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Gli standard GS1 nel retail omnicanale

Un viaggio all’interno della value chain del largo consumo per scoprire quali strumenti e standard GS1 possono facilitare e render fluidi i processi. E nella prospettiva del retail omnicanale il nuovo standard Digital Link

GS1 Italy aiuta le aziende del largo consumo a rendere più fluidi i processi, a migliorare e relazioni, a ridurre i costi e a creare esperienze per il consumatore attraverso un ecosistema di soluzioni per l’identificazione e l’interoperabilità, il cui fondamento è il codice a barre, vera e propria chiave di accesso all’omnicanalità: l’integrazione tra i punti di vendita fisici, l’e-commerce e i market place.

Nel recente webinar di GS1 Italy dedicato al ruolo degli standard nell’omnicanalità è stato proposto un viaggio all’interno della value chain del largo consumo e scoprire quali strumenti e standard GS1 possono facilitare e render fluidi i processi.

Cambiato il paradigma dell’e-commerce

Proprio dall’e-commerce prende le mosse Valentina Pontiggia, direttore Osservatori eCommerce B2C e Innovazione digitale nel retail Politecnico di Milano. Già nel corso del 2019 l’e-commerce si è caratterizzato come il motore per tutto il retail, essendo responsabile del 65% della sua crescita. Ma con il lockdown si è dimostrato il canale essenziale per mantenere le relazioni con i consumatori. Con il 57% dei negozi chiusi dopo il Dpcm dell’11 marzo, sono cambiati gli equilibri tra i canali: sono cadute le barriere all’acquisto sul lato della domanda (nel food & grocery la domanda si è moltiplicata per dieci), mentre l’offerta si è comportata in maniera diversa in funzione dei beni venduti con misure per il potenziamento del servizio come le azioni sui consumatori per regolamentare gli accessi ai siti e limitare gli acquisti (code virtuali, limiti di spesa, spesa settimanale, ecc.), ma anche, per i beni non necessari, rallentamento o chiusura di alcuni siti, consegne gratuite per altri, investimenti sul digitale. Con il risultato che alcuni settori sono cresciuti significativamente (casa, ufficio, cura persona, food & grocery) e altri sono calati drammaticamente (turismo, abbigliamento).

Dopo il lockdown che cosa resta? «Se le prenotazioni turistiche e i viaggi non riprenderanno, possiamo aspettarci una riduzione dell’e-commerce totale, ma anche una crescita del tasso di penetrazione online di un paio di punti percentuali» afferma Pontiggia. Già nei mesi di lockdown sono stati stimati da Netcomm 2 milioni di nuovi clienti dell’online a causa del Covid-19, e ci si attende che una buona parte di loro continuerà ad acquistare online. La recente rilevazione dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, poi, stima che gli acquisti online di prodotto dei consumatori italiani varranno nel 2020 22,7 miliardi di euro con una crescita annua del +26%, 4,7 miliardi in più rispetto al 2019. E gli acquisti da smartphone nel 2020 saranno pari a 12,8 miliardi di euro, con un incremento del +42% rispetto ai 9 miliardi di 12 mesi fa.

Per il food & grocery online l’emergenza sanitaria ha rappresentato un banco di prova importante, non solo perché gli acquisti varranno a fine 2020 circa 2,5 miliardi di euro con un balzo avanti del +56%, ma anche perché, proprio complice le chiusure dei ristoranti nella prima fase, sono cambiati gli equilibri all’interno del settore, con il grocery che, con vendite pari a 854 milioni di euro (+85%), ha preso il sopravvento sul food delivery e sull’enogastronomia.

Per un’analisi più accurata del food & grocery online leggi Con la spesa online la casa è diventata un negozio

Verso modelli di vendita integrati

Diventa quindi fondamentale per gli operatori conquistare nuovi consumatori e trattenere i nuovi clienti. A questo obiettivo sono dedicati gli investimenti in comunicazione e marketing, per esempio, che per incrementare il numero di utenti stanno indirizzandosi soprattutto verso i nuovi canali, dove il termine shoppability sarà una costante nel nostro futuro.

