Intermodalità nel largo consumo: se si vuole, si può fare
Come risulta dalla ricerca, presentata lo scorso 30 gennaio a Milano nel corso del seminario ECR: Intermodability. Il settore del largo consumo e la sfida del trasporto ferroviario, sono poco meno di 450 mila l’anno a livello nazionale – ossia il 30% di quelli complessivi che sono 1,5 milioni – i trasporti a carico completo di beni di largo consumo che già oggi potrebbero migrare dal tutto-gomma al combinato terrestre.
Ma perché le aziende del largo consumo dovrebbero fare questa migrazione, anche in considerazione del fatto che organizzare un trasporto intermodale non è cosa semplice? Per rendere più efficiente la movimentazione delle merci nel nostro paese e colmare il gap di competitività oggi esistente rispetto ai sistemi industria-distribuzione dei paesi europei e mondiali più avanzati. È la risposta di Vincenzo Tassinari, co-chair di ECR Italia. «In un paese alle prese con la crisi economica e con la crisi dei consumatori», ha affermato Tassinari, «è nostro dovere e obiettivo irrinunciabile praticare dei prezzi di vendita che non contengano inefficienze. E nei trasporti italiani, lo evidenzia la ricerca che abbiamo commissionato, ci sono delle aree di recupero molto importanti, che sarebbe colpevole non cercare di coprire». «L’intermodalità», ha convenuto Antonio Malvestio, physical distribution ops leader Western Europe e mdo associate director product supply di P&G, «è strategica sia per conseguire un futuro risparmio economico sia in un’ottica di sostenibilità ambientale, verso cui ci spinge la crescente attenzione dei consumatori».
E se per Malvestio, che ragiona in termini europei, il prezzo del gasolio è tale da rendere tuttora più conveniente il trasporto su gomma rispetto a quello su ferrovia, per Matteo Gasparini, responsabile trasporti di Carrefour Italia, l’aumento del 30% dei prezzi del gasolio nell’ultimo biennio nel nostro paese s’è tradotto in un aumento dei costi di trasporto del 7-8% che non tutte le aziende sono capaci d’assorbire. «Nell’intermodalità», ha affermato Gasparini, «vediamo un’opportunità per ridurre i costi di trasporto e le sue fluttuazioni legate alla volatilità dei prezzi del gasolio, oltre che di contenere le emissioni di CO2 e generare un’immagine green».
«Lo studio commissionato da ECR Italy», ha sottolineato Giuseppe Luscia, responsabile progetti ECR supply di GS1 Italy | Indicod-Ecr, «si fonda su una base analitica solida perché intendevamo uscire dalla logica delle percezioni e delle ipotesi e perché volevamo anche prefigurare l’effetto che l’ingresso del settore del largo consumo nel mercato del trasporto intermodale genererà sulle aziende che offrono questo genere di servizi».
«Nel progetto Intermodability», ha spiegato Gino Marchet, professore ordinario di logistica del Politecnico di Milano, «abbiamo raccolto e inserito in un database, uniformandoli, i dati relativi ai viaggi a carico completo, punto a punto, con indicazione d’origine/destinazione e lead time, effettuati nel corso del 2011 da 18 aziende. Per la precisione s’è trattato di 160.353 viaggi di merci food e non food, freschi e surgelati esclusi, di 13 produttori, tre retailer e due operatori logistici. Abbiamo quindi georeferenziato i nodi di partenza e d’arrivo e definito dei parametri d’intermodabilità: ossia la distanza del magazzino d’origine e di destinazione dallo scalo ferroviario, la lunghezza del percorso su rotaia rispetto al tragitto complessivo e la compatibilità dei tempi di consegna con i tempi del trasporto ferroviario, per verificare se ciascun viaggio era o meno trasferibile da gomma a ferrovia».
«Con la georeferenziazione e con software cartografici complessi», ha proseguito Fabrizio Dallari, direttore del Centro di ricerca sulla logistica della LIUC Università Cattaneo, «abbiamo creato un modello di percorrenza ed elaborato coppie di viaggi che possono dar vita a dei treni. Abbiamo così ottenuto una matrice sulla quale le colonne erano le settimane e le righe le 72 possibili tratte ferroviarie che collegavano i nove bacini intermodali che abbiamo studiato. Abbiamo quindi proceduto a tre round di simulazioni per valutare il potenziale dell’intermodalità in diversi scenari non solamente in funzione del valore dei parametri adottati, ma anche alla luce di modelli organizzativi differenti».
