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Formiche ed elefanti all’esame di maturità dell’e-commerce

L’Italia cresce nell’e-commerce, ma è ancora tanta la strada da recuperare rispetto all’Europa

Illustrazioni_2012-25.pngLa crescita delle vendite online in Italia registra nel 2016 una decisa accelerazione con un +18%, per un valore di 19,6 miliardi di euro, contro una media dell’11% degli ultimi cinque anni. Ma testimonia ancora del ritardo dell’e-commerce nel nostro paese rispetto ai cugini europei. I 300 euro all’anno per abitante spesi online si confrontano infatti con i 1600 euro per abitante del Regno Unito, i 900 della Francia e gli 850 della Germania. È un gap imputabile ancora all’immaturità della domanda (i web shopper italiani sono 19 milioni contro i circa 40 milioni degli altri tre paesi) oppure è una responsabilità dell’offerta, come lascia intendere la School of Management del Politecnico di Milano nel suo Osservatorio appena presentato “eCommerce B2c in Italia: esame di maturità per l’offerta”?

I numeri del commercio online

Nel 2016 la crescita delle vendite online è stata di 3 miliardi di euro, di cui 5,3 miliardi da siti senza operatività in Italia (prevalentemente per servizi). Tuttavia l’Osservatorio registra una crescita più elevata dei prodotti (+32%) rispetto ai servizi, un dato che modifica il paniere dell’e-commerce B2C nel nostro paese, rendendolo più simile al resto del mondo.

Sono 45 milioni gli ordini nel 2016 che riguardano i servizi, per uno scontrino medio pari a 236 euro, mentre 120 milioni sono gli ordini di prodotti, i tre quarti del totale, con uno scontrino medio di 75 euro, un terzo di quello dei servizi.

Nei servizi la parte del leone la fa come sempre il turismo (+10% sul 2015 con un valore di 8.561 milioni di euro), mentre nei prodotti l’elettronica di consumo (+28% per 2.923 milioni) e l’abbigliamento (+27% per 1.898 milioni) fanno da traino, anche se comincia a essere significativo il contributo alla crescita dell’arredamento e home living (+48% per 652 milioni).

Il food grocery, che vale secondo l’Osservatorio, 575 milioni di euro, cresce del 30%, “grazie all’avvio e al potenziamento di iniziative della grande distribuzione e allo sviluppo di interessanti progetti in ambito gastronomia (Primotaglio.it, svinando.it, Tannico.it) e al lancio di servizi innovativi, come Amazon Prime Now e Eataly Today”, oltre alle decine di iniziative relative all’offerta e alla consegna di piatti pronti.

Con questi dati, la penetrazione dell’e-commerce B2C sul totale delle vendite retail si avvicina al 5%, con i servizi al 9% e i prodotti al 3%. Ovviamente all’interno di quest’ultimo valore ci sono differenze sostanziali: il turismo sale al 29% e l’informatica passa dal 13% al 16%. In crescita di un punto percentuale gli altri settori. Nonostante il dinamismo, nel food grocery la penetrazione delle vendite online si ferma allo 0,35%. Ma la marcia è ancora lunga per l’e-commerce B2C in generale, visto che il tasso di penetrazione nei Ppaesi più maturi varia dal 15 al 20%.

L’acquisto online degli italiani è di tipo ricorrente: dei 19 milioni di web shopper, 12, 9 milioni (cioè il 41% degli utenti internet) generano il 91% delle vendite.

L’e-commerce italiano cresce anche nel segno della mobilità: lo smartphone da solo vale il 17% delle vendite online, e il tablet il 9%: più di un quarto quindi degli acquisti sono effettuati da mobile, ma molto più frequente è il caso di processi d’acquisto iniziati su un device e completati sul computer o viceversa. Ciò che Roberto Liscia, presidente di Netcomm, identifica come cross device: «Insieme cross canalità e cross border, questi nuovi termini del commercio elettronico raccontano l’evoluzione a partire dai nuovi modi di comportamento degli shopper. Gli acquirenti comprano da siti italiani e stranieri, confrontano i prodotti sia nel canale fisico che in quello digitale e lo fanno attraverso smartphone e PC». Liscia pone l’attenzione in particolare sulla difficoltà di approccio verso la compliance normativa: per il 50% delle imprese europee la maggiore difficoltà allo sviluppo del digitale in Europa è la disomogeneità delle leggi. «L’assenza di omogeneità delle regole di tutela del cliente, gli eccessivi costi di logistica, le differenze nazionali in tema di protezione dei dati personali, e privacy esistenti fino a pochi mesi fa, le nuove norme sui sistemi di pagamento, nonché le tematiche connesse alla fiscalità sono questioni che non possono essere trascurate ma, al contrario, devono trovare interesse da parte delle istituzioni e delle autorità di settore, nazionali e comunitarie», afferma il presidente di Netcomm.

L’offerta è adeguata?

