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IoT e RFID: quando gli oggetti parlano

L’importanza degli standard per lo sviluppo dei tag in radiofrequenza: il piano di GS1 Italy per sostenere la diffusione di questa tecnologia

Dai sensori che rilevano umidità e temperatura del suolo per la gestione dei vigneti ai contatori intelligenti per la telelettura dei consumi di luce e gas. Dai semafori smart che regolano il proprio funzionamento in base al traffico alla manutenzione predittiva di un impianto aziendale per rilevare in anticipo un malfunzionamento. Viviamo immersi in una rete di oggetti capaci di comunicare tra loro. L’Internet of Thing sta permeando molti ambiti della nostra vita e, sebbene in diversi casi sia ancora in una fase sperimentale, i trend raccontano di una tecnologia destinata a essere sempre più diffusa. Proprio alle opportunità e alle sfide legate a questa tecnologia, GS1 Italy, con l’RFID Lab dell’Università di Parma, ha dedicato l’evento Quando gli oggetti parlano. Le opportunità IoT e RFID lo scorso 9 novembre, un’occasione non solo per capire il ruolo e la relazione tra RFID e IoT ma anche per comprenderne il funzionamento attraverso le case history di chi ha già implementato la tecnologia a radiofrequenza al proprio interno, come Decathlon Francia, Bonterre e GS1 Japan.

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≪La stragrande maggioranza dell’Internet degli oggetti oggi è abilitata da tecnologia RFID passiva: nel 2020 sono stati 20 miliardi gli oggetti che grazie al tag in radiofrequenza sono stati connessi all’IoT - spiega Antonio Rizzi, full professor, industrial logistics & supply chain management presso  l’Università di Parma - gli oggetti in questo modo sono in grado di comunicare con il mondo esterno in maniera automatica, di identificarsi, dire chi sono, di collegarsi al loro gemello digitale e trasferire a tutti gli stakeholder informazioni a valore aggiunto, arrivando fino al consumatore finale≫.

Quest’anno in Italia l’IoT tornerà a crescere a doppia cifra, dopo la battuta d’arresto imposta dalla pandemia nel 2020, con agricoltura, fabbrica e logistica smart sul podio dei settori più dinamici. Segnali di una ripresa in cui il tag a radiofrequenza, che consente di identificare e tracciare in modo automatico e univoco ogni oggetto su cui è applicata l’etichetta, rappresenta un driver importante, considerate anche le possibilità di questa tecnologia che viaggiano nell’ordine di migliaia di miliardi di oggetti potenzialmente connessi.

RFID e processi collaborativi: l’importanza di uno standard

Partita come una tecnologia a supporto della logistica, con impatto su produttività, accuratezza e costi, oggi l’RFID sta disegnando scenari nuovi anche per il retail e il consumatore stesso, che a tendere potrà vivere esperienze d’acquisto sempre più fluide nei cosiddetti frictionless store, dove non ci saranno code alle casse per pagare o attese per ricevere informazioni su un prodotto. Ma quali sono i casi d’uso dei tag a radiofrequenza? ≪C'è una netta distinzione tra i casi d'uso che permettono di abbassare i costi da quelli che abilitano nuovi modelli di collaborazione all'interno della filiera e quindi impattano non solo sui costi ma anche sulle vendite≫ precisa Rizzi. ≪Per quanto riguarda i primi è evidente che la possibilità di identificare automaticamente in maniera massiva gli oggetti permette di risolvere una serie di problemi come la gestione degli asset, tema comune a molte aziende del largo consumo.  Ma c'è anche la possibilità di andare più in profondità e scoprire che la maggior parte del valore è in realtà nascosta e sta nel fatto di abilitare nuovi modelli collaborativi in cui i diversi attori di filiera gestiscono il processo di supply chain in maniera integrata: grazie alla visibilità che l’RFID genera, non c'è bisogno di duplicare processi, non c'è bisogno di duplicare scorte a tutto vantaggio di un costo complessivo≫.

