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Le cause dell’out-of-stock si possono individuare

Con il Monitor ECR-OSA viene messo a punto un processo collaborativo, operativo e replicabile per evidenziare le situazioni alle quali fare attenzione e porvi rimedio

La gestione della disponibilità di prodotto a scaffale è un tema centrale nella complessità delle operation della distribuzione moderna e di questo GS1 Italy in ambito ECR si occupa da anni. Il Barometro Osa tiene sotto controllo mensilmente le percentuali di out-of-stock e di vendite perse per canali e per alcuni reparti, indicatori utili, misurati secondo logiche standard, per il miglioramento del livello di servizio al cliente. Un acquirente su due infatti, come emerge dalla ricerca propedeutica a tutto il progetto OSA a partire dal 2014, dichiara di essere infastidito dal mancato reperimento sullo scaffale del prodotto ricercato. Con conseguenti ricadute negative sia sui produttori sia sui distributori.

Ora è il momento del Monitor ECR-OSA, di cui si è occupato il webinar “Riconoscere le cause dell’out-of-stock è possibile!”, che ha delineato gli estremi di un processo standardizzato, di sistema e facilmente replicabile per risalire alle cause delle rotture di stock.

Un processo di sistema replicabile

Un gruppo di lavoro ristretto composto da tre produttori (Barilla, Ferrero, L’Orèal) e un distributore (Dimar-Gruppo Selex) ha partecipato al progetto pilota che ha consentito di sviluppare il modello Monitor OSA.

«L’obiettivo di questa sperimentazione – spiega Marco Colombo, solutions & innovation director IRI, che ha collaborato come solution provider a tutte le fasi del progetto OSA – è quello di testare uno strumento collaborativo, nato dal confronto e dalla sinergia tra il mondo dell’Industria e quello della Distribuzione, che consenta la lettura dei dati tramite un modello standard e ad accesso condiviso. A questo scopo occorreva definire indicatori per misurare e monitorare il fenomeno e proporre un albero di causali e delineare un processo facilmente replicabile per garantire una corretta condivisione delle informazioni e che sia a disposizione delle imprese qualora decidano di implementarlo».

È stato un lavoro che ha richiesto una lunga e attenta opera di messa a punto delle caratteristiche del processo (accessibilità, operatività, semplicità, replicabilità) e di individuazione delle sue fasi.

A partire da quella di process design, che si è concentrata sulla definizione delle fonti dei dati per la loro raccolta ed elaborazione secondo regole condivise concordate con le aziende distributive per passare alla fase test di raccolta, profilazione e validazione dei dati.

In particolare i dati fanno riferimento a due assi principali: quello dei fatti e quello delle dimensioni

«Al primo – dice Colombo – appartengono le informazioni (inventory) relative al livello di stock osservato/registrato ogni giorno all’ora di rilevazione concordata  (10.30 carico mattutino terminato, dati riordino aggiornati) nella posizione di supply chain definita come punto di vendita, quelle della quantità di merce in uscita/ingresso da o verso il punto vendita (shipment) e quelle riguardanti la quantità di merce in uscita dalla barriera casse del punto di vendita e acquistata dal consumatore finale (sell-out).Le dimensioni, invece, riguardano i file di supporto che offrono le informazioni e gli attributi descrittivi dei punti vendita, dei prodotti e produttori inclusi nei flussi transazionali e del flag promo, l’indicatore dello status promozionale o regolare della referenza-negozio-giorno, ricavato dal Barometro OSA».

Va detto che nella profilazione dei dati è stato tenuto conto di situazioni di eccezione da codificare (per esempio stock negativi, mancata trasmissione del dato di stock o altro) e che ogni retailer può avere sistemi di gestione autonomi da tracciare nella fase di profilazione. «Il data profiling – sottolinea Colombo – è la chiave per la definizione delle procedure operative standard di trattamento del dato». La struttura della base dati, in ogni caso, garantisce un accesso puntuale a livello di punto vendita, giorno GTIN e permette di consolidare e rielaborare le informazioni secondo aggregati di periodo, negozio, giorno.

