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Marca del distributore: innovare per credere

Quali i trend e quali le strategie? Se ne è parlato a Marca 2018.

A Marca 2018 sono stati presentati i più recenti trend dei prodotti a marchio del distributore.

Gian Maria Marzoli, vice president retail IRI, ha analizzato alcune categorie incrociando i dati della banca dati Iri con quelli di Immagino (il servizio di digitalizzazione delle informazioni in etichetta di GS1 Italy). «Nell’alimentare le linee dedicate non sono più nicchie e i trend sono consistenti. Nel menu abituale degli italiani i prodotti d’alta gamma e quelli specialistici sono sempre più presenti e generano valore nel carrello della spesa. Le MDD interpretano bene questi trend e li stanno cavalcando bene».

Abbiamo qualche esempio.

Nei prodotti a ridotto contenuto di grasso la MDD è cresciuta del 18,4% negli ultimi due anni superando il 10% di quota, mentre l’Idm è aumentata del 7% e il mercato delle categorie considerate dell’8%.  Anche nei prodotti dermatologicamente testati traina la crescita (+29,6% in due anni, contro il +4% dell’idm e il +7,7% del mercato). Nei prodotti ecologici biodegradabili, la MDD mantiene un posizionamento competitivo rilevante, aumentando le vendite del 15%, alle spalle però dell’Idm che le ha aumentate del 24%, pur in presenza di un arretramento delle 30 categorie analizzate. La MDD è invece leader di mercato nei prodotti biologici con una quota del 41,2%, sostenendo le vendite in categorie che complessivamente nell’ultimo anno sono in flessione. Anche la quota a valore della MDD sui prodotti biologici è in leggera flessione, a vantaggio dell’offerta dell’Idm.

I fondamenti dell’innovazione nelle MDD

L’innovazione si conferma, quindi il principale driver di crescita della marca del distributore. Anzi, è la vera sfida per la gdo.

Secondo Guido Cristini, docente di marketing dell’Università di Parma, responsabile scientifico del Rapporto Marca, «il problema vero è attivare l’innovazione in modo che il consumatore la comprenda. In passato l’industria di marca trasmetteva informazioni sui mercati. Oggi i distributori non aspettano più l’industria e in molti settori la distribuzione arriva prima. Chi fa branding risponde ai bisogni e ai desideri del consumatore» attraverso una profonda rivisitazione dei prodotti offerti (per singola tipologia di bisogno). In linea generale, le insegne che hanno incrementato maggiormente la quota negli ultimi anni sono quelle che hanno saputo comunicare gli elementi identitari e distintivi al proprio cliente finale. Hanno poi innovato sul versante degli strumenti di relazione (la tecnologia appare prospetticamente sempre più rilevante) attivando un rapporto continuativo con una parte sensibile della domanda.

«Fare innovazione con la MDD – prosegue Cristini – ha tante sfaccettature che riguardano gli strumenti operativi, la valutazione dei responsabili MDD (quote e fatturato) e dei copacker (dimensioni economiche, finanziarie, produttive e legate alla qualità dei prodotti), ma c’è da lavorare ancora sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulla certificazione di qualità e il controllo di filiera, sull’organizzazione del ciclo dell’ordine. L’innovazione riguarda anche l’equity dell’insegna e della MDD (ormai una marca) e il miglioramento della brand awareness complessiva».

Un’insegna che intende innovare in termini assortimentali deve quindi prendere decisioni consapevoli sulla scorta di informazioni a disposizione. Pertanto le insegne best in class hanno costruito un sistema di alimentazione delle informazioni più rilevanti, anche sulla scorta di fonti esterne di diversa natura (concorrenti, partners, società di ricerche di mercato, copacker, stampa di settore). L’innovazione tecnologica e digitale deve poi essere utilizzata in modo da favorire il fabbisogno informativo crescente del cliente con modalità e strumentazioni nuove.

