Mondo digitale
In un contesto economico caratterizzato da una certa staticità, usando un eufemismo, spicca il dinamismo che anima ancora il mondo digitale, modificando il modo di comunicare e relazionarsi ormai di tutte le generazioni, di cui modifica i comportamenti nei confronti dei media e scombina la graduatoria di autorevolezza e credibilità delle fonti informative. Creando così per le aziende nuove importanti modalità di dialogare e costruire una relazione con il proprio pubblico.
Per ora i paesi anglosassoni continuano a rappresentare la culla dell’innovazione per quanto riguarda strumenti, applicazioni e modelli di business inventati dalle aziende, così come per la loro adozione da parte del pubblico. Motivo per cui citerò dati riferiti prevalentemente al mercato statunitense facendo qualche confronto, là dove possibile, con l’Italia.
Cominciamo intanto a dire che gli investimenti in comunicazione classica digitale continuano a crescere ovunque. In Italia secondo Nielsen Media il 2012 ha fatto registrare un +5,3%, contro il -14,3% del comparto pubblicitario nel suo complesso. Dato sottostimato perché la penetrazione dei social media, degli smartphone e dei tablet apre nuovi orizzonti per gli investimenti di marketing in generale e di crm in particolare, difficili da misurare secondo le metriche consolidate.
Per quanto riguarda i social media, ricordiamo che nel corso del 2012 Facebook ha raggiunto e superato il miliardo di iscritti. Verso la fine dello scorso anno ha lanciato la sfida a Google sul terreno della search con Graph Search che ha due caratteristiche innovative destinate a incontrare il gradimento di investitori e pubblico. Introduce infatti parametri di profilazione basati sugli interessi e i gusti degli iscritti, sulla base dei quali è in grado di fornire risposte esaustive alle domande formulate, avvalendosi del contributo degli altri utenti del social network, invece di limitarsi a segnalare indirizzi di siti dove andarle a cercare. Senza dimenticare che, secondo comScore, negli Stati Uniti Google domina tra i siti proprietari quanto a numero di utenti unici (oltre 191 milioni), mentre Facebook è già leader quanto a quota di tempo assorbita, pari al 10,8% del totale. Giusto per avere un termine di paragone, Google è al 10%, Yahoo al 7, Microsoft al 4,9 e AOL al 2,5.
Secondo Nielsen in Italia a dicembre 2012 gli utenti internet iscritti ai social media erano più di 24 milioni e vi hanno dedicato in media 7 ore e 39 minuti ciascuno. La lettura e scrittura di e-mail hanno assorbito 1 ora e 39 minuti, la fruizione di video e foto 1,36. La search 1 ora tonda.
Ovvio quindi che il valore attribuito ai social network, e a Facebook in particolare, dipenda dal numero di ‘utenti unici’, ovvero la loro reach potenziale, ma anche dai tempi di esposizione che possono assicurare alle aziende interessate a investire in attività di marketing su di essi.
D’altronde una ricerca di KPMG, condotta su oltre 1.850 aziende a livello globale, rilevava già nel 2011 come l’attenzione verso i social media fosse alta (intorno al 70%), con punte più elevate per il retail, i servizi finanziari e assicurativi e gli operatori nel campo della comunicazione. Sopra la media in modo significativo anche alcuni paesi appartenenti all’area delle economie emergenti, come Cina, Brasile e India dove, evidentemente, gli equilibri tra media e strumenti di marketing classici e quelli innovativi non sono ‘ingessati’ dalla consuetudine come nel ‘vecchio continente’.
D’altra parte gli investitori sono sempre più consapevoli del fatto che applicare le logiche e i modelli di business della pubblicità classica al mondo digitale è un po’ come fermarsi al dito senza vedere la luna che questo sta indicando. L’engagement, ovvero il coinvolgimento attivo del pubblico di riferimento, sta cominciando ad affermarsi come un beneficio di maggior valore rispetto alla sola numerica di contatti o impression raggiunti. Così oltre il 12% delle pubblicità americane in rete prevedono già un collegamento con il mondo dei social media, percentuale che cresce al 20% per le aziende operanti nel comparto del largo consumo. Una tendenza presente pure da noi e relativa anche alle pubblicità che transitano sui mezzi classici, con i QR Code a giocare spesso il ruolo di ‘ponte’ tra off e online.
Se è vero che Facebook negli Stati Uniti assorbe ancora l’83% del tempo dedicato ai social media, LinkedIn si gioca un ruolo molto specialistico legato al mondo del lavoro, mentre Tumblr, Pinterest e Instagram continuano a crescere (ciascuno ha guadagnato oltre 10 milioni di utenti in un anno secondo comScore) intercettando l’interesse del pubblico per video e immagini postate nella rete. Un’opportunità che non è sfuggita alle aziende, sempre più presenti con proprie pagine nelle quali ‘espongono’ ciò che hanno da promuovere, abbinando spesso attività promozionali volte a coinvolgere secondo la logica dei cerchi concentrici i clienti effettivi e potenziali.
