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Convergere per fare meglio, italiano

l'opinione di

Roberto Moncalvo

Dobbiamo saperlo fare, tutti insieme: grandi e piccole imprese trasformatrici, distribuzione a vari livelli e produttori agricoli

Un grande uomo politico scomparso, circa alla metà degli anni Settanta, per definire il percorso (il destino?) delle due maggiori forze politiche del paese, diede vita al termine “convergenze parallele”, sottolineando il paradosso della necessità di un incontro, nel contemporaneo mantenimento del proprio profilo politico e identitario. La storia, nel suo farsi, ci ha dimostrato che quell’incontro è bensì avvenuto, ma a prezzo della sparizione di quei due grandi partiti.
Ho ripensato a quella storica espressione - convergenze parallele - leggendo il prezioso intervento di Enzo Rullani. Vi è infatti nel suo contributo un’analisi acuta dell’evoluzione del “fare italiano” a partire dalla stagione fordista, passando per quella dei “distretti”, approdando infine al modello delle “reti di impresa” e di quello “spirito di collaborazione’ che deve riuscire a prevalere fra i soggetti  contraenti.
Contemporaneamente vi aleggia la presenza dell’agricoltura italiana, del suo modo di produzione, del suo profilo identitario.  
Si coglie cioè il sotterraneo esistere del soggetto che primariamente concorre e nutre quel Made in Italy agroalimentare, ma resta innominato.  Centinaia di migliaia di imprese a carattere prevalentemente famigliare – grandi e piccole –  continuano a rimanere un oggetto ingombrante, difficile da esplorare, perimetrare, ricondurre ad ipotesi modellistiche “certe” e tuttavia il lessico, la trama di “racconto” a cui esse hanno dato vita in questi anni miracolosamente emerge e contamina l’analisi, le prospettive, il futuro dello stesso sistema paese.    
Penso a termini come qualità distintiva, “conoscenza  che resta aderente alle persone che l’hanno prodotta e ai territori in cui esse vivono”, “un’idea motrice: una concezione del vivere e del lavorare”. Penso anche  alla ribadita necessità che  “il racconto e l’esperienza  del “fare italiano” diventino riconoscibili e apprezzati e pagati”, una osservazione che farebbe felice Oscar Farinetti, ma più ancora Carlin Petrini e naturalmente i produttori agricoli italiani o “contadini” come li chiama lui.
Ma penso in primo luogo al richiamo evocativo di termini come “origine, tracciabilità e trasparenza”, per lunghi anni portati avanti in solitudine dai soli produttori italiani e dall’Organizzazione che rappresento.
È questo tessuto simbolico e di racconto che mi fa intuire come soggetti che per il passato hanno viaggiato spesso in conflitto (a riguardo non possiamo  dimenticare il diverso potere contrattuale espresso all’interno della filiera), oggi sono costretti a convergere. Se ciò accadrà tuttavia, sarà perché non avremo mantenuto percorsi paralleli, ma avremo fatto in modo che parte dei nostri individuali profili mutino.
Dobbiamo saperlo fare, tutti insieme - grandi e piccole imprese trasformatrici, distribuzione a vari livelli e produttori agricoli - proprio per dimostrare quanto Enzo Rullani ci segnala e cioè che “l’economia globale non uccide sempre e comunque le identità territoriali”.