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01. GDA 2012: le dinamiche secondo SymphonyIRI

Un lavoro di cesello sulle promozioni e sull’assortimento. È quello che SymphonyIRI suggerisce d’intraprendere alle catene della Gdo italiana intenzionate a sostenere la crescita di fatturato dei loro punti vendita nella difficile situazione macroeconomica.

«La crisi occupazionale, la ripresa dell’inflazione, l’aumento della pressione fiscale», ha detto Gianmaria Marzoli, direttore commerciale retail di SymphonyIRI Group, presentando il Rapporto GDA 2012 (alla sua terza edizione), «incidono in modo significativo sul potere d’acquisto degli italiani. E hanno determinato una contrazione dei consumi e accelerato trend già emersi nel recente passato: maggiore oculatezza negli acquisti, ricerca della convenienza anche se non a scapito della qualità e del servizio, minore fedeltà ai singoli punti vendita e ai brand industriali. Ciò non toglie che alcune catene e alcuni format stiano registrando risultati positivi, cui si può tendere».

Razionalizzazione della rete

Marzoli non minimizza gli effetti che la persistente crisi ha sortito sulla rete distributiva italiana. Una rete ancora molto consistente – supera le 70 mila unità – soprattutto se paragonata con quella di altri paesi europei, ma che nell’ultimo biennio ha vissuto una razionalizzazione che ha toccato non soltanto il dettaglio tradizionale (-7.323 unità, per una consistenza di 38.527 negozi nel 2011), ma anche i punti vendita della distribuzione moderna (-430 unità, a fronte di 32.968 esercizi commerciali), proseguendo il processo di ridimensionamento in atto nell’ultimo decennio. Nel 2001 le rete distributiva nazionale superava ancora le 100 mila unità.

«Se leggiamo l’andamento delle quote di mercato dei diversi formati dal 2009 al 2011», ha osservato Marzoli, «ci rendiamo conto che, fra quelli affermati, soltanto i superstore registrano performance positive: hanno guadagnato 1,3 punti percentuali raggiungendo il 10,9% di share con 429 unità, 57 in più rispetto al 2009. Altri due format in trend positivo sono i drugstore e i discount. I primi tramite 2.413 unità, 203 in più rispetto al 2009, controllano una quota del 2,9%, pari allo 0,4% in più. I discount, oggi 4.309 unità, 180 in più rispetto a due anni fa, sono accreditati di uno share del 10,6%, ossia dello 0,3% in più».

In netta discontinuità con il recente passato – soltanto un anno e mezzo fa della crescita di alcuni canali beneficiavano tutti gli operatori di quel canale – i numeri complessivi nascondono notevoli differenze. Fra novembre 2011 e aprile 2012 gli ipermercati hanno accusato una leggera perdita di quota di mercato (-0,09%), in base alle rilevazioni di ShimphonyIRI. Segno che gli iper di nuova apertura non sono riusciti a compensare la perdita di share della rete esistente. Il +0,28% di share messo a segno dal canale supermercati, invece, è il frutto di un +0,39% dei superstore e di un -0,11% dei supermercati, circa la metà dei quali sta perdendo terreno.

LCC positivo grazie all’inflazione

Poco incoraggianti i dati sull’andamento dei fatturati nella distribuzione moderna. Le vendite di beni di largo consumo confezionato nel primo quadrimestre 2012 hanno fatto registrare un +1,9% a valore, ma un -0,6% a volume, in presenza di un’inflazione che si è mantenuta abbondantemente al di sopra del 2%. Volumi che erano stati invece di segno positivo nel passato biennio (+1,9% nel 2010 e +1,6% nel 2011).

«La crescita delle vendite LCC», sottolinea Marzoli, «è legata sostanzialmente all’inflazione. E se guardiamo ai trend dei diversi formati, osserviamo che i volumi sono stati di segno positivo soltanto nei superstore, nei drugstore e nei discount».

Il comportamento dei consumatori

Durante la lunga crisi gli italiani hanno modificato in maniera strutturale il loro modo d’approcciare i canali distributivi. Sono diventati più nomadi, meno fedeli sia alle insegne sia ai brand. Sono inoltre tornati a fare la spesa con maggior frequenza.

