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Trasporto ferroviario intermodale: un'alternativa sostenibile per il largo consumo

Efficienza e sostenibilità. Sono questi i due assi lungo il quale si muove il progetto di trasporto intermodale strada-ferrovia in alternativa a quello all-road, presentato da GS1 | Indicod-Ecr nel corso del convegno Intermodability™, il largo consumo prende il treno. "Si tratta di un progetto end to end - ha sottolineato Stefano Agostini membro del consiglio direttivo dell’organizzazione nonché presidente e ad di Sanpellegrino Nestlé Waters - che coinvolge tutta la filiera: non si tratta semplicemente di spostare le merci dalla gomma alla ferrovia, ma di cambiare il flusso dei magazzini periferici per essere più sostenibili. Il 30% dei viaggi stradali fatti oggi dalle nostre merci può essere convertito su rotaia. Con il 30% di riduzione delle emissioni".

Direttive europee e paradossi italiani

Un tema non da poco, perché se per trasportare una tonnellata di merci da Milano a Napoli in camion si produco 39 chili di CO2, per lo stesso percorso in treno se ne producono 19-20 chili. “Il paradosso cui stiamo assistendo - spiega Antonio Malvestio, presidente di Freight Leaders Council - è che le direttive europee prescrivono entro il 2020 una riduzione dei gas serra e dei consumi energetici del 20% (del 60% per il solo settore trasporto entro il 2050), con una produzione di CO2 di 147 g/Km per i veicoli commerciali, ma il trasporto delle merci e delle persone va nella direzione opposta: dal 1990 mentre tutti i settori produttivi hanno ridotto le emissioni, il trasporto le ha a aumentate del 16%. E in Italia, solo nel febbraio scorso, al primo segnale di ripresa del ciclo economico, sono state prodotte 27 mila tonnellate di CO2 in più del 2013. La ripresa aumenta il bisogno di trasporti, ma la crisi economica non ha aiutato a renderli più efficienti. Anzi sono aumentati i ritorni a vuoto. Più trasporti significa più emissioni e i target imposti dalla Ue sono domani. Insomma: abbiamo un grosso problema, ma abbiamo ancora la possibilità di recuperare il terreno perduto”.

Che cosa si può fare quindi? Tre sono le strade percorribili: ridurre i consumi e le emissioni con motori e pneumatici più performanti, combustibili più ecologici e stili di guida più corretti; utilizzare mezzi di trasporto alternativi, attraverso l’intermodalità dalla strada alla ferrovia o via mare; rendere più efficienti i carichi, aumentando la portata dei mezzi o riempiendoli di più. “A questo riguardo il cambiamento deve essere strutturale - sottolinea Malvestio - alzando le unità di carico almeno a 2,4 metri, attrezzandosi per i carichi sovrapposti e imparando a seguire la normativa sulla stabilizzazione dei carichi. Il passaggio dal 45/50% di cube fill (carico del volume a disposizione) al 60%, consente di ridurre dal 20 al 33% il numero dei semiarticolati sulla strada. Certamente questo passaggio non è facile ma è possibile e chi lo sta facendo riduce i costi di trasporto senza bisogno di strozzare l’autotrasporto, andando nella direzione giusta verso i target richiesti dall’Unione europea”.

La sfida per la filiera del largo consumo e per il sistema logistico italiano è che si eliminano gli sprechi, si riducono le emissioni e si risparmia. Ma poiché mancano solo sei anni per adeguarsi, occorre accelerare. Come? “La direttiva Eurovignette prevede il principio “chi inquina paga”, vale a dire tassare di più chi non intraprende misure necessarie a limitare le emissioni di CO2 - afferma Malvestio - ma chi investe deve avere certezze per programmare gli ammortamenti, pur sapendo che avrà un vantaggio che diminuirà nel tempo. Qualche indicazione: calcolare il bollo in funzione delle emissioni e non secondo la potenza fiscale, rimborsare le accise secondo la classe euro, decrescente nel tempo, favorire l’intermodalità”.

Il progetto Ecr Italia

Non è un caso quindi che ECR Italia stia lavorando con grande determinazione all'implementazione di questo innovativo modello di business, afferma il direttore generale di GS1 | Indicod-Ecr Bruno Aceto: “Si tratta di una soluzione concreta per la conversione di un numero elevato di automezzi pesanti in un set di servizi intermodali strada-rotaia lungo le principali dorsali di comunicazione della nostra penisola. Ci auguriamo di avere presto l’opportunità di presentare alle istituzioni le evidenze e le esigenze emerse nel corso del progetto Intermodability™, che, ricordiamo, è riuscito a riunire in una logica di “sistema” il complesso universo degli attori della filiera del trasporto intermodale”. Il progetto al quale hanno partecipato 18 aziende della filiera (Gdo, industria, operatori logistici) per un periodo di 12 mesi di ordini reali ha previsto un pilota che ha consentito non solo di misurare le performance, ma di individuare i punti critici.