Esaurita questa fase il gruppo di lavoro si è concentrato sul modello di reporting, strumento di sintesi settimanale contenente le informazioni rilevanti definite come indicatori di performance: i dati di stock aggregati per produttore, categoria, prodotto, occorrenza di OOS, giorni di copertura, eccetera).

A questo punto è possibile identificare le cause per ognuno dei tre tipi di stock identificati. Con riferimento all’albero delle causali ECR, identificando quelle più significative.

Figura 1 – Albero delle causali

Fig 1 Monitor Osa.jpg

Fonte: GS1 Italy “Blue Book OSA da progetto a processo” 2017

Ma con i dati a disposizione sono state indentificate come causali di OOS da monitorare le vendite eccezionalmente alte, la copertura media bassa, lo stock contabile negativo (stock inferiore a zero), stock e vendite incongruenti (stock meno di zero e vendite più di zero), lo stock dimenticato o mancante.

Tutte le fasi del processo sono riassunte e spiegate accuratamente nel Monitor ECR-OSA, il documento di sintesi realizzato per condividere un insieme di raccomandazioni e per supportare le aziende nell’implementazione del processo.

I benefici e la personalizzazione

«Sono diversi i benefici evidenziati nel gruppo di lavoro: in primo luogo la possibilità di consultare una base dati di qualità, con una visione semplificata su dati rilevati, sui KPI misurati e sulle causali identificate grazie alla redazione di un report automatizzato. Vi è poi la visibilità sulle causali di out-of-stock per singolo codice prodotto, che è un utile punto di partenza per delineare situazioni su cui focalizzare l’attenzione. Infine l’attivazione di uno scambio di informazioni tra produttori e distributore veloce, chiaro e preciso, ha reso più rapido il processo di comprensione di un problema», conclude Colombo.

A questo riguardo si è rivelato importante il coinvolgimento delle diverse competenze aziendali all’interno delle organizzazioni produttive e distributive per una corretta interpretazione dei dati evidenziati dalla lettura dei report settimanali.

Proprio su questo ambito si è sviluppato l’approccio di Dimar. «L’out-of-stock significa out-of-business – dice Michele Dardanelli, responsabile replenishement Dimar, che da l 2016 ha aperto un tavolo di lavoro sull’OSA ed è stata coinvolta nel progetto pilota sul Monitor – perché il focus è sul miglioramento del servizio al cliente. Ciò ha determinato lo sviluppo di una reportistica ad hoc per metriche e per strutture, consentendoci di analizzare gli indici di nostro interesse per poter intervenire con efficacia. Per sfruttare al meglio il set di informazioni di cui disponiamo abbiamo coinvolto tutte le cinque aree aziendali in modo trasversale, mettendo a disposizione una fonte univoca per l’analisi a seconda delle competenze: l’area vendite e organizzazione del lavoro, l’area acquisti per quanto riguarda i Ce.Di., quella space allocation, la logistica e il riordino. Un aspetto che abbiamo rilevato incrociando i vari kpi, in particolare la relazione tra l’indice di rotazione e il livello di servizio per punto vendita, è che bisogna ridurre gli overstock inutili nei punti vendita, ottimizzando gli acquisti: in questo modo abbiamo meno sprechi nella supply chain e un miglior servizio al cliente. Sapere dove potere operare è un vantaggio e disporre a livello di sistema di strumenti specifici è decisamente importante».

Colombo osserva che proprio l’esempio di Dimar testimonia il fatto che non esiste un livello di out-of-stock considerato accettabile: «Dipende infatti da diversi fattori: dallo storico di cinque anni di osservazione, esistono condizioni e valori di OOS in funzione di punti vendita, periodo dell’anno, categorie, condizioni promozionali-non promozionali. La cosa migliore è il confronto attraverso benchmark non con una media generica, ma su categorie e competitor con le stesse caratteristiche gestionali. L’azzeramento dell’out-of-stock è irraggiungibile e non sostenibile. Esiste invece un livello accettabile ma solo secondo alcuni parametri espressi». E il Monitor OSA è lo strumento insostituibile per raggiungerlo.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab