Scambio di dati a prova di antitrust
Quali informazioni si possono condividere fra partner commerciali e fra concorrenti senza timore di violare la normativa antitrust? E quali possono essere messe in comune soltanto in alcuni casi, considerato che questa branca del diritto può dirsi in larga parte «a geometria variabile», è cioè più stringente nei mercati a maggiore concentrazione?
A queste ed altre domande ha cercato di rispondere il seminario: «Lo scambio di informazioni tra Industria e Distribuzione nella prospettiva del diritto antitrust», organizzato da Indicod-Ecr, in collaborazione con lo studio legale Hogan Lovells.
In apertura dei lavori, Bruno Aceto, ceo di Indicod-Ecr, ha ricordato come un’apposita commissione giuridica costituita presso l’associazione a gennaio scorso abbia prodotto e reso disponibili agli associati linee guida in materia di diritto antitrust (sono anche oggetto di specifici corsi di formazione Indicod-Ecr) e come tutte le attività portate avanti in seno all’associazione siano sottoposte a una costante verifica del rispetto dei suoi dettami, a tutela dei manager che vi partecipano.
Entrando nel vivo della questione, Gianluca Belotti, partner dello studio legale Hogan Lovells, ha premesso che la normativa antitrust è intesa a garantire l’immissione sul mercato di merci sempre migliori e a prezzi competitivi. Sanziona gli accordi anticoncorrenziali sia orizzontali (ovvero stipulati tra concorrenti) che verticali (fra retailer e fornitori) e i comportamenti in grado di falsare la libera concorrenza messi in atto da imprese in posizione dominante. Impedisce inoltre che, tramite fusioni e acquisizioni, le imprese possano raggiungere una posizione dominante.
La normativa antitrust insomma si sforza d’evitare condizionamenti e combine, facendo sì che ogni imprenditore delinei la sua politica commerciale non solo in piena autonomia, bensì anche indipendentemente dai suoi concorrenti. E che ogni rivenditore fissi liberamente i suoi prezzi e ceda le merci a chi vuole, dove, quando e come vuole.
«L’imprenditore avveduto», ha puntualizzato Belotti, «nel fissare la sua politica commerciale ovviamente non prescinde da quello che fanno i suoi concorrenti. Per restare nella legalità, però, non deve fornire o ricevere informazioni sensibili, consultarsi o prendere accordi con uno o più competitor prima di decidere la sua strategia. Può invece tranquillamente avvalersi dei servigi di società di market intelligence, in un rapporto one-to-one, per acquisire informazioni anche sensibili sulle dinamiche interne al suo mercato».
Anche sanzioni penali per i manager
Violare la normativa antitrust è un lusso che le imprese e i loro manager oggi non possono più permettersi. La non compliance può infatti costare alle aziende multe salatissime: fino al 10% del fatturato aziendale complessivo. La politica sanzionatoria si sta oltretutto facendo sempre più aggressiva, soprattutto in sede europea. Oltre il danno, la beffa. L’azienda non compliant si troverà infatti anche nell’impossibilità d’esigere il rispetto di clausole contra legem, s’esporrà al rischio di una class action (ora intentabile anche in ambito Ue) e di rovinarsi la reputazione. I manager che avranno violato le norme antitrust saranno poi sanzionabili penalmente e si esporranno al rischio di licenziamento e/o di vedersi chiamati a risarcire i danni causati all’azienda dal loro comportamento illecito.
Focalizzando l’attenzione sugli scambi d’informazioni che hanno rilevanza nell’ottica della normativa antitrust, Belotti ha quindi evidenziato come nella filiera dei beni di largo consumo, caratterizzata da un livello di trasparenza inimmaginabile in altri mercati, il perimetro degli scambi d’informazioni illeciti si restringa molto, seppure sussista e abbia consentito la creazione di cartelli che sono stati sanzionati.
Pregiudizi da vincere
«Lo scambio di dati sensibili, come prezzi, condizioni commerciali e quantità», ha detto il partner dello studio Hogan Lovells, «costituisce una fattispecie d’illecito per oggetto o per sé. A meno d’operare in un mercato frammentato e di controllarne una quota marginale è dunque vietato discutere con i concorrenti dei prezzi che si applicheranno in futuro. Ma attenzione. Può essere considerato illecito anche scambiarsi informazioni sui prezzi applicati nel presente».
