Protezione alla fonte, per combattere le differenze inventariali
Fino a che punto il source tagging (ST), ossia l’integrazione di un circuito electronic article survelliance (EAS) durante le fasi di produzione o imballaggio di un bene di largo consumo, può risultare una soluzione efficace ed economicamente sostenibile nel contenere il fenomeno delle differenze inventariali, che si stima causi mancati guadagni per la distribuzione moderna italiana per oltre 3 miliardi di euro l’anno? Quanto questa soluzione è diffusa e conosciuta nel nostro Paese? Va a vantaggio del solo distributore o anche del produttore? E a chi spetta sostenerne i costi? A queste e altre domande ha cercato di dare una risposta la tavola rotonda «Protezione alla fonte per l’efficienza della filiera», organizzata dal mensile Largo Consumo il 10 settembre scorso presso l’EPC Lab Indicod-Ecr di Peschiera Borromeo (Mi) e alla quale hanno partecipato diversi rappresentanti della distribuzione (Auchan, Bennet, Carrefour, Coop Italia, Metro, Penny Market, Rewe e Sma), dell’industria (Castelcarni, Coty, Diageo e S&M Ferrania Technologies) e il solution provider Checkpoint Systems.
La folta rappresentanza di retailer presenti la dice lunga sul maggior livello d’interesse che il tema suscita fra le catene distributive (delle perplessità diremo più avanti). Sensibilità acuita anche dal decrescente livello di presidio dei punti vendita da parte di personale di sala (ciò vale in particolare per i discount). Come ha testimoniato Giampaolo Brunello, responsabile progetto ST di Metro Italia Cash & Carry, fra l’assenso dei colleghi degli altri canali, «occorrono tuttora diversi incontri per riuscire a persuadere i fornitori a imboccare la strada della protezione alla fonte. E, talvolta, abbiamo dovuto far intervenire la nostra casa madre per convincere qualche supplyer internazionale».
La cultura dell’ST si sta comunque diffondendo anche fra le aziende industriali italiane. «Dal 2006 a tutto il 2008», ha evidenziato Flavio Musci, responsabile protezione alla fonte di Checkpoint Systems, «abbiamo attivato 100 fornitori, che sono diventati 230 quest’anno. Ciò anche grazie al fatto che le aziende industriali stanno rendendosi conto dei ritorni anche per loro del suo impiego». Posizionare un prodotto in vendita a self service, piuttosto che in una vetrinetta chiusa, in effetti, avvantaggia il retailer, che può risparmiare sul costo dell’addetto alla vendita assistita, ma normalmente va a beneficio anche del produttore, che vedrà aumentare il sell out.
Con le dovute eccezioni. È il caso dei prodotti da trucco, che si vendono meglio nudi piuttosto che blisterati (per supportare l’etichetta antitaccheggio normalmente li s’inserisce in un blister). A fronte dell’elevata incidenza delle differenze inventariali nei prodotti da trucco: il 10% medio, per esempio, in Auchan, con punte più elevate in alcuni negozi, tali da aver portato il retailer francese a considerare di dereferenziare la merceologia, ha spinto Coty, il distributore del marchio Rimmel, second leader nel suo mercato, ad adottare l’etichetta EAS in radiofrequenza (RF) sull’intera gamma, quindi indipendentemente da considerazioni di valore unitario dei diversi item e di massimizzarne l’efficacia, inserendo prodotto ed etichetta antitaccheggio in un blister bivalve. Un “giochino” che s’è tradotto in un aggravio dei costi di produzione complessivi per Coty del 30%. Costi di cui l’azienda s’è fatta interamente carico. «L’abbiamo considerato un investimento di marketing», ha evidenziato Nadia Pizzocaro, trade marketing manager di Coty. «Siamo infatti convinti che i retailer ci premieranno per aver adottato una soluzione che va a loro beneficio, che dà loro un servizio». E non a torto, considerato che Rewe ha subito aperto una trattativa per inserire l’offerta Rimmel nella sua rete di supermercati e ipermercati. «È ovvio», ha detto Andrea Colombo, direttore acquisti Italia di Rewe, «che considerati i risicati margini della distribuzione grocery i costi dell’ST debbono necessariamente restare in capo al produttore». Assunto che fa discutere.