«Al di là delle organizzazioni – sintetizza Cristini – la cosa importante è mettere in pratica bene l’innovazione sviluppando la strategia in almeno tre direzioni: 

  1. Punto vendita. Se non si crede che la MDD sia il biglietto da visita sul quale l’insegna gioca il proprio valore e la capacità di creare fiducia nelle persone, è meglio lasciare perdere. Nelle insegne eccellenti la strategia è molto chiara.
  2. Serve una organizzazione basata su una cultura forte, con una struttura semplice affinché sia veloce e con meccanismi operativi coerenti, dove siano rapide le decisioni.
  3. Marketing information. Le idee vengono dall'informazione, bisogna aprirsi all'informazione.

Le persone sono quelle che fanno vivere l’innovazione e le variabili del gioco sono quelle organizzative. Soprattutto l’innovazione deve essere realizzata, comunicata e compresa nel punto vendita».

Ne conviene Francesco Avanzini, direttore commerciale Conad: «La capacità di comunicare l’offerta e i valori dell’insegna si integra con le capacità e le competenze di fare il conto economico del prodotto, di fare categoria e comunicare nel punto vendita. In sintesi: fare store brand».

La sfida del mainstream

Non va però dimenticato che l’innovazione motore di sviluppo può e deve essere portata anche sul livello del mainstream, che ancora pesa per l’80% delle vendite della MDD. «Ci attende una sfida di efficienza per mantenere competitività», sottolinea Maniele Tasca, direttore generale Selex Gruppo Commerciale. «Manca ancora una crescita nel mainstream, nel quale occorre recuperare competitività ed è la barriera allo sviluppo dei discounter».

Anche Maura Latini, direttore generale Coop Italia concorda: ««Il maninstream è stato un terreno di lavoro fortissimo per Coop negli ultimi anni, al fine di valorizzare, raccontare e far emergere le storie che stanno dietro i nostri prodotti a marchio e che meritavano di essere raccontate, come la tracciabilità totale di quelli con i maggiori rischi per il consumatore, in linea con ciò che sottende il nostro fare MDD: interpretare al meglio le necessità dei consumatori anticipandone le nuove esigenze e trasferire elementi valoriali con scelte specifiche e precise che influenzino chi produce.

La minaccia oggi arriva da Amazon e dal ruolo dei discount: un cambiamento del contesto competitivo che metterà a dura prova i retailer consolidati. Solo trovando risposte concrete, la gdo riuscirà a fare la propria parte e le MDD mainstream possono giocare un ruolo rilevante».

Non bisogna infatti dimenticare che la quota del 18,7% raggiunta dalla MDD è quella media. Ci sono almeno quattro gruppi distributivi che si avvicinano alle medie europee, ben più elevate.

E se De Molli prevede che il fatturato della MDD crescerà nei prossimi anni toccando una quota di mercato del 20,3%, sostenuta ancora dai segmenti premium e dai freschi, Mario Gasbarrino, presidente e amministratore delegato Unes, non ci sta e sprona i suoi colleghi. «Non esiste una differenza antropologica tra il consumatore italiano e quello europeo. È un problema di offerta», afferma Gasbarrino. «Qualsiasi innovazione ha alcuni minimi comuni denominatori che la inducono: un cambiamento nell’ambiente esterno, una scoperta per fare le cose in maniera più efficiente, qualcuno che invade il campo dell’altro con maggior efficienza. Negli anni Sessanta abbiamo agito nei confronti del commercio tradizionale con una certa dose di arroganza, facendo determinate cose in modo più efficiente a vantaggio dei consumatori. Le nuove tecnologie permettono già oggi a nuovi soggetti economici che non fanno il nostro mestiere di occupare dello spazio che noi lasciamo libero. Così Amazon farà il supermercato a modo suo. E noi retailer stiamo facendo anche i produttori. La marca del distributore non ha più un obiettivo tattico, ma strategico. Se così è, non dobbiamo, non possiamo accontentarci dell’obiettivo di raggiungere una quota del 20%. Sia chiaro che un retailer può anche sopravvivere senza la MDD, ma se si decide di lavorare con la MDD, bisogna porsi un obiettivo forte, smetterla di vestire i prodotti e cominciare a progettarli, inventarli. Con un obiettivo: arrivare al 50%».

A cura di Fabrizio Gomarasca