Tra le prime, una riduzione delle emissioni di CO2 del 30% del trasporto intermodale rispetto a quello su gomma e la verifica che il ciclo order to delivery (mediamente di 7 giorni, con un minimo di 2,5 giorni) è polarizzato, con sei tratte, pari al 57% dei volumi, che lavorano tra 2 e 4 giorni, e 3 tratte (tipicamente quelle per i rifornimenti ai magazzini periferici) che lavorano in più di 12 giorni, essenzialmente per i rifornimenti ai depositi periferici.

Altrettanto significative sono le opportunità perse, come le definisce Andrea Fossa, partner di Hermes, che ha lavorato al progetto come facilitatore. “Tra queste - sottolinea Fossa - vincoli contrattuali troppo rigidi, l’indisponibilità di casse a temperatura controllata, che lascia fuori tutto il comparto dei freschi e dei deperibili, una mancanza di pianificazione che rende incompatibili con il treno diversi slot di scarico, l’indisponibilità del treno per eventi stagionali o eccezionali. Tuttavia l’intermodalità in Italia si può fare, perché il lead time è coerente con gli ordini dei clienti e l’effetto green è certo. Vi sono però ancora troppi viaggi mancati su tratte attive e resta da affrontare e risolvere la questione della temperatura controllata. Sono tutte cause superabili”.

I risultati del pilota

I risultati del pilota, inoltre, confermano che l’aggregazione della domanda è uno degli aspetti chiave per la diffusione dell’intermodalità. I motivi sono molteplici. Li spiega il responsabile dei progetti ECR Supply di GS1 Italy | Indicod-Ecr Giuseppe Luscia, confutando alcune obiezioni che tendono a frenare il processo verso l’intermodalità: “In primo luogo il settore nel suo insieme può movimentare 450 mila Uti (unità di trasporto intermodale) all’anno (ogni Uti è costituita da almeno 33 europallet). Si dice poi che le tratte Nord-Sud siano sbilanciate, obiezione vera in generale ma: utilizzando su alcune tratte il modello della metropolitana delle merci il fenomeno viene limitato, la saturazione dei ritorni può essere integrata con merci di altri setti e, soprattutto, esiste la ‘strana intermodalità’ per cui i terminal a Nord ricevono carichi provenienti dal Sud su strada, che ripartono per l’Europa del Nord via ferrovia. Ancora, aggregando i flussi di più aziende (il pilota lo ha dimostrato) si ha un effetto compensazione che elimina quasi totalmente i flussi e, infine, dall’aggregazione della domanda le tariffe hanno un beneficio indubbio, con una riduzione di circa il 25%. La verità - prosegue Luscia - è che occorre ricercare una maggiore corrispondenza tra servizio e requisiti del settore».

Il nuovo modello di business

Per aumentare la capacità di rispondere ai requisiti e contemporaneamente uscire dalla logica del breve periodo ECR ha ipotizzato un nuovo modello di business che trova legittimità in quattro caratteristiche fondamentali: l’utilità per le aziende del settore che, con determinazione,

intendono creare alternative concrete al “tutto strada”; la solidità dal punto di vista dell’Antitrust e la trasparenza rispetto ai criteri di ripartizione dei benefici; l’opportunità anche per il settore ferroviario italiano di trasportare rilevanti volumi della filiera del largo consumo. Il modello così ipotizzato prevede la realizzazione di un contratto collettivo, senza la creazione di una specifica associazione o consorzio, che fissi, in maniera condivisa e in una logica di collaborazione orizzontale i volumi, il tipo di servizio, le performance, il tracking, la frequenza dei collegamenti, i requisiti di sicurezza, le condizioni di fatturazione, ecc., e che abbia in un nuovo soggetto ECR una figura di fiduciario che presieda alle regole di suddivisione dei benefici con compiti stabiliti in ambito di marketing e comunicazione e di integrazione delle competenze dei fornitori dei servizi logistici integrati (4PL) e del software.

“La materia - conclude Luscia - è complessa e stiamo affrontando un ambito completamente nuovo. E se la determinazione delle aziende del settore non cambia, c’è la necessità di comprimere i tempi e di non farsi trovare impreparati dagli obiettivi normativi del 2020. Oggi ECR si occupa di treni, ma con la stessa impostazione che da sempre presiede al suo agire: la collaborazione e l’integrazione delle esperienze”.

Per maggiori informazione e per scaricare i materiali dell'evento visita la nostra pagina web dedicata all'evento Intermodability™, il largo consumo prende il treno o guarda i video prodotti.