«Ragionando puramente in termini di costi», ha osservato Paolo Franchini, direttore commerciale di Castelcarni, «quella della protezione alla fonte per noi non è una scelta economicamente sostenibile. Abbiamo comunque accettato la proposta di Penny Market di testarne l’efficacia nella loro rete, orientandoci su un’etichetta antitaccheggio inserita in quella peso/prezzo dei vassoi». Dall’esito del test dipenderà la determinazione delle contropartite che Castelcarni potrebbe chiedere ai clienti per implementare l’ST.
Perfino per un broker di alcolici come Diageo, con marginalità certo più elevate di quelle delle carni fresche, l’adozione di una soluzione di protezione alla fonte, pur adottata in Italia su sette whisky single malt e sul rum Pampero Anniversario, non è poi detto sia sempre utile ed efficace. «Nel nostro settore», ha sottolineato Boris Agazzani, direttore logistica di Diageo, «l’operatività di tale soluzione si scontra con la prassi consolidata d’impreziosire le bottiglie sotto Natale inserendole in cofanetti di metallo o in confezioni in cartoncino con vernice metallizzata, che di fatto azzerano la funzionalità delle etichette RF-EAS». Di tutti i produttori presenti alla tavola rotonda, quello per il quale l’adozione dell’ST si è rivelato meno problematico è risultato S&M Ferrania Tecnologies. «Ciò dipende», ha spiegato Irene Castellazzi, key account gdo dell’azienda, «dal fatto che, in qualità di copacker di diverse catene, le nostre linee di confezionamento sono disegnate per poter consentire l’inserimento nei blister di cartoncini o etichette antitaccheggio differenti, senza necessità di modifiche».
La distribuzione moderna, è indubbio, si mostra favorevole a una diffusione dell’adozione di soluzioni ST da parte dei suoi fornitori. E ciò indipendentemente dal fatto che nessuna catena è ancora arrivata a calcolare con precisione in che misura l’implementazione di sistemi di protezione alla fonte riesce ad abbattere le differenze inventariali. «A cinque anni dall’implementazione dell’ST su prodotti a nostro marchio», ha ammesso Jerome Mairet, responsabile rischi e perdite di Carrefour Italia, fra cenni d’assenso dei colleghi retailer, «non siamo ancora riusciti a stabilire quanto questa soluzione rappresenti un deterrente».
In ogni modo, maggiore sarà il numero di prodotti con etichetta RF-AES, maggiori saranno le possibilità di contenere le differenze inventariali per catene come Penny Market, che si avvalgono della medesima tecnologia RF in tutta la rete, avendo approcciato solo di recente il problema. L’efficienza dell’ST potrebbe risultare invece affievolita in catene come Auchan, Bennet, Coop o Sma che hanno punti vendita dotati di tecnologie differenti (elettromagnetica, magnetoacustica, in RF) per scelte diverse fatte negli anni, o nessuna tecnologia (è spesso il caso dei negozi affiliati). «Portare tutta la rete all’impiego della medesima tecnologia», ha detto Pierangelo Larghi, responsabile security di Bennet, «può esser ritenuta una spesa eccessiva, a fronte di benefici non esattamente quantificabili». «Occorrerebbe», è stato l’auspicio di Riccardo Giuliani, direttore sistemi informativi e innovazione tecnologia di Coop Italia, «una maggiore concertazione fra industria e gdo per arrivare a processi produttivi condivisi. Sul fronte delle tecnologie, poi, sarebbe utile poter disporre di sistemi aggiornabili a seconda dei diversi livelli d’efficacia perseguiti. Oggi che lo standard EPC/RFId sta diffondendosi nella filiera delle FMCG sarebbe utile che anche per i sistemi antitaccheggio si utilizzasse ampiamente questo standard piuttosto che la tecnologia RF, che utilizza frequenze differenti».
A cura di Luisa Contri