Dall’esperienza della pandemia emergono quindi nuovi comportamenti del consumatore, più digitale e più povero, quindi con un calo vistoso dei consumi, fattori che spingono il retail a una maggiore integrazione omnicanale e una forte attenzione al prezzo. «È difficile – sostiene Pontiggia – far convivere i due modelli di retail che stanno emergendo: quello che fa leva sul prezzo (come Aldi In Usa) e quello dell’integrazione omnicanale (WalMart e Amazon). L’e-commerce richiede costi aggiuntivi, un’educazione del consumatore che paghi per i servizi supplementari affinché il business sia sostenibile. È una fase difficile perché è difficile comprendere il comportamento del consumatore ed è determinata dai cambiamenti ma anche dalla continuità». Non senza apparenti contraddizioni. Se Primark rinuncia all’e-commerce per non pesare sui costi, Zara annuncia investimenti per 1 miliardo di euro nel digitale e la chiusura di 1200 punti vendita, ma contemporaneamente individua nel click & collect la formula più idonea allo sviluppo dell’e-commerce.

È infatti sul punto vendita che si attendono i maggiori cambiamenti, lungo tre aree di investimento secondo i sei top retailer italiani intervistati: la conoscenza del cliente, il miglioramento dell’esperienza in store, l’aumento dell’efficienza interna. A fare da collante trasversale vi è l’utilizzo del digitale per la raccolta dei dati allineati con l’online. Il punto di arrivo sono nuovi negozi con obiettivi non più transazionali, ma relazionali. «Il negozio non muore, cambia forma. E le grandi superfici stanno andando in crisi», commenta Pontiggia.

Di questa traversata verso la gestione dell’omnicanalità il retail italiano ha ormai gettato le basi, anche se la trasformazione è molto lenta: seppure in crescita, gli investimenti in digitale sono solo l’1,5% del fatturato e la voglia di sperimentazione fatica a estendersi alla rete. Tuttavia l’effetto lockdown ha apportato alcune variazioni. Nel 2020 l’80% dei 300 top retailer italiani fa e-commerce e ha un sito ottimizzato mobile e il 43% una app con caratteristiche però più di comunicazione che di vendita. Per quanto riguarda i modelli integrati omnicanale, il 65% propone il click & collect, con tre modalità di pagamento, il 34% offre il reso offline degli acquisti online e il 30% la verifica online della disponibilità in store.

«Nell’offerta di modelli di vendita integrati – sottolinea Pontiggia – manca però la capacità di gestire le informazioni recuperate in canali diversi rendendoli organici e generatori di insights (solo il 9% dei primi 60 operatori raggiunge questo obiettivo) e l’integrazione delle operations (inventario, ordini, strutture di evasione ordini, con percentuali variabili dal 50% al 63%). In generale possiamo individuare ancora tre barriere allo sviluppo omnicanale: la mancanza di una visione d’insieme delle organizzazioni, la persistenza di una cultura aziendale avversa al cambiamento e la mancanza di nuove competenze (data scientist) e ruoli che abbiano competenze miste tra business e tecnologie».

Figura 1 – Lo stato dell’omnicanalità in Italia (2020 vs 2019)

Fig. 1 gs1 e omnicanalità_Rid.jpg

Fonte: Politecnico di Milano “osservatori.net” 2020

Il ruolo degli standard

Come possono allora le aziende migliorare la custormer journey e quali strumenti hanno a disposizione?

L’ecosistema di GS1 Italy mette a disposizione delle imprese standard, servizi e soluzioni per aiutarle a sviluppare, gestire e utilizzare i contenuti digitali ottimizzati e standardizzati nello scenario omnicanale.

«Per ottenere questo risultato, occorre che nei vari canali informativi e di vendita siano presenti le informazioni di prodotti nella medesima versione, più aggiornata e certificata dal produttore», spiega Ermanno Bertelle, training and HR manager GS1 Italy.