«Oggi l’85% dei consumatori», osserva Marzoli, «confronta i prezzi. Il 72% cambia negozi, il 57% si fa convincere a cambiare marca. Cosa che nel 2004 soltanto il 16% era disposto a fare. Il 90% consulta i volantini, contro il 53% di 8 anni fa. Il 67% prepara la lista della spesa per evitare tentazioni e spese superflue. Era il 45% nel 2004. Il 71% è tornato a fare la spesa più di una volta la settimana e il 60% acquista meno prodotti ad ogni spesa».

Per mitigare gli effetti dell’inflazione gli italiani hanno accettato di fare il cosiddetto trading down, ossia d’indirizzare la loro scelta su prodotti in promozione o con un miglior rapporto qualità/prezzo, private label in primis. Un esercizio questo, che ha impedito una più decisa affermazione dei discount, che negli ultimi mesi hanno rialzato sensibilmente i prezzi (l’inflazione interna al canale si aggirava sul 7% nel bimestre gennaio-febbraio 2012) avendo meno possibilità di altri canali d’evitare di riversare sul consumatore i rincari dei listini.

«Se consideriamo il trend di vendita dei prodotti in base alla fascia di prezzo d’appartenenza», ha detto Marzoli, «osserviamo che sono i segmenti premium e di primo prezzo quelli che crescono di più. Rispettivamente del 3,4% e del 5,1%. Soffre invece la pancia del mercato, ossia i prodotti mainstream, il cui trend si limita a un più modesto +1,5%, a dimostrazione che al consumatore non interessa soltanto la convenienza. Focalizzandoci comunque sulla domanda di convenienza, notiamo che determina sia un aumento delle vendite dei prodotti di primo prezzo e di quelle dei discount sia in un incremento del sell out di prodotti private label, altro leit motiv della Gdo negli ultimi tre anni. Lo share della marca commerciale è infatti cresciuto di 4 punti nell’ultimo triennio. Esattamente quanto era aumentato nell’intero decennio precedente».

Come già si poteva osservare nel recente passato, si conferma la ricerca del consumatore anche di prodotti convenience, ad alto contenuto di servizio, e di prodotti di base, per la preparazione in casa di cibi che in precedenza si consumavano fuori casa.

Le leve per la crescita

In presenza dei nuovi modelli di consumo adottati dagli italiani SymphonyIRI individua, come anticipato, due leve su cui la Gdo può lavorare. Da un lato le promozioni e dall’altro la taratura dell’assortimento.
«Sono anni», ha riconosciuto Marzoli, «che ci diciamo che la pressione promozionale ha raggiunto livelli insostenibili. Eppure anno dopo anno continua a incrementare».

Nel 2011 s’attestava sul 24,8%, in progressione di uno 0,6% rispetto al 2010. E nel primo quadrimestre 2012 ha raggiunto il 25,7%. È aumentata anche la profondità dello sconto: da un taglio prezzo del 26,7% in media nel 2011, siamo passati a uno del 27,2% nei primi 4 mesi di quest’anno. La buona notizia è, comunque, che è tornata a crescere l’efficacia delle promozioni: dal 107% del 2011 al 112% del primo quadrimestre 2012.

«Sussitono comunque ampi margini di miglioramento dell’efficacia delle promozioni», ha affermato Marzoli. «Sono ottenibili tramite una migliore execution nei punti vendita. In un 30% delle categorie merceologiche, infatti, osserviamo un incremento della pressione promozionale non accompagnato da un aumento del sell out. Stesso discorso si può fare riguardo alla seconda leva, quella dell’assortimento, che non appare gestita con sufficiente attenzione a livello di singolo negozio».

A fronte di una sostanziale stabilità della numerica complessiva delle referenze proposte nei singoli canali nell’ultimo biennio, pur con differenziazioni fra insegna e insegna e fra format e format (superstore e discount hanno aumentato la numerica), SymphonyIRI rileva che nel 25-30% delle categorie s’assiste a un calo dei volumi superiore alla media del mercato, nonostante l’ampliamento della numerica dei prodotti a scaffale.

«Mentre è abbastanza generalizzato», ha proseguito Marzoli, «l’aumento delle referenze private label, a discapito di quelle a minori rotazioni, spesso di marca follower, non è altrettanto sfruttata la leva dell’offerta legata al territorio, giocata invece con successo da un drappello di distributori che potremmo definire illuminati. Proprio agire su quest’ultimo segmento dell’offerta può consentire alle catene italiane di fronteggiare meglio la concorrenza dei grandi retailer stranieri che ragionano in un’ottica più globale».

A cura di Luisa Contri