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Non solo Arese, il lato oscuro dei centri commerciali

Ad Arese ha aperto un nuovo shopping center da 200 negozi, che sta facendo impazzire il traffico e creando entusiasmi collettivi. Ma quanti dei 2.500 posti di lavoro rimarranno, quando i negozi dei centri storici chiuderanno? E cosa ne faremo dei piccoli centri commerciali che chiuderanno?

A Milano, e soprattutto nella parte nord dell’area metropolitana, non si parla d’altro. Da giorni le bacheche di Facebook, le chiacchiere al bar e le file chilometriche sulla statale Varesina e sull’autostrada A8 indicano tutte una direzione: Il Centro, un nuovo e grande centro commerciale che ha aperto lo scorso mercoledì 14 aprile, ad Arese. E i motivi per parlarne sono tanti: è il centro commerciale più grande d’Italia - per qualcuno anche d’Europa, ma il primato è contestato-; sorge sull’area iconica della storica fabbrica dell’Alfa Romeo, vicino al nuovo museo dedicato al marchio automobilistico.
Ha oltre 200 negozi, tra cui alcuni molto rari in Italia, come Kfc (fast food di pollo fritto) o al loro debutto, come il negozio di abbigliamento chic&cheap Primark o quello della Lego, portato dall’onnipresente gruppo Percassi, o ancora con formati all’avanguardia, come l’Iper. E, soprattutto, è molto bello, con un disegno Davide Padoa, Michele De Lucchi (quello del Padiglione Zero di Expo, per intenderci) e Arnaldo Zappa e il recupero della storica pista di prova dell’Alfa Romeo. A mettere una ciliegina sulla torta, nei comunicati ufficiali ripresi da tutti i giornali, ci sono i 2.000 posti di lavoro diretti che ha generato (per l’azienda, contando anche gli indiretti, si arriverebbe a 5.000 posti di lavoro). Ci sarebbe solo da festeggiare, se però la realtà non richiedesse di guardare a strutture come queste con uno sguardo più ampio per il loro effetto sul territorio. Le domande da porsi sono almeno tre:

  • Quale sarà il bilancio dei posti di lavoro, tra quelli creati e quelli distrutti dalla chiusura di altri negozi?
  • Quale sarà l’effetto sugli altri centri commerciali della zona e sui centri storici?
  • Con la stagnazione dei consumi che perdura da anni, questo mall - progettato nel 2008, quando la crisi globale era ancora ai suoi albori, e che ha ricevuto il permesso di costruire nel 2013, a 13 anni dalla prima richiesta - sarebbe stato approvato?

Le risposte vengono da una serie di operatori, studiosi e amministratori contattati da Linkiesta, e sono, in breve: i posti di lavoro sono aggiuntivi, anche se solo in parte; l’effetto sui centri commerciali vicini sarà dirompente; i centri storici richiederanno sforzi straordinari per evitarne la desertificazione; oggi un progetto del genere non sarebbe con ogni probabilità stato approvato.
Qual è il messaggio che arriva alla politica? Che i trend di mercato non si devono ostacolare, ma, da un punto di vista economico, non bisogna più negare che i benefici per alcuni producono esternalità negative per molti. La stessa Regione Lombardia sembra averlo capito e già da due anni ha posto in essere una regolamentazione molto più stringente per le nuove autorizzazioni. Intanto, però, altri due giganti arriveranno nei pressi di Milano.

Occupazione, tasse, viabilità: l’impatto dei giganti

«Non raccontiamoci favole». Mariano Bella è il direttore dell’ufficio studi di Confcommercio. È un economista dai modi compassati, ma sul fatto che i nuovi posti di lavoro generati da un centro commerciale siano aggiuntivi si accalora e invita a riflettere. «Se l’apertura di nuovi spazi commerciali avesse come effetto un aumento dei posti di lavoro e dei consumi, avremmo risolto tutti i problemi dell’Italia e dell’umanità». La realtà è che la domanda dei consumi in Italia è asfittica da anni e la torta, come si dice, va divisa: a fronte di nuovi negozi, ne chiudono altri. Una battaglia che sta conducendo da anni anche un’altra sigla di categoria, Confesercenti. Trovare un dato obiettivo sugli effetti combinati tra aperture e chiusure è però un’impresa tutt’altro che facile. Per ora ad Arese le polemiche si limitano alla mancata assunzione degli ex operai dell’Alfa Romeo nello shopping center.

I centri storici e la desertificazione

Per uscire dai luoghi comuni e dalle eccezioni alla regola, la Confcommercio ha di recente effettuato un’analisi sulle dinamiche di aperture e chiusure di punti vendita e di ristorazione nei centri storici e nelle periferie di 39 città medie italiane. La conclusione: nelle città medie, quelle con i centri storici più riconoscibili, la diminuzione (-17%) è stata maggiore che nelle altre città (-6%), in parte compensata dall’aumento del commercio ambulante. E i negozi nei centri storici sono diminuiti più di quelli in periferia.

Un fattore su cui tutti gli osservatori si trovano d’accordo è che per rivitalizzare i centri storici le grida non bastano. Se si vuole riportare le persone in centro, e in molti casi si è riuscito, la strada passa in primo luogo dall’accessibilità: servono parcheggi di prossimità, convenzioni con i commercianti che portino a sconti sui parcheggi per chi acquista e, come avvenuto a Modena, navette gratuite da questi alle aree commerciali del centro. Servono anche accordi sugli orari di apertura, con prolungamenti concordati in determinati giorni. Serve, da parte dei comuni, creare eventi che portino le persone nelle aree pedonali del centro. Uno strumento già molto usato a questi scopi è quello dei “centri commerciali naturali”. Spiega l’assessore Parolini che la Regione Lombardia è intervenuta su questi aspetti «con risorse importanti» che hanno previsto anche delle operazioni per abbassare i canoni di affitto in centro. Un progetto del genere è, ad esempio, in lavorazione a Brescia. «La chiusura dei negozi è come una malattia - spiega l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia -. Se chiudono un paio di negozi importanti, seguono in breve tutti gli altri. Per questo è importante utilizzare anche gli spazi inutilizzati, per esempio con delle mostre nei negozi chiusi». Un invito a non giocare in difesa arriva anche da Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Bisogna sempre chiedersi se l’immobilismo abbia senso. Io penso di no: è troppo facile fare appelli per i centri storici e poi ritrovarsi a fare la spesa nei centri commerciali o online, perché è più semplice. Quando un centro commerciale apre diventa uno stimolo a migliorarsi per le attività che ha intorno. Tanto più se, come quello di Arese, ha una sua bellezza estetica, che non va sottovalutata».

a cura di Fabrizio Patti