La crescente penetrazione degli smartphone - già lo scorso anno sopra al 50% dei cellulari negli Stati Uniti e al 60% in Italia - oltre che dei tablet e degli e-reader, crea le premesse per un’altra rivoluzione. Perché le caratteristiche funzionali dei nuovi ‘mezzi mobili’ stanno modificando la modalità di fruizione di molti servizi internet. In particolare si stanno spostando dal computer ai nuovi media ‘mobili’ le connessioni legate a servizi quali la lettura dei giornali, l’accesso alle applicazioni meteo, alle directory delle pagine gialle e bianche, a Google Map, ai portali di confronto dei prezzi. Di conseguenza sta cambiando per almeno due aspetti anche il processo di raccolta di informazioni al fine di formarsi un’opinione per quanto riguarda la reputazione di prodotti e servizi, e quindi sull’opportunità di acquistarli.
Il primo è relativo alle fonti informative. Una volta c’erano la pubblicità e i servizi redazionali sui mezzi classici, condizionati dalle aziende. Oppure il passaparola. Ora ci sono sì i siti aziendali ma anche i blog e i social media dove a parlare di marche, prodotti e servizi sono blogger professionisti o cittadini qualsiasi che desiderano condividere la propria esperienza con chi è interessato. Soggetti le cui dinamiche con il pubblico può risultare più complesso influenzare da parte delle aziende.
Il secondo aspetto innovativo ha a che fare con la sequenza logico-temporale del processo decisionale. Una volta la ricerca d’informazioni raccolte attraverso i media, i parenti e gli amici avveniva infatti prevalentemente a casa propria, e prima della visita al punto di vendita. Quando poi ci si recava nel negozio per acquistare, il solo a poter ancora influenzare il processo d’acquisto era il distributore, con le sue scelte in fatto di assortimenti, merchandising, allestimenti, posizionamento prezzi e promozioni. Oggi, invece, gli strumenti mobili rendono sfumata la linea di demarcazione tra on e offline. Chi deve compiere un acquisto fa ‘showrooming’ nel punto vendita, valutando dal vivo le caratteristiche del prodotto al quale è interessato, poi spesso torna a casa e cerca nella rete il negozio fisico o virtuale che lo offre al prezzo più conveniente, abbinandovi il servizio di pre e post vendita più convincente. Oppure acquista direttamente nel negozio brick & mortar, ma dopo aver consultato in loco le alternative disponibili nella rete, o aver condiviso le informazioni e le immagini con un familiare o un amico del cui giudizio si fida.
Talvolta sono le aziende stesse a suggerire al potenziale cliente le proprie offerte, attraverso le applicazioni dei volantini online, per esempio, impostate per visualizzare solo quelli della zona, sulla base dei servizi di geolocalizzazione. Oppure a stimolare la visita a un negozio, a un ristorante o a un bar, attraverso Foursquare, offrendo magari incentivi promozionali per generare traffico.
Nel largo consumo, poi, alcune grandi catene distributive hanno già realizzato applicazioni che consentono all’interno dei supermercati di agganciare lo smartphone del cliente al loro sistema informativo. Quella sviluppata da Walmart permette per esempio di fare la lista della spesa, verificare se i prodotti sono in stock e ci sono promozioni associate, nonché di visualizzare il layout del punto vendita e il percorso da compiere tra gli scaffali in funzione delle referenze da acquistare.
La così detta multimedialità dell’utente, fornisce allora alle aziende l’opportunità di realizzare pianificazioni sempre più articolate e complesse, in grado di coinvolgere più mezzi, integrando forme di comunicazione ‘push’ indifferenziata, ad altre ‘pull’, basate sul coinvolgimento del pubblico, magari, anche attraverso la gamification. In una logica più di fruizione congiunta dei mezzi di comunicazione vecchi e nuovi che non di cannibalizzazione tra di essi.
A testimonianza di ciò, sono diverse le aziende che stanno testando, soprattutto in occasione di eventi sportivi o legati al mondo dello spettacolo, l’utilizzo di pubblicità televisive che invitano gli spettatori a connettersi al sito della marca con il loro smartphone o i tablet, oppure a scaricare una app per partecipare a un concorso o a un gioco, basato spesso sul valore della condivisione, dello share, e della diffusione nei social media.
Insomma, il mondo digitale rappresenta un laboratorio sperimentale per gli investitori di marketing le cui potenzialità sono ancora in gran parte da scoprire. Mantenersi aggiornati sulle ultime novità, sviluppando la capacità di distinguere ciò che avrà in futuro una valenza operativa dal puro ‘frill’ tecnologico non è sempre facile ma vale la pena provarci, se si vuole sperimentare il marketing del futuro.
Ma anche per provare a comprendere le ripercussioni già evidenti a livello sociale e politico.