C’è poi un secondo gruppo d’informazioni il cui scambio può risultare più o meno lecito. Sarà l’Antitrust a stabilirlo, caso per caso, in considerazione dell’impatto effettivo sul mercato conseguente allo scambio di informazioni..
Belotti ha poi citato una serie di pratiche che prevedono lo scambio e la condivisione di informazioni tra industria e distribuzione, con l’obiettivo di sviluppare piani congiunti, come category management, joint business plan, ricerche di mercato, benchmarking, ecc. Per il Category Management vi è un pregiudizio positivo da parte del legislatore comunitario, sul presupposto che questa trasparenza informativa porta a maggior concorrenzialità sul mercato.«Il benchmarking», ha poi rammentato Belotti, «è certo una prassi utile al mercato e di per sé lecita. Occorre però fare attenzione ai dati che utilizza: quelli aggregati beneficiano sempre di un pregiudizio positivo. Non altrettanto è vero per quelli disaggregati».
Va inoltre detto che, in linea generale, lo scambio d’informazioni a livello gratuito è visto meno bene di quello oneroso. E che il pregiudizio sarà fortemente negativo nel caso di condivisione di dati sensibili fra competitor e positivo, seppure rientri in un’area sensibile, quando avvenga nell’ambito di relazioni verticali Idm-Gdo.
È d’altronde prassi consolidata delle autorità antitrust considerare sensibili le informazioni che possono influenzare le strategie commerciali delle imprese e illeciti gli scambi di dati potenzialmente capaci d’attenuare il grado d’incertezza circa il comportamento che terranno i concorrenti. «Non per niente», ha ricordato Belotti, «nel programma di conformità antitrust Indicod-Ecr che descrive i corretti comportamenti che le aziende devono tenere anche in ambito associativo, abbiamo indicato che è precluso, in quanto illecito, qualsiasi contatto diretto o indiretto tra concorrenti avente lo scopo o l’effetto di rivelare il comportamento che essi stessi hanno deciso, o prevedono di tenere, facilitando un esito collusivo sul mercato».
Quando le informazioni sono sensibili
Quali domande si pongano le autorità antitrust nazionali e comunitarie in tema di scambio d’informazioni sensibili si deduce dalle circa 30 decisioni della Corte di giustizia europea e dalle sei della nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato. Viene infatti innanzitutto valutato se lo scambio coinvolge una parte sufficientemente ampia del mercato e se i dati scambiati sono aggregati o disaggregati. «In quest’ultimo caso», evidenzia Bellotti, «sarà l’impresa a dover motivare in modo convincente perché ha bisogno di quelle informazioni». Va comunque detto che la sensibilità dei dati disaggregati s’attenua col passare del tempo: non sono più considerati sensibili, in altre parole, dati vecchi di 12 mesi. Anche se, in ambito Fmcg, Belotti si sente di considerare storici i dati di sei mesi prima.
L’Antitrust valuta altresì la frequenza con cui avviene lo scambio d’informazioni sensibili e se tale condivisione è allargata a tutti i player di un mercato o soltanto ad alcuni di essi; se lo scambio è attuato in un mercato frammentato o oligopolistico e se le informazioni condivise sono pubbliche o di dominio pubblico.
Se ne deduce che le autorità antitrust considereranno generalmente illeciti scambi d’informazioni che hanno per oggetto prezzi e quantità, quando i dati sono recenti, attuali o futuri, e quando sono disaggregati e non pubblici. Considereranno invece leciti gli scambi d’informazioni, anche sensibili, qualora i dati siano facilmente e gratuitamente reperibili, o siano più vecchi di 12 mesi, o aggregati oppure ottenuti a titolo oneroso tramite un’attività di vera market intelligence.
Chiarificatrici al riguardo possono considerarsi due cause cui ha accennato Belotti. Nella prima l’autorità antitrust ha dichiarato lecito che un gruppo d’istituti di credito spagnoli avesse realizzato un registro contenente informazioni anche sensibili su imprese cattive pagatrici. La divulgazione di quei dati si era infatti verificata in un mercato frammentato; non erano state rese note informazioni sulle strategie delle singole imprese; il registro era infine accessibile a tutti coloro che avevano interesse a consultarlo.
