Rapporto Coop 2014: “Consumi & Distribuzione”
Presentato il Rapporto Coop 2014 “Consumi & distribuzione” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Ref. Ricerche e il supporto d’analisi di Nielsen. Il Rapporto fotografa lo stato di salute dei consumi nel nostro Paese inserito in un contesto europeo e internazionale e approfondisce le modalità con cui le famiglie reagiscono alla nuova realtà economica, le differenze che caratterizzano i diversi territori italiani e il confronto con quanto accade negli altri grandi Paesi europei.
In equilibrio sul precipizio
Il 2014 doveva essere l’anno del nuovo inizio. Di sicuro è l’anno in cui ci si è fermati sull’orlo del baratro, alle prese con equilibri sempre più difficili. Dal 2007 a oggi si sono volatilizzati circa 15 punti di Pil ovvero 230 miliardi di euro. E ciascun italiano ha visto ridursi nello stesso periodo di 2700 euro a testa il reddito disponibile. L’aria che tira non può dirsi buona (il 77% degli italiani rispetto al 43% -media europea- dà un giudizio pessimo sulla qualità della vita nel proprio Paese e se si chiede un giudizio sullo stato dell’economia la percentuale dei negativi raggiunge il tetto del 91%), la fiducia dopo un timido rialzo sembra di nuovo volgere al peggio. Gli italiani continuano però a mostrare insospettabili capacità di adattamento. Assorbono gli urti provocati dalla recessione e rivoluzionano il proprio stile di vita trasformando le cicatrici della crisi in nuovi o antichi valori. È come se per non toccare il fondo avessero rimesso un ordine nella propria zavorra delle priorità partendo dal presupposto che la floridità di un tempo è solo un ricordo.
In primo luogo, dopo anni di calo, hanno ripreso a risparmiare (1,7% la maggiore quota di reddito risparmiato nell’ultimo biennio) e il 41% degli italiani dichiara di destinare al risparmio il denaro disponibile dopo aver soddisfatto bisogni essenziali. Fra gli obiettivi del risparmio spiccano temi classici, quasi ancestrali della società italiana: il futuro dei figli (sempre di meno ma sempre più preziosi) e le esigenze legate alla casa di proprietà. Alla casa gli italiani destinano il 40% del proprio budget mensile tra mutuo, affitti, utenze; magari non si compra perché la crisi morde, malgrado l’abbassamento dei prezzi (-54% le compravendite residenziali tra il 2006 e il 2013) ma si ristruttura, tanto che questa voce di spesa nel periodo 2010-2013 è raddoppiata e nel 2014 potrà toccare i 33 miliardi di euro (incremento di 5,5 miliardi dal 2013).
Frugalità e condivisione sembrano essere le parole vincenti. Meno spostamenti, meno vestiti, meno svaghi e divertimenti, ma anche meno tabacco, alcool e gioco e la condivisione come scelta di vita che riporta in auge concetti un tempo impopolari, perché anticamera della povertà, come “il noleggio” o “l’uso” al posto del possesso. In questo dimostrando di saper interpretare con atteggiamenti più innovativi degli altri europei lo spirito del tempo: solo il 44% dei nostri connazionali infatti non dichiara disponibilità alla condivisione, mentre dicono no il 54% dei tedeschi e il 71% di inglesi e francesi. E comunque tra gli italiani che usano Internet, oltre il 50% ha già provato o si dichiara pronto a sperimentare questa nuova modalità di consumo.
La vittima più illustre della sharing economy è l’automobile, un mito appannato. Malgrado un parco auto tra i più vecchi d’Europa infatti la demotorizzazione continua a fare proseliti: -1,4 % gli acquisti da parte delle famiglie nel primo semestre 2014 e le immatricolazioni ai minimi storici. Per non parlare dell’abbigliamento (nel 2013 ancora un -6,7% che si cumula a cadute già osservate negli anni precedenti).
