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A proposito di Istat e inflazione

l'opinione di

Mariano BellaL’indagine dell’Istat sulle vendite del commercio fisso al dettaglio provoca mensilmente accesi e spesso allarmati commenti. Penso sia utile chiarirne alcuni aspetti. L’indagine è a campione (rappresentativo dell’universo dei punti di vendita al dettaglio, specializzati compresi). L’Istat non fornisce il livello del fatturato a prezzi correnti cui l’indice si riferisce: è una cautela che dovrebbe suggerire che lo scopo dell’indagine è l’indicazione di una tendenza del fenomeno, non la quantificazione puntuale di un ammontare. Come tale va letta. È del tutto inutile accanirsi, come fanno molti, nel trarre conclusioni mese dopo mese sui risultati della rilevazione.

Il grafico che correda queste note, riguarda il fatturato alimentare nel confronto con i consumi alimentari a prezzi correnti della contabilità (definizioni quasi omogenee) ed è basato sulle variazioni rispetto al periodo corrispondente dell’anno precedente. Si vede come la relazione tra le due fonti è debole nel breve termine – qui abbiamo aggregato su base trimestrale – mentre ha un significato molto interessante nell’ottica di medio periodo. I dati di contabilità appaiono ‘indietro’ rispetto a quelli dell’indagine, che quindi può assumere un ruolo di anticipatore del trend ma, ripetiamo, certamente non nell’ottica della valutazione del singolo dato mensile (come si vede a colpo d’occhio).

Al di là delle tecniche di confronto, come interpretare i contenuti di questo indice di fatturato? A nostro parere né più né meno come un segnale quantitativo della perdurante incertezza che caratterizza la nostra economia e da cui, però, sembra potersi cogliere un leggerissimo orientamento più positivo negli ultimi sei mesi. Detto così - come va detto - non vuol dire molto. Ma il punto è proprio questo: se un indicatore ha modesto contenuto previsivo di breve termine è sbagliato attribuirvi soverchia importanza nel tracciare il profilo congiunturale. La stessa semplice regressione tra le variazioni nelle due serie storiche fornisce un’elasticità di 0,7 (significativa sotto il profilo statistico); cioè la correlazione c’è ma non tale da poter prevedere con sufficiente confidenza il segno della variazione della serie che ci interessa (cioè quella della Contabilità nazionale). Se invece stacchiamo gli occhi dal dato puntuale e guardiamo al grafico nel suo complesso allora le cose appaiono più chiare: siamo su tassi di crescita della spesa corrente per beni alimentari storicamente molto esigui. Non solo: se dovessimo assistere a qualche ulteriore dato positivo dell’indagine sulle vendite del commercio al dettaglio nei prossimi mesi, a conferma dell’andamento moderatamente favorevole dell’ultimo periodo, allora si potrebbe ragionare con una certa fiducia sulle possibilità di effettivo miglioramento della spesa. Queste indicazioni, a sistema con i dati aziendali che ciascuno possiede e con altre informazioni private, rappresentano un utile strumento di pianificazione e di budgeting.

La lettura delle informazioni statistiche, soprattutto se finalizzata a prendere decisioni di rilievo aziendale, dovrebbe dunque collocarsi nell’ambito di una pacata valutazione che coinvolge più indicatori, prodotti da fonti e con metodi indipendenti. In nessun caso è consigliabile forzare il significato dei singoli statistici.

* Ricercatore Prometeia

Per saperne di più: www.istat.it

Contatti: mariano.bella@prometeia.it


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