economia

L’economia mondiale sta andando verso la stagflazione?

Molti economisti temono che il doppio shock della pandemia e della guerra in Ucraina renda molto più difficile la ripresa. Si assiste a un aumento dell’inflazione insieme a una crescita lenta. Ma, assicurano, non è un ritorno agli anni ’70, anche se il confronto ha senso

Il bonus da 200 euro per lavoratori e pensionati è l’ultima misura adottata dal governo Draghi per aiutare famiglie e imprese a fronteggiare «il clima di grandissima incertezza», dice il presidente del Consiglio. Un provvedimento che diventa un piccolo ma importante sostegno per i cittadini.

Il momento di difficoltà è una condizione comune a molti Stati, in tutto il mondo. Il doppio shock provocato dal Covid-19 e dall’invasione russa dell’Ucraina ha portato i prezzi ai livelli più alti da diversi decenni in molti paesi, mentre le previsioni di crescita economica si stanno sinistramente rimpicciolendo.

Stagflazione_Linkiesta_Articolo.jpg Un aumento dei tassi di interesse può contribuire a ridurre l’inflazione, ma poi l’aumento dei costi finanziari deprimerebbe ulteriormente la crescita. Di contro, una politica monetarie più blanda rischia di spingere i prezzi verso l’alto.

«Ora la stagflazione è di nuovo un problema», scrive il Financial Times. È questo il timore del momento.

La maggior parte degli analisti e degli economisti, compresi gli esperti del Fondo monetario internazionale, non si aspetta una replica degli anni ’70 – iniziati con una fase di crisi economica che ha colpito famiglie e imprese. Perché l’inflazione non è ancora così alta, perché oggi ci sono più banche centrali indipendenti, e perché i sistemi di welfare oggi sono più forti che in passato. Ma il parallelo, tenendo conto delle differenze appena espresse, può avere senso.

Anche prima dello scoppio della guerra in Ucraina, i prezzi erano saliti a livelli storici negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nella zona euro, a causa della pandemia che ha causato colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento.

La guerra ha esacerbato questi problemi: la Russia e l’Ucraina producono grandi quantità della fornitura globale di gas, petrolio, grano, fertilizzanti e altri materiali, spingendo al rialzo i prezzi dell’energia e dei generi alimentari, soprattutto in Europa.

Eppure, prima della scellerata decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina – e prima che posizionasse le sue armate al confine – molti economisti si aspettavano un 2022 di forte ripresa economica.

«Le aziende sarebbero tornate alla piena operatività dopo il Covid, i consumatori sarebbero stati liberi di spendere i risparmi accumulati per tutte le cose che non hanno potuto fare durante la pandemia, sarebbero stati i nuovi “ruggenti anni Venti”», scrive il Financial Times, in riferimento allo scenario ottimistico poi andato in fumo.

Oggi invece si parla di nuovo di stagflazione. Al momento la crescita economica globale media è prevista per uno scarso 3,3% nel 2022, in calo rispetto al 4,1% previsto a gennaio, prima della guerra. L’inflazione globale è prevista al 6,2%, 2,25 punti in più rispetto alle previsioni di gennaio. Allo stesso tempo, quest’anno il Fondo Monetario Internazionale ha declassato le sue previsioni per 143 economie, che rappresentano l’86% del prodotto interno lordo globale.

Kenneth Rogoff, ex capo economista del Fondo monetario internazionale e professore di economia e politiche pubbliche all’Università di Harvard, su El País si chiede se l’economia mondiale «sia diretta verso una tempesta perfetta», con Europa, Cina e Stati Uniti destinate a entrare in recessione all’unisono entro la fine dell’anno.

«La recessione in Europa – scrive Rogoff – è quasi inevitabile se la guerra in Ucraina si intensifica e la Germania, che ha strenuamente resistito alle richieste di abbandonare petrolio e gas russi, cede. La Cina sta incontrando sempre più difficoltà a sostenere una crescita positiva di fronte ai draconiani blocchi del Covid-19: in effetti, è del tutto possibile che l’economia cinese sia già entrata in recessione. E con l’aumento dei prezzi al consumo negli Stati Uniti al ritmo più rapido degli ultimi 40 anni, le prospettive di un atterraggio morbido dei prezzi senza un forte impatto sulla crescita sembrano sempre più deboli».

Continua a leggere l’articolo su Linkiesta