un altro esempio è la Carta della sostenibilità recentemente pubblicata da Cameo, nella quale l’azienda definisce i valori e gli impegni secondo tre pilastri: le ricette appaganti ma nutrizionalmente equilibrate (our food), la definizione di standard sostenibili per la materia prima (our world), l’impegno per il lavoro sicuro, l’inclusione, la pari opportunità e la diversità (our company). «La carta della sostenibilità, adottata da Cameo per tutti i paesi e tutti i brand, è lo strumento che definisce che cosa vogliamo fare per esserci domani», spiega Federica Ferrari, executive manager corporate communication Cameo. E sono già 27 i progetti in atto per raggiungere i traguardi definiti, tra cui la lotta allo spreco, sia migliorando del 25% l’efficienza produttiva entro il 2025, sia coinvolgendo i cittadini con la campagna “Sensi di colpa” per sensibilizzarli contro lo spreco della frutta, recuperando quella brutta: 600 tonnellate di vegetali sono buttati infatti ogni anno solo per motivi estetici.

«Il viaggio nella sostenibilità – conclude Cristini – è una grande opportunità per migliorare collettivamente il sistema economico e sociale. Le risorse ci sono ma richiedono un sistema integrato di filiera per condividere gli obiettivi, raggiungibili attraverso la cultura d’impresa orientata all’innovazione, lo sviluppo di competenze nuove, la condivisione dei progetti con clienti e azionisti, la costituzione di sistemi di rete integrati e di relazioni stabili».

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab

Prossimo e ultimo appuntamento:

  • 3 novembre “Green Retail LAB. Il negozio sostenibile”. 
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