È ciò che fanno Immagino e Condivido. Il primo riguarda la digitalizzazione di tutte le informazioni presenti sul pack del prodotto, comprese le immagini della confezione stessa secondo gli standard GS1. Il secondo è una piattaforma di digital asset management condivisa tra produttore e distributore secondo una logica many to many. «Fino ad ora – precisa Bertelle – gli scambi dei contenuti avvenivano tra le aziende e all’interno delle stesse in maniera destrutturata con processi manuali, in parti diverse, con una proliferazione di file obsoleti e non corretti, generando errori, perdita economica e, in ultima analisi, un impatto negativo nelle relazioni tra Industria e Distribuzione. Condivido apporta quindi una serie di benefici: per il produttore mantiene la coerenza del marchio su tutti i canali, riduce i tempi e i costi per la condivisione dei contenuti, migliora la produttività interna per le attività di product content management e misura l’efficacia e il ROI dei contenuti. Per il distributore arricchisce il catalogo prodotti con contenuti esclusivi inviati dai produttori, riduce tempo e costi per l’aggiornamento del catalogo prodotti, personalizza la comunicazione in base agli interessi dei clienti, oltre ad altri benefici in comune con il produttore».

Quanto sia importante lavorare per ottenere processi più fluidi ce lo dice anche una ricerca condotta da Politecnico di Milano che, prendendo come rifermento 100 visitatori di siti di e-commerce, calcola che solo 1,6 acquistano realmente il prodotto ricercato. Gli altri si perdono lungo il processo: il 44% è il bounce rate, il 76% è il tasso di abbandono durante la ricerca e addirittura l’88% è l’abbandono del carello all’ultimo momento per problemi legati al pagamento, alle spese di spedizione o per un ripensamento.

Anche nella logistica dell’ultimo miglio, che può diventare, come hanno dimostrato le settimane di lockdown, un collo di bottiglia, occorre concentrare molti sforzi.

Sono tre i modelli di consegna che si stanno strutturando: il magazzino, il dark store e il click & collect (nelle varianti & drive, & store, & locker), con un rapporto inversamente proporzionale tra investimento iniziale e costi di picking.

«C’è un forte lavoro da fare su diversi fronti – afferma Pontiggia – dal checkout (sistemi di pagamento, rateizzazioni, pagamento alla ricezione e non all’ordine, memorizzazione e identificazione clienti, per esempio), a una maggiore ricchezza informativa sulle opzioni di consegna, oltre che migliorando le funzionalità dei siti e-commerce per abbattere le barriere. In questa fase si sta lavorando molto per ampliare la base utenti, con la ricerca di nuovi target e cercando di trasformare il web user in web shopper».

Identificazione, condivisione, tracciabilità

Dalla scelta alla consegna quindi il processo del consumatore omnicanale deve poggiare su una serie di processi robusti, oliati attraverso gli standard. «Le attività di standardizzazione di GS1 Italy – afferma Andrea Ausili, data & innovation manager GS1 Italy  – avviene in tre direzioni: l’identificazione di un’unità materiale o immateriale attraverso i codici, di cui il GTIN® è l’esempio più conosciuto e prevalente, la loro rappresentazione attraverso simbologie come il barcode o tecnologie come l’EPC-RFID e lo scambio dei dati per la gestione delle informazioni, siano esse anagrafiche (lo standard è GDSN® Global Data Synchronisation Network), transazionali (EDI) o di eventi che accadono a un prodotto lungo la filiera (EPCIS), a supporto della tracciabilità dei prodotti».

Su questa struttura di standard si innestano gli altri servizi di GS1 Italy per le imprese, come Codifico che registra le informazioni di base del prodotto al quale è stato assegnato un codice e genera il codice a barre. Come Immagino, di cui si è detto. E come Allineo, per la condivisione delle informazioni anagrafiche di prodotto, il cosiddetto catalogo elettronico a standard GDSN, che consente a ciascun produttore di fornire le informazioni anagrafiche dei prodotti aggiornate utilizzando una rete di data pool, comprese quelle sulla gerarchia di imballi lungo la fase logistica, a qualunque partner commerciale nel mondo.

La possibilità di tracciare un prodotto dall’origine al consumo è garantita dallo standard EPCIS che consente di tenere traccia di che cosa, dove, quando e perché sta accadendo un particolare evento, migliorando la gestione dell’inventario, l’accuratezza dell’ordine e la riduzione degli errori di fatturazione, l’efficienza operativa nei processi di business e supportando le misure di anticontraffazione sul versante dei rapporti B2B.

