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Antitrust: i principali sviluppi in Europa

Il tema del diritto della concorrenza (antitrust) coinvolge le aziende come le associazioni, entrambe tenute a rispettarlo pena severe sanzioni economiche.

GS1 Italy | Indicod-Ecr ha cominciato a occuparsene nel 2007, istituendo nel 2008 la Commissione giuridica antitrust, gruppo di lavoro composto dai responsabili legali delle aziende commercio e industria, incaricato di individuare le corrette pratiche commerciali, implementando altresì un programma interno di conformità molto scrupoloso. L'aggiornamento sul tema è arrivato dal Convegno dedicato, tenutosi il 4 ottobre 2013 al Palazzo delle Stelline di Milano con interventi mirati a illustrare lo stato delle norme in ambito europeo e italiano.

A parlare dell'attività in sede di Parlamento europeo è stato Paul Csiszár, Direttore del Dipartimento Basic Industries, Manufacturing and Ariculture, oltre che della Task Force Food presso la DG Concorrenza della Commissione Europea. Csiszár ha ricordato che il tema del rispetto della normativa antitrust nelle relazioni tra imprese della filiera alimentare è da tempo all'attenzione della Commissione, stimolata dalle diverse posizioni delle parti fra richieste di intervento e istanze di autoregolamentazione.  Poiché, prosegue Csiszár «al problema non si può sfuggire, è necessario affrontarlo nel miglior modo possibile». A oggi sono disponibili un Codice delle buone pratiche, elaborato nel 2011 dalla piattaforma di esperti sulle pratiche contrattuali b2b istituita presso lo High Level Forum for a Better Functioning Food Supply Chain (HLF), più propensa alla soluzione di autoregolamentazione e un Green Paper della Commissione europea sulle pratiche commerciali sleali pubblicato a gennaio 2013, più propenso a fissare limiti e paletti. Csiszár propende per l'autoregolamentazione, basata su poche regole chiare e condivise dagli stakeolder. E indagare queste regole condivise è l'obiettivo dello Studio del Directorate General for Competition (DG Comp), un'analisi dei dati retail di circa metà degli stati europei, su un periodo di 8 anni (partendo dall'epoca pre crisi) in cerca dei driver che guidano l'innovazione e l'ampliamento della scelta nei prodotti alimentari. I risultati saranno disponibili all'inizio del 2014. Secondo Csiszár, comunque, l'eccesso di normatività non risolve i problemi, anzi li complica, a volte addirittura orientando le scelte produttive e di business in maniera poco efficiente.

Per illustrare come si sono comportati concretamente i diversi stati europei e le rispettive Autorità per la concorrenza, quando si è trattato di intervenire a fronte di pratiche denunciate come scorrette, Gianluca Belotti, dopo un primo intervento in cui ha ridimensionato le conclusioni cui è giunta l' Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) lo scorso agosto nella sua indagine sulla Distribuzione in Italia, osservando che la prate del leone è ora fatta dall'art. 62 che nemmeno era in vigore quando l'indagine fu aperta, ha fatto una rassegna dei principali interventi sanzionatori nei diversi Paesi dell'UE.

In Italia le caratteristiche del nostro mercato, nel quale le quote detenute dalle insegne dominanti sono molto inferiori rispetto ad altri paesi e dove l'industria di marca è molto influente, rendono l’attività dell’AGCM particolarmente complessa. In questo contesto, non è detto che pratiche commerciali a monte mirate a un risparmio sui costi si rivelino favorevoli anche per il consumatore finale, al contrario favorendo sul lungo periodo le aziende più forti a danno di quelle piccole, anche se virtuose, costrette a uscire dal mercato, riducendo l'offerta e anche gli investimenti in innovazione. L'AGCM, rappresentata al convegno Antitrust da Gianluca Sepe dell'ufficio di gabinetto prof. Carla Rabitti Bedogni, ha evidenziato « la necessità di valutare caso per caso» eventuali violazioni, in un contesto di analisi economica reso particolarmente complesso dalla difficoltà a verificare l'eventuale dominanza dell'acquirente. Anche applicando la disciplina delle intese, qualora non vi sia dominanza, la difficoltà consisterà nel provare che le pratiche vessatorie siano effettivamente imposte, e non concordate tra le parti.

L'inadeguatezza delle tutele esistenti è stata evocata per giustificare nuovi interventi normativi, sfociati nel controverso art.62 del Decreto Cresci Italia. L'ambiguità però rimane in essere poiché se l'AGCM è l'autorità di riferimento per l'accertamento degli illeciti, rimane la possibilità di adire al giudice ordinario creando di fatto un sistema sanzionatorio binario. L'AGCM ha comunicato le direttrici della propria azione, che in particolare si rivolgerà verso le relazioni commerciali con effettivo squilibrio tra le parti (abuso di dipendenza economica), quelle che comportino una significativa (e non episodica) compressione dell'interesse pubblico tutelato, e soprattutto quelle lesive della concorrenza, a causa delle quali imprese efficienti potrebbero essere espulse dal mercato.

Mariateresa Maggiolino, Assistant professor di Diritto commerciale, Università Bocconi, ha insistito sulla complessità della disciplina che impone un'analisi caso per caso, individuando però alcuni parametri basati sulle linee guida europee rispetto allo scambio di informazioni lungo la filiera:

  • l'oggetto delle informazioni: se la natura delle informazioni è di natura commerciale (e non tecnica) è più probabile che la pratica sia illecita;
  • aggregazione: più il dato è aggregato, minore la probabilità che vi sia illecito;
  • storicità: più i dati sono attuali, più è probabile che vi sia illecito;
  • natura privata/pubblica del dato: se il dato è accessibile a tutti gli attori della filiera, lo scambio è lecito, altrimenti aumenta il rischio che non lo sia;
  • estensione e struttura del mercato entro il quale avviene lo scambio: in regime di oligopolio è più facile che vi sia illecito;
  • la frequenza e la natura pubblica/privata dello scambio.

L'unico punto fermo è il divieto di per sé degli scambi il cui oggetto sia il comportamento futuro delle singole imprese in merito a quantità e prezzi. Nel caso si assista anche senza partecipare a uno scambio di informazioni di questo tipo, occorre dissociarsi pubblicamente per non essere considerati e sanzionati come parte attiva.

D'altro canto, prosegue Maggiolino, vi sono scambi di dati leciti, ovvero gli studi one-to-one commissionati a società di marketing intelligence, category management e benchmarking. Tra le tipologie illecite di scambi verticali, il più comune e difficile da provare è l'hub-and spoke, dove i dati “filtrano” attraverso un soggetto non orizzontalmente concorrente, quindi per esempio i distributori vengono a conoscenza tramite un soggetto terzo dei prezzi di sell-out di ciascun concorrente influenzandone l'andamento. In questi casi, trattandosi di un meccanismo che presuppone la fiducia tra le parti attive, la prova dell'illecito arriva spesso solo grazie a un “pentito”.

Per maggiori informazioni: silvia.scalia@indicod-ecr.it