economia

Assemblea Federalimentare 3 / La lettura della realtà di imprese e consumatori

Il sentiment secondo Ismea

Arturo Semerari, presidente di Ismea, ha presentato i risultati dell’indagine condotta dal suo istituto: L’impatto della crisi sull’industria alimentare. Un’analisi delle performance e del sentiment delle imprese.
«Dopo la crisi del 2008-2009», ha detto Semerari, «c’era stato un discreto recupero del clima di fiducia, che aveva raggiunto il suo apice, al 12,4%, nel terzo trimestre 2010. Poi il sentiment è ridisceso, pur rimanendo in fase positiva, per calare bruscamente a –7,9% nel quarto trimestre 2011. A marzo 2012 registravamo una leggerissima ripresa a –5,9%, supportata, a nostro avviso, non da dati reali, ma piuttosto dall’aspettativa di un ritorno all’aumento degli acquisti ».

In effetti le aziende che a marzo scorso prevedevano di confermare o aumentare la produzione erano l’88%. Una percentuale leggermente inferiore: l’84%, prevedeva di mantenere o incrementare anche l’occupazione. «Significativa la propensione agli investimenti», ha osservato Semerari. «Il 40% delle imprese a marzo aveva in animo spese per l’innovazione di prodotto nel 24,4% dei casi e per quella di processo nel 34,7% dei casi».

Il rapporto con le banche

Da un focus sul credit crunch, Ismea ha verificato che a marzo scorso il 69% delle imprese ricorreva ancora a finanziamenti esterni, anche se a dicembre 2011 il 67% aveva deciso di non chiedere nuovi prestiti.

«Il sentiment negativo nei confronti del sistema bancario», prosegue Semerari, «deriva soprattutto dall’aumento delle richieste di garanzie per l’erogazione di finanziamenti e per un innalzamento dei tassi d’interesse». Nel comparto alimentare è un’azienda su tre ad aver problemi di liquidità oggi. Problemi spesso generati dall’insolvenza dei creditori (nel 65% dei casi) e dalla ritardata riscossione dei crediti d’imposta (nel 13%).

Performance attuali e in prospettiva

Quanto alle performance economico-finanziarie delle industrie alimentari, Ismea ha rilevato che, mentre fino al 2006 nel comparto non si notavano grandi differenziazioni fra piccole, medie e grandi imprese, tanto che era diffusa la convinzione che piccolo fosse bello, dal 2010 s’è assistito a un peggioramento dei risultati delle piccole imprese soprattutto meridionali sia in termini di ROI che di ROE. «Mentre si sono consolidate le grandi imprese», ha osservato Semerari, «quelle medie hanno perso capacità competitiva. Hanno mantenuto una performance sopra la media soltanto per le imprese del Nord-ovest». Il modo migliore per superare la crisi, secondo Ismea, si conferma l’aggregazione fra imprese o, quanto meno, l’adesione da parte delle Pmi a progetti di rete che riguardino la ricerca, l’innovazione e la commercializzazione dei loro prodotti.

Food industry più ottimista

Presentando i risultati dell’Osservatorio congiunturale relativo al primo trimestre 2012 condotto per Federalimentare, Pierluigi Ascani, presidente di Format, ha evidenziato, invece, come il giudizio degli imprenditori dell’alimentare sull’andamento dell’economia italiana, pur negativo, sia migliore rispetto a quello della totalità delle imprese.

E come le più colpite dalla crisi risultino le imprese di minori dimensioni attive principalmente nel Mezzogiorno e nel Centro Italia.Stabile, rispetto alle precedenti edizioni dell’osservatorio, il giudizio sull’andamento della propria impresa e dei ricavi degli imprenditori del comparto alimentare. Imprenditori che ancora una volta mostrano un maggiore ottimismo rispetto ai colleghi di altri comparti. Ad accusare un peggioramento delle performance aziendali e dei ricavi è rispettivamente il 28,3% e il 26,4% degli imprenditori del food, contro il 41,9% e il 42,7% di quelli di altri comparti. Nel primo trimestre 2012 Format rileva un leggero miglioramento degli indicatori relativi ai costi delle materie prime e ai ritardi nei pagamenti da parte dei clienti. «Si tratta di miglioramenti», sottolinea comunque Ascani, «che non possono ancora essere interpretati come il segno di un’inversione di tendenza, che si teme tornerà a peggiorare nella seconda metà del 2012».

