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02. La Road map per tornare a crescere di TBCG

La lettura della realtà di tre case di consulenza strategica come The Boston Consulting Group (TBCG), Accenture e PwC e l’intervento di Giuseppe Tripoli, capo Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione del ministero dello Sviluppo economico, hanno offerto parecchi stimoli al dibattito che ha chiuso i lavori della mattinata. E anche qualche scossa.

È tempo di cambiamenti…

La prima l’ha data Lamberto Biscarini, partner & managing director di TBCG. «Sono 20 anni che facciamo le stesse cose», ha rimarcato Biscarini, «e, continuando a farle allo stesso modo, è folle pensare che avremo dei risultati diversi».

In una realtà che vede il mondo FMCG intercettare una quota via via decrescente della spesa delle famiglie italiane – situazione comune a tutti i principi paesi occidentali, ma che in Italia è e si prevede sarà anche in futuro più accentuata – la distribuzione moderna italiana (ma lo stesso vale per le imprese agricole e per quelle di trasformazione) è chiamata ad affrontare e a sciogliere, una volta per tutte, quattro nodi che ne deprimono la competitività: frammentazione, conservazione, conflittualità e italo-centrismo. Non farlo mette a rischio la sopravvivenza stessa delle aziende, anche perché la lunga crisi ha modificato a tal punto i paradigmi di consumo da escludere la possibilità di un ritorno alla situazione ex ante nel momento in cui l’economia tornerà crescere.

Dalle parole ai fatti

«Per quanto sia diffusa in Italia la consapevolezza che la frammentazione determini diseconomie di scala», ha affermato Biscarini, «il processo di concentrazione nella filiera delle FMCG non ha fatto progressi significativi nell’ultimo decennio com’era auspicabile, impedendo di liberare risorse da investire in crescita, sviluppo e competitività dei prezzi».

Non abbiamo brillato neppure per innovazione. Salvo rare eccezioni, i nuovi concept introdotti nel nostro paese sono tutti d’importazione. Mentre in Italia ci si è limitati a discettare di nuovi format e di nuovi modelli di relazione fra industria e distribuzione, senza fare il salto di qualità dalla fase di test al roll out, Mercadona in Spagna – è l’esempio portato da Biscarini – ha fatto scelte nette e se n’è assunta i rischi. Il retailer iberico s’è focalizzato sul supermercato di medie dimensioni (1.300-1.500 mq), ha puntato sulle PL, che rappresentano oltre il 50% della sua offerta, sull’every day low price, sull’integrazione verticale con i fornitori, intesa come scambio delle informazioni con più di 100 dei suoi partner commerciali, sulla formazione orientata al cliente del personale e sulla sua motivazione (con salari più alti della media del mercato) e sul coinvolgimento della clientela tramite iniziative di co-marketing e di co-sviluppo. E in 5 anni ha quasi raddoppiato le vendite. Oggi fattura più di 17 miliardi di euro ed è diventato leader di mercato e anche di redditività nella penisola iberica.

Meglio la relazione all’inglese

«Il modello italiano di relazione industria-distribuzione incentrato sulla contrapposizione», ha proseguito Biscarini, «ha dimostrato i suoi limiti. La situazione richiede una semplificazione di questo processo, che si traduca in uno snellimento dei tempi e dei costi della negoziazione e nella possibilità di dirottare le risorse liberate a beneficio del consumatore, della competitività e dello sviluppo. Un modello di riferimento chiaro e facilmente mutuabile esiste già. È quello inglese, basato sulla collaborazione, sulla condivisione dei piani di sviluppo delle vendite nelle singole categorie e sulla verifica trimestrale dei risultati raggiunti in base a indicatori condivisi. Tutto sta a volerlo attuare anche da noi».

I plus dell’internazionalizzazione

Il quarto nodo da sciogliere, per TBCG è quello dell’internazionalizzazione. «Sviluppare business all’estero», ha affermato Biscarini, «è una valvola di sfogo importante per le nostre aziende. Senza andare troppo lontano, i Balcani, il Medio Oriente, la Turchia sono mercati con prospettive di crescita dei consumi e macroeconomiche molto più attrattive di quelle italiane».

Sul fatto che occorra superare la visione italo-centrica concorda in pieno Tripoli. «Tutti», ha detto il rappresentante del governo Monti, «dal piccolo coltivatore diretto alla grande impresa di distribuzione, dobbiamo guardare al mercato globale. Non siamo più un’economia che ha un suo mercato nazionale e una sua derivata che si chiama export. Siamo un’economia che galleggia in un mercato globale e questo comporta che bisogna concepire anche la crescita del mercato interno come una derivata dei fattori internazionali. L’export è certamente una voce che consente all’Italia di reggere, che frena la decrescita del Pil nazionale in questa lunga crisi, ma non dimentichiamo che la politica commerciale ormai si fa a livello europeo non di singolo stato».

Quanto alle misure concrete che il governo Monti sta prendendo a sostegno delle imprese, Tripoli ha elencato la riforma dell’Istituto per il Commercio Estero, che svolgerà il ruolo di cabina di regia dell’internazionalizzazione, coordinando gli sforzi e sinergizzando le risorse a questo scopo destinate dallo stato, dalle regioni, dalle province, dalle camere di commercio e da altri enti. L’introduzione di un credito d’imposta per le assunzioni di personale con titoli di studio particolari e con un alto livello di professionalità. La riforma dell’istruzione tecnica superiore, che consentirà di formare professionalità rispondenti alle reali esigenze del mercato e delle imprese. E ancora il fatto che ha affrontato globalmente la questione dell’agenda digitale e studiato strumenti per attrarre capitali privati sugli investimenti in opere e infrastrutture per renderla realtà.

«L’idea del governo di prevedere incentivi a chi digitalizza», ha concluso Tripoli, «è stato messo in stand by, non abbandonato. C’è e continua a lavorare un tavolo per l’e-business sia B2B che B2C, che studierà forme per promuovere l’estensione dell’uso della moneta elettronica».

A cura di Luisa Contri


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