L’altra faccia della medaglia
Virtuosi e tenaci da un lato, dunque, gli italiani di oggi (e dell’imminente domani) ma anche rinunciatari. È l’altra faccia della medaglia, l’Italia che dice no: quelli che non votano (sono il 43% alle ultime elezioni), dichiarano di non avere fiducia nelle istituzioni (71%), non sono contenti della propria situazione economica (70%), non partecipano a attività sociali/volontariato (lo fa solo il 22,5%), non si curano (3 italiani su 10), non studiano e non lavorano (il 24% dei giovani). Qui cova il vero disagio che sconfina nella depressione, tanto più tangibile al Sud dove il tasso di disoccupazione nel primo trimestre dell’anno ha superato i 21 punti percentuali, mentre il 25% dei residenti nel Mezzogiorno non può permettersi un pasto proteico una volta ogni 2 giorni (prima della crisi erano circa la metà, il 13%).
E qui alligna anche, il lato dark dei consumi, le attività illegali che secondo le nuove metodologie stabilite dall’Ue dovranno rientrare nel calcolo del Pil già a partire da quest’anno. Una fetta non di poco conto se valutata in chiave prettamente economica pari a 420 miliardi di euro, il 27,4% del Pil, che potrebbe fruttare se riportata in chiaro fino a 130 miliardi di maggiori entrate per lo Stato. Ma anche un sensore di uno stato di difficoltà: il 5% della popolazione dichiara di aver fatto uso di droghe nell’ultimo anno. E sono 9 milioni i clienti delle prostitute.
Food e digital mania
Consumi generalmente al palo ma a voler stilare una classifica svetta sul podio il binomio cucina-tecnologia: food maniaci da un lato e maniaci digital dall’altro. Sono questi i soli comparti che non decrescono in un mare di segni meno. Il cibo è in testa ai nuovi interessi degli italiani (ma solo nelle sue varianti salutistico, etico, etnico, finanche vegano) ed è l’argomento preferito di discussione: sul cibo non si litiga. E d’altronde il Made in Italy è sempre più alimentare. All’acquisto di alimenti e bevande gli italiani destinano oltre il 18% della spesa per consumi, quasi il 4% in più della media europea: più pane e pasta, più carne (anche se meno di Francia e Spagna) e più pesce (ma meno di Spagna e Portogallo). Fatta salva comunque una contrazione della spesa alimentare che dura da 13 trimestri consecutivi, gli italiani amano il cibo, ne sono ambasciatori e magari selezionano i prodotti ma mantengono alta l’attenzione sulla qualità.
Oltre al bio-boom (il giro d’affari solo nella gdo nel 2014 supererà i 700 milioni di euro), è come se le rinunce alimentari fossero diventate trend: il 7,1% degli italiani si dichiara vegetariano o vegano, l’attenzione alla digeribilità dei cibi, al netto delle vere e proprie intolleranze, genera un +18% del fatturato della gdo per prodotti speciali come i senza glutine o gli alternativi al grano. Nella top ten dei prodotti più venduti nel 2014 rispetto al 2013 occupano il primo posto infatti i prodotti senza glutine (la variazione è del 32,1%) e al terzo campeggiano le bevande alla soia (20,1%). Se poi si osservano i carrelli della spesa (raggruppamenti di prodotti con caratteristiche funzionali omogenee), ci si accorge che gli italiani amano sempre più mangiare etnico (+10% solo nell’ultimo anno), ritornano ai piatti pronti dopo un biennio di rallentamento (+3,2%), il lusso non demorde evidentemente grazie a alcune fasce sociali (+2,1%), mentre rimangono al palo sia il carrello LCC (largo consumo confezionato ovvero beni alimentari e altri beni di uso comune di largo e generale consumo) che quello basic. Un occhio al portafoglio e uno alla coscienza: 2 italiani su 3 conoscono e apprezzano i prodotti etici; i nuovi responsabili degli acquisti delle famiglie italiane si dimostrano anche rispetto ai colleghi europei molto più attenti agli obiettivi di trasparenza lungo l’intera catena produttiva tanto che per il 33% degli italiani, il doppio rispetto alla media europea, l'origine è più importante del prezzo e della marca nella scelta dei prodotti alimentari. È però altrettanto vero che 4 su 10 non possono permettersi di acquistare prodotti etici in virtù del prezzo giudicato troppo elevato (38%) o perché poco facilmente reperibili (37%).
