sostenibilità distribuzione

Il retail trasformativo per la sostenibilità

Per la Distribuzione è tempo di affrontare la sostenibilità con maggiore convinzione e più efficacia, con scelte strategiche che aiutino i clienti a diventare più consapevoli, coinvolgendoli e motivandoli. Il messaggio dal Green Retail Forum

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La dodicesima edizione del Green Retail Forum, organizzato da Planet life economy foundation (PLEF) e che vede GS1 Italy coinvolta nel doppio ruolo di partner del Forum e socia di PLEF, lancia una serie di messaggi chiari e forti: bisogna rapidamente passare ad azioni incisive per contrastare la crisi climatica. Il retail, con i suoi milioni di clienti, deve agire e superare gli ostacoli culturali che ancora lo frenano. È prioritario declinare ancora di più la sostenibilità nella sua chiave sociale, perché discende direttamente da quella ambientale.

Non è casuale che l’invito al retail ad assumersi responsabilità arrivi proprio da un rappresentante della generazione Z. E arriva come uno schiaffo. Martina Comparelli, attivista di Fridays for future, ritiene che il retail sia un anello centrale nella catena produzione-consumo e che possa impattare sulla filiera del cibo e sulla sostenibilità ambientale e sociale, ma che ancora non sia completamente matura questa consapevolezza.

LE AZIENDE COMUNICANO SOSTENIBILITÀ

E molti passi avanti sono stati fatti e proseguono. L’”Osservatorio sulla Sostenibilità nel largo consumo” di PLEF con Distribuzione Moderna sulle notizie comunicate dalle aziende (Distribuzione, Industria, fornitori di servizi) rileva, nel 2021, un deciso incremento nella produzione di informazioni, con una crescita per produttori e fornitori e un rallentamento per la Distribuzione. A fare la parte del leone nella comunicazione sono i processi esterni, cioè gli interventi rivolti all’esterno dell’impresa (cooperazione, filantropia, ecc.) e quelli riguardanti i processi interni (impianti, strutture, risorse umane, certificazione, rendicontazione). Meno rilevanti sono le informazioni su logistica, prodotto, packaging. «I produttori sono più concentrati sui processi interni – spiega Ilaro Ghiselli, consigliere delegato PLEF – mentre i distributori lo sono sui progetti esterni, che, pur essendo prioritari, sono in calo, mentre quelli interni aumentano, soprattutto in ottica di filiera, I distributori, poi, sono focalizzati sull’impatto sociale degli interventi, produttori e fornitori sull’ambiente. Ma nell’ultimo anno si registra maggiore attenzione agli aspetti di impatto economico, riflesso della crisi in corso».

Fig1_GreenRetailForum22.jpgFigura 1 – Comunicazione sulla sostenibilità: settore d’intervento e ripartizione per operatoreFonte: Plef “Green Retail Forum” 2022

Ma come viene comunicata la sostenibilità dalla Distribuzione? Sostanzialmente in maniera poco organica. Ce lo dice Laura Cantoni, fondatrice di Astarea, che ha condotto una ricerca sui siti della GDO: «Oltre a comparire in aree dei siti non immediatamente raggiungibili, se ne parla nell’ambito degli annunci promozionali tradizionali. In questo modo la sostenibilità assume un ruolo adattivo, in linea con i trend e il rispetto delle regole, distante dall’avere un ruolo proattivo in cui un’impresa mette la sostenibilità al centro della strategia. Si punta molto, come abbiamo visto, sulle esternalità, a valle del processo produttivo, nelle quali riscontriamo molto spazio dato ai buoni consigli per buoni comportamenti, volti però soprattutto al risparmio ma non a veicolare modelli di consumo alternativi. La sostenibilità viene messa a terra soprattutto dalla MDD, ma non abbiamo letto né le motivazioni né i suoi benefici specifici. In sostanza, a parte alcune eccezioni, sembra proprio che queste azioni non siano inserite nel racconto della vision e della strategia sostenibile dell’impresa. Occorrerebbe un coinvolgimento più forte per andare tutti nella stessa direzione».

