Tracciabilità: il punto di vista dei consumatori europei in un’indagine GS1
Per l’industria europea disporre di sistemi e procedure che consentano di tracciare e di controllare tutte le fasi di trasformazione e distribuzione dei propri prodotti può essere un obbligo di legge, un costo, ma anche un’opportunità per conferire alla propria produzione un maggiore appeal, basato su contenuti qualitativi, di tipicità e comunicativi, e per conseguire quindi una più alta marginalità. Ma i consumatori cosa sanno dei sistemi di tracciabilità e che aspettative nutrono nei confronti di quest’insieme organizzato di politiche, procedure, strutture e risorse finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di rintracciabilità?
È quanto hanno voluto verificare due uffici del circuito internazionale GS1, cui aderisce anche Indicod-Ecr: la sede centrale di Bruxelles e quella di Parigi, che hanno incaricato l’istituto di ricerca Opinionway di Parigi d’intervistare 2.647 cittadini di 5 paesi europei sul tema. Per la precisione, a settembre 2006 sulla tracciabilità si sono espressi 586 francesi, 503 tedeschi, 542 britannici, 506 italiani e 508 spagnoli.
I risultati d’insieme dell’indagine
Ne è uscita un’Europa che ha una “sufficiente” familiarità con il termine tracciabilità (6 intervistati su 10 ne hanno una qualche nozione), ma comunque interessata a saperne di più e con un forte bisogno di trasparenza e di sentirsi rassicurata. Dopo una serie di scandali alimentari veri e di falsi allarmi – si pensi alla psicosi da influenza aviaria scatenatasi poco più di un anno e mezzo fa, che ha solo sfiorato i confini dell’Europa, ma ha determinato un ingiustificato crollo dei consumi in particolare in Italia – i cittadini europei ritengono la tracciabilità lo strumento prioritario per garantire sicurezza e qualità di prodotti alimentari e farmaceutici prima ancora che di altri generi di merci. È il supermercato la tipologia di negozio più affidabile per fare acquisti, seguito a distanza dai piccoli negozi di vicinato.
Forte preoccupazione desta la salubrità delle materie prime che entrano nel ciclo produttivo degli alimenti. E sebbene gli europei si rendano conto che la tracciabilità abbia dei costi e introduca nuovi vincoli per i produttori, sono in larga parte disposti (7 intervistati su 10) a pagare un sovrapprezzo per poter fare acquisti sicuri. Esprimono inoltre il desiderio che i prodotti siano contrassegnati da un marchio che ne garantisca la rintracciabilità e che sulle loro confezioni – o, comunque, nelle istruzioni per l’uso – compaiano informazioni sui sistemi di tracciabilità cui sono stati assoggettati.
Se poi per 8 intervistati su 10 è il produttore il vero responsabile di eventuali difetti di un suo prodotto (soltanto 2 chiamano invece in causa il distributore), il soggetto che dovrebbe farsi garante nei confronti dei cittadini della rintracciabilità delle merci non è in via esclusiva lo stesso produttore, anche se è in cima alla lista per il 57% degli interpellati. Un altro 49% attribuisce questo ruolo anche allo stato e un ulteriore 47% anche alle associazioni di consumatori.
I profili dei consumatori di ciascuno dei 5 paesi
Volendo andare più a fondo – in altre parole andando al di la dei valori medi europei – l’analisi delle risposte ai quesiti posti dalla ricerca fa emergere profili di consumatori differenti.