Analizzando le vendite (in Italia e all’estero) da siti con operatività italiana, che valgono 17,7 miliardi di euro, queste crescono del 20% spinte prevalentemente dai prodotti. In questo caso tra i comparti emergenti si affermano food grocery, arredamento e beauty. L'export a sua volta, rappresentato prevalentemente da turismo e abbigliamento, cresce del 17% e supera i 3,4 miliardi di euro. Ancora marginale ma in prospettiva interessante il contributo di arredamento e food.

Sempre sul lato offerta, le prime 20 iniziative di e-commerce italiane generano il 71% delle vendite, con un’offerta composta da prodotti e servizi di decine di migliaia di operatori tradizionali (produttori, retailer, esercizi commerciali). I primi 50 operatori a loro volta rappresentano l’86% delle vendite e i primi 250 il 95%. L’e-commerce è un mercato concentrato, tanto che la coda lunga, del 5% delle vendite, è costituita da decine di migliaia di attività (25 mila sono solo le strutture ricettive), di cui solo un migliaio vende mediamente per 500 mila euro, mentre tuti gli altri incassano poche migliaia di euro. Con le conseguenze in termini operativi e strategici connessi.

La partite dell’export e le sfide del retail tradizionale

«Il digital export rimane comunque un’opportunità che l’Italia non riesce a cogliere a causa della piccola dimensione delle proprie imprese, che non riescono ad aggredire i mercati esteri», ammonisce Liscia. Operativamente sono molti i punti deboli sui quali porre l’attenzione. Secondo Alessandro Felici, ceo di Evlonet Group, società che vende prodotti occidentali in Cina, «La forma mentis delle aziende italiane non è orientata all’e-commerce, un canale che a differenza di quelli tradizionali, consente, per esempio, di mettere in vendita tutto l’assortimento, compresi gli stock di magazzino. Il risultato è che l’80% delle vendite che effettuiamo in Cina attraverso i vari marketplace, proviene da aziende non italiane».

Di diverso avviso è il general manager di eBay Italia Claudio Raimondi: «I marketplace aiutano molte imprese medio-piccole ad andare online a costi contenuti. Più di 30 mila aziende italiane vendono online attraverso eBay e l’80% di ciò che vendiamo all’estero è italiano, in articolare di molte piccole attività del Mezzogiorno, un’area che sulla nostra piattaforma sta crescendo molto rapidamente».

«Ma esserci non basta», gli fa eco Claudia Sanson, responsabile e-commerce di Brico Io. «Occorre investire e non sottovalutare aspetti come l’infrastruttura software. Ma soprattutto occorre che lo sviluppo di una strategia digitale veda il lavoro integrato di marketing, vendite e IT. La strada è quella di sperimentare nuovi modelli di business».

Tanto più che, la posta in gioco è quella di garantire una customer experience fluida, semplice ed efficace, non solo online, ma anche nei percorsi multicanale.

A essere chiamata in causa non è solo quindi il percorso online fino al click finale, ma anche la logistica e il servizio post vendita. Secondo i dati dell’Osservatorio, il cosiddetto conversion funnel è un aspetto centrale, visto che il tasso di conversione è dell’1,2%, vale a dire su 100 sessioni d’acquisto se ne perdono per strada 88,8. Ma anche le attività di marketing e comunicazione andrebbero attualizzate con l’utilizzo di strumenti come il retargeting e il programmatic advertising. E per quanto riguarda la logistica c’è ancora molto lavoro da fare in tema di velocità e flessibilità delle consegne: il sabato, con installazione e su appuntamento, quelle entro 24 ore, senza parlare di quelle più innovative come la consegna same day e quella super veloce entro le due ore. In tema di flessibilità accanto al click & collect nel punto vendita o in altri spazi, vi sono i locker, le consegne on demand e quelle nel baule dell’auto.

Nell’e-commerce c’è quindi ancora grande spazio di azione (ciò che rende molti operatori decisamente ottimisti sulla crescita dei prossimi anni) sia per le formiche sia per gli elefanti, per le PMI come per i big. Anche il retail tradizionale ha possibilità di giocare la propria partita a patto che, afferma il ceo di Banzai Commerce Edoardo Giorgetti «non faccia l’errore di seguire i modelli delle Dot Com».

Dopo anni di immobilismo da parte dei produttori e dei retailer fisici, la crescita del commercio online degli ultimi due anni non basta a colmare il ritardo accumulato.

«Servono capacità di investimento e di innovazione», afferma Alessandro Perego, direttore scientifico Osservatori Digital Innovation «per rendere sempre più semplice e appagante l’esperienza di acquisto, pazienza (intesa come consapevolezza di non poter essere profittevoli da subito), e coraggio (ossia credere con determinazione di potercela fare). Le Dot Com hanno percorso questa strada e continuano a crescere più delle imprese tradizionali (+28% vs +10%). Gli operatori tradizionali, dal canto loro, hanno fatto finalmente il primo passo e devono ora giocare la partita fino in fondo, provando a innovare e facendo contemporaneamente leva sugli asset che li contraddistinguono: base clienti significativa, patrimonio informativo sulle loro abitudini di acquisto, punti vendita sul territorio, e conoscenza estremamente approfondita del mercato e dei prodotti».

A cura di Fabrizio Gomarasca