IL RETAIL ALL’OPERA

Non mancano le esperienze di retailer che hanno invece una visione strategica della sostenibilità, come la ricerca Ki-Life di Kiki Lab (Gruppo Promotica) registra ogni anno. Dei quarantotto casi individuati, Natalia Massi, senior consultant dell’istituto di ricerca ne ha selezionati alcuni in quattro aree. «C’è il punto vendita sostenibile di Ikea in Polonia, con il riscaldamento geotermico, l’utilizzo di acqua piovana e dell’illuminazione naturale che ha l’obiettivo di economia circolare totale entro il 2030, di rimettere cioè in vendita prodotti che i clienti portano in negozio e di vendere anche pezzi di ricambio (area vendita sostenibile). La candese Emmydeveaux (abbigliamento femminile) con il programma Fundit produce solo ciò che interessa realmente alla comunità di clienti e non produce in eccesso e la berlinese Infarm produce serre verticali per la coltivazione di piantine e ortaggi al chiuso in ristoranti e supermercati. Ogni serra fa crescere circa 1.200 piantine al mese con un risparmio calcolato del 90% dei trasporti, del 95% di acqua e del 99% di spazio (area produzione circolare). Nell’area del coinvolgimento attivo dei consumatori Trove negli Usa, dove si stima che nel 2024 il 14% delle vendite di abbigliamento sarà di prodotti ricondizionati, affianca brand e retailer nel re-commerce di prodotti usati (area coinvolgimento attivo). Infine nell’area impatto sociale Leroy Merlin con l’emporio fai da noi presta gli attrezzi e dona il materiale di consumo alle famiglie in difficoltà, la cui gestione è affidata a organizzazioni del terzo settore presenti nel territorio dei vari punti vendita. Nel 2021 tramite i 36 empori fai da noi sono stati donati 17.000 prodotti e prestati 1.850».

Sempre in Italia vi sono esempi virtuosi. Coop fa della sostenibilità uno dei suoi obiettivi, declinandola in tutte le varie sfaccettature. Sull’economia circolare ha da poco lanciato la linea “Toh! Chi si rivede” di utensili per la tavola e cucina, realizzata da Guzzini, con almeno il 70% di plastiche riciclate recuperate nei magazzini del retailer. Humana People invece, raccoglie e rivende abiti usati in 12 punti vendita in Italia (ma sono 500 in Europa) e destina gli utili a progetti sociali. E da parte sua Conad ha riunito sotto il cappello di “Sosteniamo il futuro” i 55 progetti in corso presso le sei cooperative, di cui 26 a forte caratterizzazione ambientale e 29 sociale ed economica. «La sostenibilità per noi è parte del processo di gestione caratteristica altrimenti diventa pura dichiarazione. Dal 2014 stiamo reingegnerizzando tutta la supply chain, centralizzando le merci, ottimizzando i flussi logistici, cosa che nell’ultimo anno ci ha permesso di aumentare il volume delle merci del 9% ma solo del +3% le emissioni di CO2», sottolinea Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione di Conad.

ABILITARE IL CAMBIAMENTO

Se il 65% delle persone dichiara di voler comprare un prodotto green ma solo il 25% lo fa veramente, qualcosa occorre fare. Ne è convinto Tomas Kolster, esperto di marketing e autore di “The trap hero” e di “Goodvertising”. «Oggi tutti raccontano belle storie su come sono bravi a combattere la plastica negli oceani, come sono green. Ma a chi dare fiducia? A chi credere? C’è quindi un gap di autenticità oltre a quello tra le intenzioni e i fatti. È necessario che i brand cambino mindset, diventando abilitatori del cambiamento. La sostenibilità non è una tendenza. La vera domanda che i brand devono porsi è: chi possiamo aiutare le persone a diventare? Solo in questo modo possiamo cominciare a parlare di autenticità. Togliendo il rumore di fondo, se un brand o un’insegna aiuta le persone a diventare più sane, più sostenibili, meno inconsapevoli, allora la differenza si sente.