Gli italiani, tradizionalmente molto attenti al cibo e sensibili all’impatto sulla salute e sul benessere psicofisico di un’alimentazione corretta e di qualità, per esempio, da un lato, hanno acquisito una buona familiarità con il concetto di tracciabilità – 6 italiani su 10, in linea con la media europea, sanno di cosa si tratta – anche sull’onda degli scandali alimentari degli ultimi 15 anni. Dall’altra, considerata la fiducia che nutrono nei confronti delle imprese (soprattutto di marca), tendono a darla per scontata al pari degli altri popoli dell’Europa meridionale. Lo si deduce dall’incapacità d’indicare con chiarezza i benefici derivanti dall’applicazione di questo sistema di monitoraggio della qualità e della sicurezza delle merci. Più dei consumatori degli altri paesi, poi, la ritengono utile per garantire l’origine di un prodotto. Quanto ai rischi che la tracciabilità può comportare, gli italiani pensano più facilmente ai lacci e lacciuoli che impone al produttore, piuttosto che all’aggravio di costi e quindi all’aumento dei prezzi di vendita che può comportare. Atteggiamento spiegabile, di nuovo, con una fiducia superiore alla media nei confronti delle imprese e con la convinzione che la nuova legge sulla tracciabilità porti con sé un aggravio burocratico, più che un reale miglioramento del livello di sicurezza. Tutta italiana, infine, la preoccupazione che la tracciabilità possa portare a un appiattimento dell’offerta da parte delle aziende.
I francesi, in assoluto i più consci del significato di tracciabilità (89% delle risposte contro una media europea del 59%), sono anche i più preoccupati della sicurezza di alimenti e farmaci e i più fiduciosi nelle istituzioni, dal momento che mettono lo stato al primo posto fra i soggetti in grado di garantire l’adozione di sistemi di tracciabilità da parte di chi è tenuto a farlo.
Più consci della media riguardo alla tracciabilità (7 su 10) sono pure i tedeschi, che si rivelano particolarmente preoccupati di possibili contraffazioni e apprezzano l’adozione di questo sistema di monitoraggio della qualità e sicurezza soprattutto in campo alimentare e per evidenziare eventuali difetti di fabbricazione dei prodotti. Allo stesso tempo appaiono i più sensibili al rischio che si vada verso una società in cui tutto è controllato. Peculiarità dei tedeschi è il fatto che abbiano cambiato abitudini d’acquisto a seguito dei recenti scandali alimentari e oggi nutrano più fiducia nei piccoli negozi di vicinato che non nei supermercati.
Sia gli inglesi che gli spagnoli sono nettamente meno informati della media europea in fatto di tracciabilità (35% delle risposte nel Regno Unito e 29% in Spagna). Entrambi i popoli mostrano però un forte interesse ad essere meglio informati al riguardo. In particolare gli inglesi colgono in misura minore la rilevanza della tracciabilità per garantire la qualità e la sicurezza in campo alimentare e appaiono più preoccupati della media del rischio che la diffusione del suo impiego possa coincidere con una perdita di libertà o, comunque, di privacy. Diversamente dagli inglesi, quanto informati sul significato di tracciabilità, gli spagnoli la ritengono un metodo prioritario per garantire la sicurezza alimentare, l’origine dei prodotti, la qualità, il gusto, tutte cose cui tengono molto. Al pari degli altri europei, guardano ai produttori come ai primi responsabili in caso di difetti delle merci, ma mostrano un accentuato desiderio di avere informazioni complete attraverso le confezioni e le etichette sui prodotti che acquistano, piuttosto che affidarsi a un marchio che ne attesti la rintracciabilità.
La ricerca sulla tracciabilità commissionata da GS1 ha inteso anche fare una piccola escursione in un’altra area d’intervento prioritaria per l’organizzazione: l’Rfid, ossia l’identificazione in radiofrequenza. E il livello d’informazione da parte del consumatore su questa tecnologia è risultato essere decisamente basso: soltanto il 13% degli europei sanno di cosa si tratti, con un picco positivo del 27% fra i tedeschi e uno negativo del 6% fra gli spagnoli. Così come per la tracciabilità, i più libertari inglesi e francesi mostrano una preoccupazione superiore alla media circa l’utilizzo diffuso di questa tecnologia, mentre italiani e spagnoli ne colgono principalmente i lati positivi.