Nell’altra causa, ancora in corso, la sentenza di secondo grado ha multato un gruppo d’imprese concorrenti fra loro e anche la società di consulenza terza tramite la quale si erano scambiate dati sensibili disaggregati, in quanto il loro comportamento è stato considerato collusivo e inteso a condizionare il mercato. «Nell’avvalersi di una società di market intelligence», ha suggerito Belotti, «è sempre preferibile commissionare indagini a proprio uso esclusivo e chiedere di ricevere informazioni senza darne al consulente. E questo a maggior ragione se si è al corrente del fatto che i propri concorrenti fanno la stessa cosa. In questo modo ci si porrà al riparo dal sospetto d’aver utilizzato la società terza in modo collusivo, come camera di compensazione per lo scambio di dati sensibili».
Belotti ha anche affrontato una questione avvertita da diversi player del mondo dei beni di largo consumo, su cui l’autorità antitrust non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi. Quella della liceità o meno per un distributore di vendere a un fornitore informazioni disaggregate su un concorrente diretto di quest’ultimo o per un fornitore di chiedere a un distributore d’acquistare dati sensibili riguardanti un proprio competitor. «A stretto rigor di logica», ha detto Belotti, «ritengo ammissibile un tale scambio, se avviene su base one-to-one, cioè in assenza di una consapevole triangolazione; se il fornitore non è in posizione dominante; in assenza di un vincolo d’esclusiva; e sempre che il retailer non sia concorrente del fornitore con la propria marca privata. In caso contrario, è opportuna una più attenta valutazione del caso in questione: l’autorità antitrust potrebbe ritenere sanzionabile tale condotta. Per attenuare il rischio, in caso la richiesta provenga da un’impresa in posizione dominante, si possono sempre cedere le informazioni a una società terza».
Due casi di scuola
Fin qui i pareri e i consigli di un esperto in materia di normativa antitrust. Ma come approcciano la tematica i player della filiera Fmcg? A illustrarlo ai partecipanti al seminario sono stati i legali interni di Procter&Gamble e Auchan.
Cinzia Gaeta, direttore affari legali e societari di P&G, ha spiegato come il rispetto delle normative vigenti, diritto antitrust incluso, sia prioritario per il suo gruppo a livello globale, tanto da figurare nell’action plan 2010-2011 e da originare programmi di compliance che si traducono in policy, procedure e processi aziendali volti all’individuazione/rettifica e alla prevenzione di eventuali violazioni. Ha inoltre rammentato che giocare secondo le stesse regole è vantaggioso sia per l’industria che per la distribuzione, a maggior ragione in un’economia di mercato in declino. «Può per esempio velocizzare le relazioni commerciali», ha affermato Gaeta, «consentire di disegnare contratti che tutelino al meglio le controparti e migliorare la capacità di entrambi di prevenire violazioni delle norme antitrust, mitigando le sanzioni. Proprio per questo riteniamo auspicabile la formazione di un network fra i responsabili legali dell’industria e della distribuzione». «In molti casi», ha proseguito Nicola Lopez, direttore associato affari legali di P&G, «le violazioni della normativa antitrust si risolvono in multe a carico sia dell’industria che della distribuzione. Sanzioni in cui si può incorrere anche semplicemente per non essersi chiamati fuori, per non aver ribadito la propria estraneità alla condotta anticoncorrenziale messa in atto da un partner commerciale e la volontà di determinarsi autonomamente sul mercato, lasciando ovviamente traccia documentale della propria condotta virtuosa. Emblematico il caso della violazione cosiddetta hub & spoke che aveva coinvolto Umbro e tre dei suoi distributori, tutti multati nonostante soltanto due dei tre distributori avessero avuto un ruolo attivo nella violazione».
Antonio Carella, direttore affari legali e societari di Auchan Italia, ha invece approfondito il tema dello scambio d’informazioni orizzontale, fra retailer, che è normalmente raro salvo nel caso delle centrali d’acquisto. «Conoscere i fabbisogni di merci dei diversi soci di una centrale d’acquisto», ha detto Carella, «è indispensabile per sedersi al tavolo di negoziazione con i fornitori. Lo scambio d’informazioni dovrà però limitarsi a dati strettamente indispensabili, per non destare il sospetto di una collusione fra distributori. Nel caso le imprese aderenti alla centrale controllino una quota di mercato inferiore al 15% non sussistono problemi. Ma al di sopra di tale soglia occorrerà calcolare bene la quota di mercato di ciascun distributore sia a livello nazionale sia a livello locale, ossia regionale o provinciale». Ove possibile, anche in questo caso, sarà preferibile che i soci della centrale forniscano le informazioni sensibili a un soggetto terzo cui daranno mandato di negoziare per loro conto.
A cura di Luisa Contri