La prima simulazione prevedeva la selezione manuale dei parametri del lead time (un giorno), della distanza magazzino-terminal d’origine e d’arrivo (100 km), della distanza minima di percorrenza su rotaia (350 km) e considerava Milano e Novara come bacini distinti. In questo caso il numero d’unità di carico intermodabili è risultato di 714 la settimana, su 26 relazioni attivabili tra i nove bacini di traffico considerati. E abbiamo registrato uno sbilanciamento dei flussi Nord-Sud e Sud-Nord e una concentrazione maggiore dei flussi sulla dorsale tirrenica. «Una variante di questa simulazione », ha specificato Dallari, «che adottava il criterio empirico seguito normalmente nel settore di far sì che il tratto ferroviario rappresenti almeno l’80% della distanza km complessiva percorsa dalle merci, ha fatto aumentare le unità di carico intermodabili a 1.056, le relazioni a 35 e ha riequilibrato i flussi».
Dalla seconda simulazione, che aggregava i bacini di Milano e Novara nella cosiddetta regione logistica milanese (RLM), le unità di carico intermodabili sono tornate 714 la settimana, su 23 relazioni tra i nove bacini. È risultato però evidente che il flusso di traffico fra la RLM e Roma e viceversa era quasi del tutto bilanciata e Bologna diventava nodo centrale di transito.
La terza simulazione ha infine preso in considerazione la fattibilità di creare una metropolitana delle merci lungo la dorsale tirrenica fra la RLM, Bologna, Roma e Napoli ed è risultato che genererebbe un numero interessante di carichi settimanali, che sussisterebbe un buon bilanciamento complessivo tra andata e ritorno e una buona simmetria per singolo segmento. In questo caso il tratto su rotaia potrebbe scendere a 200 km.
Traslando i risultati su scala nazionale, la ricerca ha identificato una quota importante di traffico già oggi intermodabile: 422.620 unità di carico per la precisione. Assumendo i 250 km come distanza media ponderata è anche emerso che si potrebbe ipotizzare un beneficio ambientale di 70 mila tonnellate di CO2. Un valore elevato insomma.
Lo studio Intermodability sarà ora oggetto di piloti, che nei prossimi sei mesi saranno portati avanti da 10 aziende dei servizi intermodali e 14 aziende committenti (altre aziende saranno benvenute e potranno aggiungersi in corsa).
«Dopo aver agito da aggregatori dei volumi, raccogliendo le candidature delle aziende del largo consumo», ha detto Luscia, «ECR Italia giocherà lo stesso ruolo anche nei confronti delle aziende che offrono servizi di trasporto ferroviario e, nella fase di test, cercherà di trarre indicazioni organizzative di processo, di capire quali sono i margini di flessibilità che le aziende produttrici in partenza e i retailer in arrivo dovranno mettere in campo per massimizzare il ricorso al trasporto intermodalee d’individuare vincoli e i punti di criticità. È comunque percezione condivisa nel gruppo di lavoro che guardare solo all’esistente non permette di percepire il potenziale dell’intermodalità nel settore del largo consumo. E che occorra dare il via a una fase nuova, di progettazione di un modello di business diverso e più compatibile con il trasporto combinato da parte degli operatori del largo consumo, e di servizi logistici che si adattino alla clientela delle FMCG da parte degli operatori della movimentazione intermodale».
Dagli stakholder in platea sono giunti alcuni spunti di riflessione interessanti. Eugenio Muzio, titolare della Combitec, ha espresso il parere che la distanza minima per rendere economicamente sostenibile in Italia l’intermodalità sia di 500 km. Guido Porta, titolare di I.Log Iniziative Logistiche, ha auspicato una ricollocazione delle strutture logistiche degli operatori del largo consumo nelle immediate vicinanze dei terminal ferroviari per ridurre i costi e incentivi agli investimenti nel settore sia per attrarre nuovi trasportatori sia per far sì che possano dotarsi di più casse mobili refrigerate.
Sergio Barbarino, principal engineer del Centro di ricerca logistica di P&G a Bruxelles, ha invece osservato che, anche in presenza di un agente aggregatore neutrale, un ostacolo allo sviluppo dell’intermodalità è l’indisponibilità dei fruitori italiani del servizio logistico a sottoscrivere contratti anche di breve durata. «La convenienza di modalità di trasporto alternative all’all road è innegabile», ha detto Barbarino. «Lo testimonia l’esperienza della Turchia, che dopo essere passata al trasporto via mare delle sue merci per ovviare al blocco dei collegamenti via terra conseguente al conflitto nella ex Yugoslavia a inizi anni ’90, non è tornata indietro». Tuttora navi turche trasportano i camion carichi di merci fino a Trieste e gli autisti raggiungono il capoluogo giuliano in aereo. «Dobbiamo aspettare di avere una guerra per muoverci in Italia?» ha chiesto provocatoriamente Barbarino.
A cura di Luisa Contri