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01. Per innovare in tempi di spending review serve un maggior coordinamento

Essere di stimolo a una riflessione su come meglio indirizzare la spesa in information & communication technology (Ict) in Sanità in tempi di spending review, per evitare che vengano meno le risorse per fare innovazioni che abilitino un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del Sistema sanitario nazionale (Ssn). È uno dei principali obiettivi alla base della quinta edizione dell’Osservatorio Ict in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, presentato al convegno dal titolo: «Ict in sanità: costo od opportunità», svoltosi a Bologna il 17 maggio scorso nell’ambito della XVIII edizione del salone Exposanità.

L’Osservatorio Ict per la prima volta ha coinvolto anche 637 medici di medicina generale (Mmg) e 1001 cittadini, oltre al ministero della Salute, a sei Regioni e a 127 chief information officer (Cio) e a 223 direttori strategici (fra direttori generali, amministrativi e sanitari) di 215 strutture sanitarie (Asl, aziende ospedaliere pubbliche e private e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) di diverse dimensioni a attive in tutt’Italia. E una volta fotografata la situazione attuale, quantificando la spesa Ict complessiva in Sanità: 1,3 miliardi di euro, pari all’1,1% della spesa complessiva pari a 115 miliardi di euro, analizzandone la ripartizione fra i diversi attori del Ssn e sul territorio, ha individuato il trend di spesa Ict nei prossimi tre anni e ha valutato le potenzialità di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del Ssn abilitate dagli investimenti in Ict tuttora in fase d’espansione.

In un’ottica di dare modelli interpretativi agli operatori del Ssn, perché questi possano pianificare i loro interventi, Mariano Corso, responsabile scientifico Osservatorio ICT Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, ha evidenziato come la spesa Ict in sanità nel nostro paese, come anticipato pari all’1,1% di quella complessiva, sia già oggi alquanto sottodimensionata. «In Gran Bretagna», ha detto Corso, «la raccomandazione del sistema sanitario è d’investire in Ict oltre il 2,5%, in Danimarca la spesa supera addirittura il 3%».

A proiettare ombre sulla sostenibilità futura dell’attuale buon livello del Ssn nazionale due evidenze dell’Osservatorio. Il fatto che la spesa italiana in Ict in sanità, oltre a essere più bassa: 22 euro in media a cittadino, contro i 36 della Germania, i 40 della Francia e i 60 del Regno Unito, è disomogenea sul territorio. Dai 34 euro pro capite nel Nord-ovest, si scende ai 28 euro del Nord-est, ai 14 euro del Centro e ai 12 euro del Sud e delle isole. Fatto che fa sorgere dubbi circa la validità delle scelte di regionalizzazione e di aziendalizzazione operate negli anni passati e che hanno favorito, da una parte, l’emergere di modelli diversi ma, dall’altra, l’acuirsi di una divaricazione in termini d’efficacia.

Ma soprattutto il fatto che, dopo 4 anni di crescita costante della pur bassa spesa in Ict del Ssn italiano, si registri un’inversione di tendenza. «Fra le aziende sanitarie», constata Corso, «prevalgono quelle che prevedono una contrazione degli investimenti su quelle che pensano d’aumentarla rispetto al 2011.

C’è anche un preoccupante 8% di strutture che prevede di tagliare la spesa in Ict di oltre il 40%. Ciò rischia d’innescare un circolo vizioso, in cui la contrazione degli investimenti determina un peggioramento del funzionamento del sistema, che a sua volta si traduce in maggiori costi».

Consci del fatto che, in tempi di spending review, suggerire d’aumentare il budget di spesa in Ict sarebbe velleitario, i ricercatori del Politecnico meneghino hanno focalizzato l’attenzione su gli ambiti su cui è utile puntare per spendere meglio le risorse disponibili e innescare un circolo virtuoso. E hanno individuato nel virtual health, ossia nell’insieme di tecnologie che permettono di portare il cittadino al centro del servizio sanitario, l’ambito in cui l’investimento in Ict può fare la differenza e può abilitare miglioramenti della qualità del servizio.

Lasciando da parte le tecnologie con un maggior grado di maturità e che pure oggi continuano a richiamare risorse (in verde), gli estensori dell’Osservatorio si sono focalizzati sulle tecnologie percepite come strategiche (in rosso) o emergenti (in giallo) dai chief information officer interpellati.

«Quello della cartella clinica elettronica», ha detto Corso, «è, per esempio, un ambito in consolidamento, che catalizza una parte importante del budget Ict: nel 2012 è previsto un aumento di spesa per implementarla del 13%. A oggi l’informatizzazione delle cartelle cliniche è stata penalizzata dalla regionalizzazione e aziendalizzazione del Ssn, che ha portato a scelte molto disomogenee sul territorio, e dalla mancanza di linee guida. Tuttora registriamo una scarsa propensione delle Regioni più indietro nella loro implementazione a imitare quelle l’hanno già fatto».

Se timori circa la sicurezza e la tutela dei dati e la mancanza di una regia che porti all’erogazione di servizi condivisi hanno finora ostacolato la diffusione del cloud computing, su cui pure i direttori informatici nutrono forti aspettative (+88% il budget destinato nel 2012), è la difficoltà delle strutture sanitarie nel riorganizzare il loro modus operandi o nel reingegnerizzare i processi legati alla prescrizione e somministrazione dei farmaci a rallentare l’adozione di tecnologie che consentano nell’ordine la digitalizzazione e conservazione sostitutiva dei documenti (+89% il budget 2012) e la gestione informatizzata dei farmaci (+64% di spesa).

È ancora la mancanza di una cabina di regia, di un soggetto che si faccia carico di stimolarne l’implementazione, a frenare la diffusione nella sanità italiana del fascicolo sanitario elettronico (Fse) e dei sistemi Ict per l’assistenza domiciliare, che pure potrebbero generare risparmi rispettivamente per 2,2 e 3 miliardi di euro.

Gli stessi dirigenti delle strutture sanitarie, interpellati dai ricercatori del Politecnico milanese, oltre che nelle limitate risorse economiche disponibili, individuano nella necessità di cambiamenti organizzativi, nella complessità realizzativa, nella resistenza al cambiamento e nella mancanza di linee guida i principali vincoli allo sviluppo del virtual health.

Proprio il ritorno a una cabina regia, che favorisca la diffusione delle best practice individuate tramite le diverse sperimentazioni portate avanti sul territorio, un maggior impegno di tutti i soggetti nell’implementazione delle innovazioni individuate come prioritarie e il coinvolgimento del cittadino, che deve diventare sempre più protagonista della propria cura, sono i driver in grado, secondo i ricercatori dell’Osservatorio, d’innescare un circolo virtuoso.

«Con un’organizzazione attenta, con un impegno verso l’innovazione», ha concluso Corso, «si possono promuovere piani d’innovazione a fronte di investimenti tutto sommato non elevati rispetto alle risorse in gioco. Si possono ottenere dei risultati importanti che in sanità si traducono non in un Ebitda migliore, ma, cosa di gran lunga più importante, in una vita migliore. Non dimentichiamo poi che l’SSn crea lavoro e un indotto importantissimo. L’investimento in sanità è un moltiplicatore dello sviluppo di servizi sul territorio».


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