«Ma la tracciabilità è a supporto anche dei consumatori che intendono conoscere la storia del prodotto che stanno per acquistare, come l’origine, gli ingredienti utilizzati, il livello di sostenibilità della produzione», spiega Ausili. «Trattandosi della definizione e raccolta di dati dinamici, spesso si tende a identificare la tracciabilità con la blockchain, la tecnologia basata sul registro distribuito e condiviso dei dati raggruppati e memorizzati in blocchi concatenati in ordine cronologico immutabili grazie alla crittografia e a meccanismi di consenso che validano la transazione. Lo standard EPCIS definisce i dati che possono essere registrati in qualsiasi tipo di database, inclusa la blockchain, operando una distinzione netta tra dati e database utilizzato».

Figura 2 – EPCIS: la cattura degli eventi lungo la filiera

Fig. 2 - GS1 e omnicanalità_Rid.jpg

Fonte: GS1 Italy, 2020

Perché allora si parla tanto di blockchain? «Perché la gran parte dell’interesse sulla blockchain è associato alla possibilità di condividere dati tra aziende diverse. Ma se per alcuni settori è un concetto totalmente nuovo, per alti dove la condivisione è un tema noto, la blockchain riporta in evidenza quanto sia importante condividere dati superando i silos organizzativi. La blockchain, quindi è una tecnologia potente e promettente, ma non sempre sembra essere la soluzione migliore. Certamente ha il merito di riportare all’attenzione delle imprese il tema dell’interoperabilità è ancora una volta l’adozione di standard come quelli GS1 permette lo scambio tra applicazioni diverse e sono a supporto dell’interoperabilità tra i vari ecosistemi», risponde Ausili.

Il prodotto, nuovo canale media

Se, come abbiamo visto, l’obiettivo dei retailer è quello di presidiare in modo adeguato entrambi gli universi fisico e digitale con la stessa attenzione in chiave di omnicanalità, anche gli standard GS1 contribuiscono a costruire una vista digitale di ogni prodotto fisico. Lo fanno con Immagino, come abbiamo detto, che consente di costruire un universo di informazioni e descrizioni del prodotto online come si costruisce una narrazione del prodotto fisico, con tutti i suoi attributi informativi. «Oggi, però, con il nuovo standard GS1 Digital Link – spiega Ausili – è possibile costruire un url che include nell’indirizzo il codice di identificazione del prodotto (GTIN) e collega il prodotto fisico all’universo di informazioni che lo riguardano, offrendo una vista unica, anche a livello molto dettagliato, supportando i processi, come la tracciabilità con l’aggiunta del lotto o di un seriale, o le informazioni di origine dei prodotti trasformati, fino alla data di scadenza del singolo esemplare per supportare operazioni di prezzo dinamico offline oppure online. Perché attraverso una infrastruttura di reindirizzamento, l’indirizzo può portare a diverse destinazioni sul sito del proprietario del marchio o anche del retailer con finalità diverse: pagine generiche, ricette, materiali di comunicazione, foglietto illustrativo per i medicinali, sito di e-commerce del retailer per fare alcuni esempi. L’unico vincolo è che la struttura dei siti sia accurata e completa. Il Digital Link consente quindi di gestire opportunamente le componenti informative del prodotto per utilizzi diversi».

Il Digital Link, inoltre, apre una prospettiva diversa per il futuro. Un futuro con un unico simbolo sul packaging del prodotto. «La proliferazione di codici alla quale siamo abituati non avrebbe più senso, perché il Digital Link supporta tutti i processi sia tra le imprese he alle casse – aggiunge Ausili – e il prodotto si configurerebbe come un nuovo canale media. Da un lato connettendolo ai consumatori, dall’altro semplificando la condivisione dei dati B2B. Inoltre è basato su standard royalty free e non proprietario. In un futuro non troppo lontano, il Digital Link apre la strada alla serializzazione, con l’identificazione più dettagliata di ogni singolo esemplare di prodotto, anche in settori non ancora regolamentati e all’evoluzione delle simbologie presenti sui packaging, più potenti e capaci di veicolare un maggior numero di informazioni, come i codici a due dimensioni, QR e Datamatrix nello specifico».

A cura di Fabrizio Gomarasca  @gomafab