Questo per me è una leadership differente. Sono brand trasformativi che aiutano le persone a trasformarsi. Questo ha grandi implicazioni anche sul retail che per troppo tempo si è concentrato sullo spingere ad acquistare prodotti. Oggi non è così strano che il retail attraversi un momento difficile. Perché dovrei uscire di casa, andare in un punto vendita che mi propone un cattivo servizio e un’offerta che molto spesso è inferiore a quella che trovo online? Che cosa può diventare invece il retail adottando un mindset trasformativo? Un supporto al cliente per imparare cose nuove.

In conclusione, non bisogna cercare di essere l’eroe della storia ma pensare ad aiutare ciascuno di noi a diventare eroe nella propria vita».

SVILUPPARE CONSAPEVOLEZZA

Motivazione e coinvolgimento sono temi ricorrenti nella messa a punto di nuovi paradigmi per la filiera del largo consumo. E la sostenibilità è certamente un pilastro fondante. Per le aziende è fondamentale la rendicontazione di ciò che viene fatto, ma come fare ad aiutare le persone a essere più sostenibili?

«Che cosa chiedono i cittadini ai brand?», si chiede Alessandro Capelli, csr manager di Altavia Italia.

«C’è un bisogno emergente di identità, di sentirsi all’interno di una comunità. Ma contemporaneamente c’è una crisi di autorevolezza che riguarda la scienza (come ha dimostrato la campagna vaccinale), la politica, i brand, incarnata soprattutto dalla fascia di popolazione che ha meno opportunità. Lo stesso vale per la sostenibilità: chi ci crede se lo può permettere, gli altri si sentono tagliati fuori. Se non affrontiamo questo aspetto finirà che le persone non dovranno scegliere che cosa consumare tra il pollo e il pollo bio, ma se mangiare o accendere il riscaldamento».

In questa prospettiva, una startup interessante è quella di Mugo, società climatech che lavora per creare esperienze di consumo a impatto zero, su tre temi: la trasparenza, calcolando l’impatto climatico dei prodotti di consumo in tempo reale con una apposita app, la carbon neutrality, compensando le emissioni del carrello della spesa attraverso progetti che rimuovono la CO2 dall’atmosfera, e colma il gap tra acquisti sostenibili e dichiarazioni d’intenti, attivando nuove attività di loyalty nel mondo retail.

«A oggi a tutte le aziende è richiesto uno sforzo per la decarbonizzazione – spiega Benedetto Ruggeri, ceo e co-fouder di Mugo – e McKinesy calcola che il 96% delle emissioni nel retail è collegato ai prodotti venduti e al loro utilizzo. Come decarbonizzare il mondo del retail? Occorre lavorare in maniera sinergica tra insegna, marca e persona, premiando le scelte sostenibili dei consumatori agendo sulle tre leve del prezzo, della qualità e della sostenibilità, offrendo la possibilità ai consumatori di riconoscere e scegliere prodotti sostenibili e abilitando meccanismi di promozioni e di loyalty legati a quel prodotto sostenibile».

L’ALLEANZA CON LA SCIENZA

Una risposta arriva anche dalla scienza. Quella stessa scienza che ci dice nel rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) che nel 2030 l’aumento di 1,5 gradi della temperatura è ormai accertata (ma nel Mediterraneo sarà di +2 gradi), con l’effetto di eventi straordinari sempre più frequenti. «Per ridurre il riscaldamento dobbiamo raggiungere rapidamente la carbon neutrality – ammonisce Riccardo Valentini, ordinario di Ecologia delle foreste dell’Università della Tuscia e membro di Ipcc – e per questo abbiamo raccolto una petizione con 230 mila firme. Ma c’è bisogno anche del marketing, nella soluzione alla crisi climatica, perché i consumatori possono muovere la domanda e l’offerta, portandole verso percorsi sostenibili. Il rapporto non affronta ancora questi temi, ma sappiamo che può esserci una grande potenzialità dall’alleanza tra la scienza e i consumatori. Abbiamo però bisogno di avere informazioni corrette e precise, perché anche i consumatori possano dare il loro contributo anche nella loro vita quotidiana a risolvere questi problemi».

Insomma per brand e retail il nuovo impegno è aiutare le persone a essere più consapevoli delle loro azioni e a diventare eroi della propria vita, rendendosi conto, però, che tutto sarà inutile se non si assicura la vivibilità sul pianeta.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab