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Passione e sperimentazione nel futuro del retail Non Food

Sono le parole chiave emerse durante l’evento dedicato all’Osservatorio Non Food di GS1 Italy. Le opportunità offerte dall’integrazione tra fisico e digitale sono ancora tutte da scoprire se non addirittura da inventare

Il calo dei consumi non alimentari ha rallentato il suo cammino e gli operatori del retail hanno cominciato a ridisegnare le direzioni del loro futuro sviluppo, avendo ormai preso atto che mondo fisico e mondo digitale, per i consumatori attuali (e futuri) sono talmente interconnessi da essere parte di un solo concetto di esperienza d’acquisto. Tanto che l’esperienza ‘seamless’ per i retailer è qualcosa di più di una tendenza: è e dovrà essere di più nel prossimo futuro una precisa chiave strategica che mette in discussione soprattutto le organizzazioni, i gruppi di lavoro, il personale che si relaziona con il cliente. «Il personale di vendita non deve più essere concentrato sul negozio, ma deve avere in mente l’azienda nel suo complesso», dice Wilson Trezzi, responsabile sviluppo di Leroy Merlin.

Sono queste, in estrema sintesi, le principali evidenze emerse dall’incontro di presentazione della tredicesima edizione dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy, che dal 2003 monitora l’evoluzione di alcuni importanti mercati non alimentari e che nel corso degli anni ha registrato la loro crescita e poi dal 2010 il progressivo calo per un valore di 12,1 miliardi di euro.

Figura 1 - Trend dei  consumi dell’Osservatorio Non Food

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«Quest’anno - afferma Luca Zanderighi di Trade Lab - pur registrando ancora un calo dell’1,4% (che da aggiornamento luglio 2015 diventa -1,2%, modificando leggermente la stima di giugno 2015) la curva si è invertita e ciò fa ben sperare in un 2015 finalmente in positivo, anche se il vero problema è quello di rimettere in moto l’economia italiana. Certo il consolidamento della quota di mercato della distribuzione moderna nel Non Food è stato fatto sacrificando i margini (così come si è registrato per le grandi superfici alimentari, cioè gli ipermercati) e ridisegnando la rete fisica: negli ultimi cinque anni le catene Non Food hanno ridotto del 7,2% i punti di vendita, ma questo deve farci chiedere se queste chiusure sono l’effetto di una sovracapacità strutturale dei servizi commerciali o rappresentano una dinamica fisiologica».

Figura 2 - Quota di mercato e trend delle vendite  e-commerce

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Nello stesso periodo però è cresciuto l’e-commerce con tassi che per alcune categorie hanno superato il 40% (abbigliamento, calzature) e addirittura il 70% (articoli sportivi). «In assoluto sono numeri piccoli ma molto significativi», commenta Zanderighi.
Fin qui i numeri. Ma sono proprio i numeri che hanno determinato un cambiamento di paradigma nella distribuzione, una vera e propria disruption che ha determinato un ridisegno delle strategie di approccio alla domanda e che Zanderighi enuclea in quattro tipologie, che sono state esemplificate da Fabrizio Valente di Kiki Lab – Ebeltoft Italy, che da anni osserva il comportamento degli operatori esistenti e la nascita di quelli nuovi.

1. Multispecializzazione e distintività. Le grandi superfici si riposizionano su un’offerta selettiva di servizi commerciali centrata su definiti segmenti di consumo core e un portafoglio di prodotti e brand per merceologia. «È il caso eclatante di Selfridges che - sottolinea Valente – nel negozio di Londra dedica uno spazio di 3.250 mq alle scarpe con 150 brand per più di 5 mila referenze e 30 linee esclusive. Ma ha anche un ricco calendario di eventi, come il Fragrance Lab, un percorso sensoriale dei clienti per creare un profumo personalizzato e un servizio di clicca e ritira con consegna direttamente in auto».

2. Lowcost e prossimità. In questo contesto le impresesi posizionano sul mercato con una proposta di servizi commerciali con una selezione dinamica dell’offerta di prodotto integrata con contenuti di design, fashion e creatività ad alta convenienza di prezzo. È il caso di Tiger, evoluzione del concept ‘tutto a 1 euro’ che dalla Danimarca è arrivato in Italia nel 2011 e che nel corso del 2015 arriverà a 41 punti vendita. «Eccellente strategia visual, inserimento di 300 nuove sku al mese, marketing relazionale mirato che ha portato alla nascita di una casa discografica collegata all’organizzazione di concerti a 1 euro, sono alla base del suo successo», dice Valente.

3. Polarità urbana e canali digitali. «Abbiamo rilevato con altre ricerche - afferma Zanderighi – la centralita della dimensione relazionale del centro urbano per le persone, dove l’entertainment è la motivazione principale per il 65% degli intervistati. È qui che molte imprese rimodulano l’attrattività attraverso la costruzione di una relazione d’acquisto/informazione e la prossimità, ponendo le basi logistiche, integrando la rete fisica con la gestione dei canali digitali». Gli esempi? Le americane McNally Jackson, che enfatizza nella comunicazione in-store le consegne in bicicletta e Rebecca Minkoff che con uno specchio digitale stabilisce l’interazione con l’assortimento in negozio e attraverso il tablet permette i pagamenti direttamente nel camerino di prova.

4. Retail brand community e pop up. Si tratta dell’integrazione di diverse modalità di vendita (popup  e temporary store) per testare nuovi mercati, ampliare la percezione positiva del brand suscitare emozioni e far vivere lo shopping come momento unico gestendo la flessibilità spaziale e temporale della realtà fisica e della realtà mentale. L’esempio è quello di Warby Parker che ha cominciato con la vendita online di occhiali con la formula ‘cinque lenti in prova’ e ha fatto crescere rapidamente una community online di clienti e appassionati. «Ogni anno organizza un tour itinerante con un negozio-scuolabus con o assortimento di occhiali, ma quel che è significativo che in tre anni ha aperto 20 punti vendita, dove la produttività al metro quadro è superiore a quella di Tiffany», spiega Valente.

Anche l’Italia sperimenta

Che la distribuzione Non Food stia rivedendo le cose lo hanno testimoniato alcuni casi. Come Carrefour, che ha completamente rivisto il reparto tessile abbigliamento dell’ipermercato (per ora solo uno, a breve con estensione graduale alla rete) in una chiave di multispecializzazione, «per ridare piacere all’acquisto lavorando sulle leve del merchandising, dell’assortimento quanto a stile e prezzi e della formazione del personale, con una maggiore focalizzazione sul punto vendita e sui clienti, cercando di far ritrovare le stesse attenzioni proposte dagli specialisti», spiega Sébastien Jan, direttore merchandise tessile di Carrefour.

Il concetto di vicinanza è quello espresso da Valerio Di Bussolo, responsabile relazioni esterne di Ikea quando afferma che «il cliente sta alzando l’asticella e noi dobbiamo alzare ancora di più quella delle nostre competenze, attorno alle quali dobbiamo sapere raccontare storie che amplifichino la shopping experience». E la vicinanza è anche quella dei casi di negozi dentro la città, siano essi quelli di taglia maggiore come Amburgo, più piccola come a Pamplona o degli spazi di relazione come #ikeatemporary a Milano.L’omnicanalità è invece al centro delle attenzioni di Leroy Merlin non disgiunta da un forte commitment sul personale: «Gli investimenti fatti in questa direzione - spiega Wilson Trezzi -hanno l’obiettivo di trasferire passione al cliente da un lato e dall’altro di far capire che l’omnicanalità diventa la missione dell’azienda. Da questo punto di vista il nostro obiettivo è di ottenere dall’online entro il 2020 il 7-8% delle vendite».

Tutto concentrato sull’esperienza è invece Zodio, neonata insegna del gruppo Adeo. «Godiamo dello stato di startup e ci rendiamo conto che fare innovazione apre le porte a un potenziale importante», afferma il general manager Marco Montemerlo che definisce Zodio un concept di social experience per la decorazione della casa. «È il negozio delle passioni per la cucina, per il ricevere, per il living creativo, il benessere e il crafting. Il luogo dove i nostri clienti (per il 90% donne) possono esercitarsi nelle attività che prediligono. Non a caso, pur avendo 28 mila referenze i due terzi degli spazi sono dedicati a dare idee ai clienti, chiamati anche a co-creare occasioni di incontro e di trasferimento di conoscenze. Proprio nella chiave di costruzione di una community forte e numerosa».

Procurement e shopping, efficienza ed esperienza

A questo scenario disruptive del retail, Edmondo Lucchi, responsabile dipartimento new media di GfK, ne dà una lettura antropologica e spiega che se si pensa il retail in modo limitativo e il processo d’acquisto come un processo di approvvigionamento in parte faticoso, opaco, dissipativo di risorse, tempo, denaro, «Il canale fisico deve ‘per forza’ essere perdente!». Viceversa il digitale, in quanto «ci conduce verso nuove modalità antropologiche, come individui, gruppi e società» guida con pervasività e profondità la trasformazione. E diventa «la mente condivisa dell’Umanità».

Tra le cause di questa trasformazione antropologica che consente ai desideri, alle esperienze, alla creatività e alla ricerca di senso degli esseri umani di esprimersi molto più liberamente e potentemente che in passato, vi sono l’evoluzione dell’istruzione superiore e, di conseguenza, un consumatore decisamente più sofisticato, dove i contenuti (le informazioni) e le esperienze diventano premianti. «C’è così uno spostamento  - dice Lucchi – dai consumi di cose ai consumi di esperienze e alla costruzione di sensi e, nel retail, da logiche di procurement a logiche di shopping, intese come generazione di senso tra offerta e domanda sia negli spazi digitali sia in quelli fisici. Per esempio molte volte le persone vanno a fare shopping per uscire dalle limitazioni della quotidianità». Così se il procurement gode della maggiore efficienza del canale digitale, lo shopping è appannaggio più del canale fisico. E dare contenuto e senso al retail significa concentrarsi su nuove logiche di fondo incentrate sulla razionalizzazione e sulla vicinanza (procurement, vale a dire minori costi) e ancora sulla vicinanza, sul valore e sull’esperienza (shopping, cioè ritorno di benefici per il consumatore).

Figura 3 – Principali risposte alla domanda di come si impiega il tempo libero

E per i giovani?
Nel tempo libero…Totale popolazione14-24 anni25-34 anni
Il mio passatempo preferito è stare con i miei familiari 75 49 71
Mi piace guardare un film/dvd 60 79 76
Mi piace guardare le vetrine nei negozi 58 71 66
Mi piace passeggiare in centro 58 65 65
Mi piace andare al parco 56 56 66
Mi piace andare al centro commerciale 54 64 65
Mi dedico alla lettura 48 43 44
Il televisore è il mio principale passatempo 43 32 35
Mi capita spesso di fare grigliate/barbecue a casa mia 30 29 38
Passo molto del mio tempo libero ogni giorno con amiche/i 28 52 32
Mi piace suonare/cantare 21 27 24
La sera spesso frequento locali 13 34 27
Vado spesso a ballare/in discoteca 6 16 9

Fonte Sinottica Gfk

Non è scritto da nessuna parte che il fisico sparirà e il digitale trionferà. Tutt’altro. Ancora al 58% degli italiani piace curiosare nei negozi e guardare le vetrine o passeggiare in centro e al 54% piace andare al centro commerciale, percentuali che salgono rispettivamente al 71%, 65% e 64% tra i giovani tra i 14 e i 24 anni. Insomma ai Millennials i negozi piacciono ancora tanto. Ma questi ultimi dovranno inevitabilmente cambiare.

Le risorse umane, tema cruciale

Così come i retailer dovranno affrontare il tema della formazione del personale, in particolare gli addetti alle vendite, che risultano spesso inadeguati a questo scenario.
«Siamo in un periodo di cambiamenti e di rottura di un percorso che sembrava tracciato a causa dell’intensità della crisi, che proprio per la sua lunghezza ha fatto da velo a due cambiamenti profondi: la demografia e la tecnologia. La capacità di gestire il cambiamento è un problema di risorse umane all’altezza delle sfide in atto», afferma Luca Zanderighi.
«La disruption - aggiunge Valente - si manifesta anche nel lavoro: da un lato i clienti sono spesso più informati del personale di vendita e le politiche del retail sono spesso disallineate tra le attività offline e quelle online. Il rischio? Cannibalizzazione tra i canali, conflitti interni di canale e tra le funzioni. È interessante a questo riguardo ciò che ha fatto The North Face, trasformando lo store manager in-store ambassador, integrato con il web e connesso a eventi e attività locali».

a cura di Fabrizio Gomarasca