Tanto innamorati del cibo quanto della tecnologia specie se mobile. È mobile il dispositivo con il quale gli italiani si collegano a internet: 60 milioni i device mobili connessi in Italia, di cui 12,3 milioni i nuovi acquisti nel 2013 e il 46% degli italiani utilizza internet in mobilità per una media di 2 ore al giorno.Con questi dispositivi si fa tutto ed è come se lo smarthpone grazie alla sua versatilità avesse inghiottito molti comparti tradizionali di consumo, non a caso in calo: con lo smarthphone si controlla la posta e si va su facebook, si naviga su internet ma anche sulla strada, si ascolta musica, si condividono video e foto, si chatta con gli amici, si vedono tv e film, ci si aggiorna sulle notizie, ci si diverte e si fa anche la spesa. 4 milioni sono i possessori che dichiarano di averlo utilizzato per fare acquisti negli ultimi tre mesi. Del resto, gli italiani che stanno in totale 4 ore e 40 minuti al giorno agganciati alla rete qualcosa devono pure fare e l’e-commerce che è cresciuto del 20,4% solo nell’ultimo anno, con punte che superano il 40% per abbigliamento e calzature, è una soluzione che mette d’accordo sempre più italiani. Le previsioni parlano di un raddoppio delle vendite on line nei prossimi quattro anni; un dinamismo che impressiona se paragonato alla staticità degli acquisti “reali”. È Internet la nuova piazza della spesa che sottrae terreno ai negozi fisici, anche ai supermercati e ai discount.
Industria & Distribuzione
Il calo della spesa degli italiani ha avuto ripercussioni importanti sia sul commercio al dettaglio che sulla grande distribuzione determinando in entrambi i cambiamenti delle rispettive reti di vendita. Per la prima volta nella sua storia la grande distribuzione alimentare ha fatto segnare la prima riduzione dell’area di vendita pari a un -0,2% e subirà nel 2014 una riduzione più ampia. In crescita solo discount (un sesto degli acquisti degli italiani passa da qui) e superstore dove permangono comunque negativi i dati di vendita anche nel primo semestre dell’anno. A parità di rete persino i discount mostrano primi segnali di difficoltà.
Confrontandosi a livello europeo se dal punto di vista dei metri quadri rapportati alla popolazione oramai l’Italia ha raggiunto livelli di sviluppo non dissimili da quelli europei, dal punto di vista della reazione alla crisi è quella dove assieme alla Spagna la grande distribuzione ha sofferto maggiormente e dove si registrano le performance peggiori. Anzi, l’Italia si è caratterizzata per l’assoluta stasi dei volumi (0,3% in un quinquennio) e la più bassa variazione dei prezzi (3% dal 2008 al 2013) eccezion fatta per la Spagna. Ma osservando dal di dentro la filiera alimentare ci si accorge che non tutti soffrono allo stesso modo e se nel nostro Paese i prezzi al consumo sono cresciuti molto meno della media europea, l’industria alimentare ha fatto segnare un incremento superiore alla media europea e il differenziale tra prezzi dell’industria e prezzi al dettaglio è pari a circa 6 punti percentuali. Il dato più elevato in Europa, secondo solo alla Spagna.
Le previsioni e la proposta di Coop
“A dispetto anche degli ultimi inquietanti dati estivi sui consumi, crediamo che non sia corretto immaginare una recessione senza fine – sostiene Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia. Pensiamo invece che il 2015 possa essere l’anno dell’inversione di questo trend molto negativo, a patto che si operi per il sostegno alla domanda interna con provvedimenti a favore delle classi più deboli, con investimenti strutturali di ammodernamento del Paese, con politiche di riattivazione del credito alle imprese. È decisiva nel medio periodo la ripresa di una politica di riforme, a partire dalle liberalizzazioni e dai provvedimenti antimonopolistici che generino ricadute positive sul potere di acquisto delle famiglie (farmaci, energia, servizi finanziari).
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