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80 euro - Ma l’effetto sui consumi del bonus c’è stato

Gli 80 euro in busta paga hanno fatto crescere la spesa delle famiglie per consumi. I risultati diversi ottenuti con gli stessi dati nascono da una diversa classificazione, che assegna tra i non beneficiari famiglie che invece hanno ottenuto il bonus. E nuove stime confermano gli effetti positivi.

Stessi dati, risultati diversi. Paolo Pinotti contesta i risultati delle nostre stime degli effetti sul consumo del bonus Renzi illustrati sinteticamente in un precedente articolo su lavoce.info. Pinotti usa gli stessi nostri dati (messi a sua disposizione dall’Inps, che li ha ottenuti indipendentemente dall’Istat e dall’Agenzia delle entrate) e trova effetti più contenuti o trascurabili di quelli da noi stimati.
Le nostre stime suggeriscono effetti in media elevati, seppure con bassa precisione. Quest’ultimo aspetto – la limitata precisione delle stime – caratterizza sia i nostri risultati sia quelli di Pinotti e riflette l’elevata variabilità dei consumi famigliari nel totale e nelle singole categorie, da un mese all’altro – in parte riflesso di errore di misura. Trattandosi degli stessi dati, la differenza della stima dell’effetto medio deve dunque risiedere nel trattamento degli stessi, o nel disegno della stima.
Qui rispondiamo ai rilievi sollevati da Pinotti sull’entità dell’effetto del bonus sulla spesa e tralasciamo le sue considerazioni più generali e speculative sulla validità della misura e i suoi potenziali effetti distributivi. La differenza tra le due stime origina presumibilmente dal fatto che Pinotti ignora un dettaglio importante nella definizione delle famiglie beneficiare. Considerato questo, otterrebbe le nostre stesse stime.

Sfruttando il fatto che il diritto a percepire il bonus dipende dal superare o meno una certa soglia di reddito, si può testare se il bonus abbia avuto un effetto comparando i consumi delle famiglie che stanno poco sopra con quelle che stanno poco sotto la soglia, in quanto molto simili. Se il bonus ha avuto un effetto, le famiglie poco sopra la soglia dovrebbero mostrare una spesa più elevata di quelle poco al di sotto nei mesi successivi all’adozione del provvedimento, ovvero da giugno del 2014 in poi. È intuitivo che se si fanno errori di classificazione e si assegnano sotto la soglia famiglie che hanno percepito il bonus (o viceversa), l’esercizio (noto come Regression Discontinuity Design) può essere seriamente distorto, e la distorsione va esattamente nella direzione di non trovare alcun effetto anche quando c’è. Se ad esempio ci sono trecento famiglie che hanno percepito il bonus e cinquanta no, quelle che lo hanno percepito spendono, grazie al bonus, 1.080 e quelle che non lo hanno percepito 1.000, ma se cento delle famiglie che hanno percepito il bonus vengono classificate erroneamente sotto la soglia – e quindi come non percettori – si concluderà che la differenza nella spesa, e quindi nell’effetto del bonus, non è 80 ma solo 27.

Ne segue che due sono le scelte principali da fare. Primo, come si definiscono le famiglie che stanno sopra e sotto la soglia; secondo, quali famiglie si confrontano. Trattandosi di dati con notevole varianza, piccoli errori nel classificare le famiglie al di sotto o al di sopra della soglia possono impedire di isolare l’effetto del bonus sulla spesa. La scelta del campione in parte è discrezionale e bilancia l’esigenza di avere famiglie molto comparabili intorno alla soglia con quella di includerne abbastanza per garantire una numerosità il più possibile elevata. Contrariamente a quanto afferma Pinotti, non restringiamo il campione alle famiglie monoreddito, ma includiamo anche le altre tipologie. Nel fare ciò, utilizziamo diversi criteri per selezionare il reddito di riferimento su cui calcolare la distanza dalla soglia e nessuno  influisce in maniera sostanziale sulle stime.

La differenza tra i risultati da noi ottenuti e quelli mostrati da Pinotti non dipende dunque dalla definizione del campione. Quello che osserviamo è invece che i risultati sono molto sensibili a come vengono definiti i potenziali beneficiari del bonus, ovvero chi si mette sopra e sotto la soglia. Questo non sorprende alla luce di quanto detto sopra. Secondo il provvedimento (articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66), beneficiano del bonus coloro per i quali il datore di lavoro prevede un reddito annuo inferiore ai 24-26mila euro, a condizione che la tassazione lorda (23 per cento per i redditi sotto i 15mila euro) sia maggiore della detrazione da lavoro dipendente.
Poiché la detrazione da lavoro dipendente è proporzionale al numero di giorni lavorati (articolo 13 del Tuir), la soglia di reddito oltre la quale si ha diritto al bonus è si pari a 8.145 per coloro che hanno lavorato l’intero anno, ma è più bassa per coloro che hanno lavorato meno di 365 giorni (che corrispondono a circa il 40 per cento del campione). Affinché l’analisi sia accurata è dunque necessario considerare per ciascun individuo la propria soglia di riferimento. Ciò equivale approssimativamente ad applicare la soglia di 8.145 sui redditi standardizzati all’anno. Non fare questa standardizzazione espone al rischio di assegnare erroneamente alcune famiglie beneficiarie del bonus al di sotto della soglia, o di non valutarne correttamente la distanza dalla soglia. Se ignoriamo la standardizzazione, otteniamo in effetti una distribuzione del bonus in base al reddito, illustrata nella figura 1a, molto simile a quella riportata da Pinotti nella sua figura 1, che immaginiamo sia basata sulla totalità dei redditi imputabili al campione Istat.