Per sviluppare nuovi modelli collaborativi di filiera, però, sono necessari standard condivisi, un linguaggio comune: l’RFID in sé, infatti, non consente l’interoperabilità tra sistemi e la scalabilità dei progetti. ≪LRFID è un mezzo e come tale trasferisce qualcosa - spiega Linda Vezzani, GS1 visibility and RFID standards specialist, GS1 Italy -  ma ciò che è importante capire è che cosa viene trasferito e come questa informazione viene codificata. Possiamo avere un codice proprietario, un codice cioè che viene definito da chi nomina l'oggetto che poi però deve tradurlo a tutti i suoi partner di filiera oppure si può scegliere un linguaggio internazionale, un linguaggio globale, univoco, un linguaggio interoperabile che garantisce a tutti gli interlocutori di parlare la stessa lingua. E gli standard GS1 consentono di fare proprio questo≫.

L’EPC, il codice elettronico di prodotto, è lo standard GS1 che consente l'identificazione univoca dei prodotti veicolata attraverso i tag a radiofrequenza. ≪Possiamo immaginarlo come una sorta di codice fiscale di un prodotto - aggiunge Vezzani - il codice EPC consente di identificare l’oggetto, di distinguerlo da un altro oggetto uguale ma non è un data carrier, è l’informazione che vogliamo veicolare col tag a onde radio.≫ L’EPC, generato a partire dal GTIN, il Global Trade Item Number utilizzato per identificare i prodotti e i colli destinati alla vendita nella GDO e online in tutto il mondo, che può essere completato da un identificativo seriale per identificare non la referenza ma ogni singolo prodotto: ≪Se noi siamo in grado di definire univocamente l'identità di un singolo pezzo siamo in grado di sapere in ogni momento del suo ciclo di vita, ma anche dopo nella fase di eventuale smaltimento, tutte le informazioni che afferiscono a questo specifico pezzo≫, sottolinea Vezzani. E l’efficacia della tecnologia RFID con standard GS1 è testimoniata dai risultati ottenuti da aziende come Decathlon, che ha adottato lo standard EPC/RFID a livello di item su tutti i prodotti presenti negli store, e di Bonterre, gruppo nato dalla fusione tra Grandi salumifici italiani e Parmareggio, che l’ha applicato su ogni unità logistica, con benefici, in entrambi i casi, in termini di aumento della visibilità, della produttività, dell’affidabilità e del controllo delle scorte di magazzino. Ma c’è anche il caso emblematico del Giappone, dove è il pubblico a spingere per l’adozione di questa tecnologia: nel 2017 il governo insieme a cinque catene di convenience store e a GS1 Japan, ha infatti avviato una sperimentazione per arrivare a inserire il tag RFID su tutti i prodotti entro il 2025 con benefici economici per i consumatori stessi.

L’RFID per il largo consumo

Nell’agenda 2021-2022 di GS1 Italy c’è un piano per sostenere la tecnologia RFID e l’utilizzo dello standard EPC; lo racconta Massimo Bolchini, standard development director di GS1 Italy: ≪Abbiamo iniziato a parlare di questi temi nel 2007 creando un laboratorio proprio qui a Milano. - Ora il contesto sta cambiando e noi come GS1 Italy abbiamo definito un piano di azione per tornare prima di tutto a parlare di questi temi, della visione di questa tecnologia, della necessità di formare capitale umano≫ per affrontare quella che molti definiscono come la quarta rivoluzione industriale.

Il primo passaggio di questo piano è un sondaggio tra le imprese utenti del sistema GS1 del largo consumo, dell’apparel e dell’healthcare, per verificare il livello di conoscenza e di diffusione della tecnologia RFID e per sondare l’intenzione ad adottarla in futuro. Dati strategici per poter definire le azioni di intervento di GS1 Italy nel 2022.

Rivivi l’evento “Quando gli oggetti parlano. Le opportunità IoT e RFID” del 9 novembre 2021.