Il credit crunch s’avverte

Peggiora invece il giudizio degli imprenditori dell’alimentare sulle capacità delle loro aziende di far fronte al fabbisogno finanziario. Capacità che risulta comunque maggiore rispetto a quella del complesso del tessuto delle imprese italiane.

Ad aver richiesto un credito nel primo trimestre 2012 è stato il 18,8% delle industrie alimentari. Un dato molto basso in termini assoluti e di gran lunga inferiore a quello riscontrabile solo pochi anni fa.La diminuzione delle richieste di credito delle imprese può essere interpretato come indicatore di scarsa fiducia, ma anche conseguenza del peggioramento delle condizioni alle quali sono concessi i crediti in termini di maggiori tassi d’interessi e garanzie richiesti, accorciamento della durata dei fidi e allungamento dei tempi d’erogazione.

«Le difficoltà delle imprese dell’alimentare di far fronte al proprio fabbisogno finanziario», ha concluso Ascani, «derivano non soltanto dalla fatica nell’ottenere finanziamenti, ma anche dal fatto che l’industria alimentare è stretta nella morsa dell’aumento dei prezzi praticati dai fornitori di materie prime e dei ritardi nei pagamenti dei clienti, due problemi che si ripercuotono sull’occupazione che quindi cala. Non per niente da un saldo dell’1,8% fra le imprese che avevano aumentato e quelle che avevano diminuito l’occupazione nel quarto trimestre 2011, siamo passati a un saldo del –10,3% nell’ultima rilevazione».

Gli italiani e la crisi

Fin qui le imprese. Dei consumatori e delle strategie che adottano per far fronte al lungo periodo di difficoltà ha parlato Marilena Colussi, presidente di MC, che ha presentato i risultati della ricerca «Dentro e oltre la crisi: i nuovi consumi alimentari». L’indagine fotografa una paura sia reale che immaginata della crisi, che induce gli italiani al pessimismo e alla prudenza. Ben il 37,6% degli italiani (e il 40,9% dei responsabili degli acquisti) condivide l’affermazione che ci vorrà tempo, anche alcuni anni, prima la crisi passi. E un altro 45,2% (45,8% fra i responsabili acquisti) quella secondo cui la situazione continuerà a peggiorare. Ne consegue che per necessità, paura o scelta, hanno tagliato i loro consumi. L’accetta è caduta su viaggi e svaghi extradomestici (61%), arredo e ristrutturazione della casa (48%), abbigliamento (47%), svaghi in ambito domestico (40%), telefonia e internet (37%), investimenti, elettrodomestici, mobilità e auto (28-30%). La spesa per alimentari e bevande, in confroto, ha retto meglio, pur con tagli nell’ordine del 10,9%.
Seppure il 62% degli intervistati dichiari di non aver cambiato le proprie abitudini di spesa nell’alimentare, dall’indagine di MC risulta una tendenza generalizzata al risparmio, al non spreco, al contenimento del consumo di pasti fuori casa, ad approfittare delle promozioni. C’è però anche chi ha tagliato sulle quantità di alimenti e bevande acquistate (42% delle risposte) e si è orientato verso i discount o verso canali alternativi d’acquisto.

«L’attenzione alla qualità e al contenuto di servizio dei prodotti», ha detto Colussi, «resta comunque alta. Il 49% dei responsabili acquisti nell’ultimo anno ha continuato a privilegiare la qualità sul prezzo e un altro 38,1% il contenuto di servizio sul prezzo». Elevato si conferma ancora il livello di fiducia degli italiani nei confronti dell’industria alimentare, i cui prodotti sono ritenuti sicuri (79,8% delle risposte), freschi e naturali (76,9%), comodi da usare (71,5%) e salutari (67,2%).

«Dall’indagine», ha concluso Colussi, «emerge anche che il 79% degli interpellati è sempre più orientato a scegliere di testa propria quali alimenti consumare, che il 66% trova pace nella convivialità e nella buona alimentazione e che addirittura l’89% giudica quella italiana la migliore cucina al mondo».

A cura di Luisa Contri