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In altre parole, buona parte degli individui nella figura 1a che hanno percepito il bonus e sono ciononostante sotto la soglia degli 8.145 euro, sono persone che hanno lavorato meno di 365 giorni. Per questi, la soglia di riferimento per ottenere il bonus è dunque inferiore; inoltre, come prevede la norma, hanno ricevuto un bonus proporzionato ai giorni lavorati, dunque inferiore a 80 euro. Questi lavoratori vengono riassegnati correttamente sopra la soglia nella figura 1b.

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L’effetto sulla spesa

Chiarita l’importanza della standardizzazione per una corretta identificazione dei risultati del provvedimento, mostriamo come ignorarla possa inficiare i risultati e condurre alla conclusione errata che il bonus non abbia avuto effetti sulla spesa. A titolo di esempio, mostriamo graficamente l’effetto stimato del bonus sulla spesa per il mutuo (o altri debiti), probabilmente il più dibattuto tra quelli presentati nel nostro precedente articolo, nonché quello per cui l’evidenza è più robusta.
Per migliorare l’accuratezza dell’analisi rispetto alle figure 1a e 1b, riportiamo i diversi valori di spesa in base alla distanza percentuale dalle differenti soglie di riferimento, e ci concentriamo su un intorno delle soglie (+/- 30 per cento) per meglio osservare eventuali variazioni.
La figura 2a mostra la spesa mensile per il mutuo (i pallini rossi) e il bonus ricevuto (i pallini blu) per famiglie con redditi a diversa distanza dalla soglia quando si ignora la standardizzazione dei redditi all’anno. Questo è il caso considerato da Pinotti. Come si vede a occhio, in questo caso c’è poca differenza tra famiglie sotto e sopra la soglia nell’entità del bonus percepito. Ma la figura mostra anche che la differenza nell’entità della spesa è vicina allo zero, in linea con l’assenza di effetto documentata da Pinotti. Plausibilmente, gli elevati valori di spesa osservati sotto la soglia sono trainati dalla presenza di individui che in realtà hanno percepito il bonus. Se invece si fa la standardizzazione, e si ottiene una corretta assegnazione dei lavoratori sopra e sotto la soglia, le cose cambiano drasticamente. Come mostra la figura 2b, il bonus medio per quelli sotto la soglia è, come dovrebbe, molto contenuto e salta appena si passa la soglia. Contemporaneamente, passata la soglia salta anche la spesa per il mutuo, all’incirca della stessa entità del bonus. Ovvero, tra i percettori del bonus la spesa per il mutuo è più elevata che tra i non percettori, all’incirca della stessa entità del bonus.
Questo è quanto mostravamo nelle stime nel nostro precedente articolo e che confermiamo ora con questi grafici.

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Altre evidenze

L’evidenza che abbiamo portato va ovviamente corroborata ulteriormente e le critiche mosse da Pinotti, oltre a rilievi, commenti e suggerimenti che abbiamo ricevuto, ci hanno spinto a ulteriori approfondimenti. Ad esempio, abbiamo trovato che non c’è differenza nel livello dei consumi tra chi si trovava poco sopra o poco sotto la soglia prima che il bonus venisse erogato. La differenza emerge solo come conseguenza di quella politica. Abbiamo anche verificato l’effetto su diverse categorie di beni e trovato effetti più marcati per quelli che, come la carne o la cura della persona, hanno un elemento di bene necessario ma di lusso, la cui spesa tipicamente viene tagliata quando cala il reddito ma viene ripristinata, magari solo in parte, appena le condizioni reddituali migliorano, come è avvenuto per i percettori del bonus. Abbiamo poi confrontato le caratteristiche delle famiglie poco sopra e poco sotto la soglia, senza trovare differenze significative in alcuna variabile, comprese quelle potenzialmente più critiche come l’ammontare di reddito da lavoro dipendente dei restanti familiari – un requisito importante perché l’unica differenza sistematica tra famiglie al di sotto e al di sopra della soglia sia la percezione del bonus.
Questi risultati, letti assieme agli altri che stiamo ottenendo, ci confortano che quello che stiamo misurando ha senso e ci consentono di affermare che dalle nostre evidenze il bonus “80 euro” ha avuto un effetto positivo e forte sulla spesa delle famiglie. Siamo grati ai critici – e in primis a Paolo Pinotti – per averci spronato ad approfondire l’esercizio e arricchire le stime.

A cura di Stefano Gagliarducci

(Tratto dal sito www.lavoce.info)