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L’Italia dopo lo shock del Coronavirus

Il Rapporto Annuale dell’Istat mette un punto fermo su molte delle caratteristiche, fragilità, criticità dell’Italia, che Covid-19 ha contribuito a peggiorare. Crescono le disuguaglianze e diminuisce la fecondità. Sul fronte economico, alcuni timidi segnali di ripresa

A metà 2020 il quadro economico e sociale italiano si presenta eccezionalmente complesso e incerto. Al rallentamento congiunturale del 2019 si è sovrapposto l’impatto della crisi sanitaria e, nel primo trimestre, il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3%; i segnali più recenti includono: inflazione negativa, calo degli occupati, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività, una prima risalita dei climi di fiducia.

Da questa situazione prende le mosse il Rapporto Annuale 2020 dell’Istat che stima, per l’anno in corso, un forte calo dell’attività economica, solo in parte recuperato l’anno successivo.

Nel primo trimestre 2020, il blocco parziale delle attività connesso alla crisi sanitaria ha determinato effetti diffusi e profondi. Il Pil si è contratto del 5,3% su base congiunturale. Dal lato della domanda, i consumi privati hanno segnato una caduta del 6,6% rispetto al trimestre precedente, gli investimenti dell’8,1%, mentre vi è stato un contributo positivo delle scorte. Sul fronte degli scambi con l’estero, il calo delle esportazioni è stato più intenso di quello delle importazioni (rispettivamente -8,0% e -6,2%).

Figura 1 - Effetti del lockdown italiano ed estero sul valore aggiunto per macrosettore di attività economica. 

(valori percentuali)

Fig 1 Rapporto ISTAT_Rid.jpg

Fonte: Istat: elaborazione su dati Istat e Wiod, 2020

La crisi ha determinato un primo impatto sull’attività a marzo e poi uno pesantissimo nel mese successivo, con una fortissima contrazione congiunturale di tutte le attività produttive. L’indice di produzione industriale è risultato in aprile inferiore di oltre il 42% rispetto a un anno prima mentre per quello delle costruzioni il calo tendenziale è pari a circa il 68%. La contrazione di entrambi i flussi commerciali con l’estero ha segnato un’ulteriore accelerazione; in particolare le esportazioni sono diminuite di quasi il 30% nel bimestre marzo-aprile rispetto agli stessi mesi del 2019.

I dati più recenti indicano, tuttavia, iniziali segnali di inversione. Il commercio estero extra-Ue di maggio registra un primo significativo rimbalzo delle esportazioni e gli indicatori dei climi di fiducia delle imprese mostrano a giugno una significativa risalita rispetto al mese precedente.

Le recenti previsioni Istat stimano per il 2020 un forte calo dell’attività (-8,3%), diffuso a tutte le componenti settoriali, con una contrazione del Pil che, si prevede, sarà solo in parte recuperata l’anno successivo.

Il segno distintivo del paese nella fase del lockdown è stato di forte coesione. Questa si è manifestata nell’alta fiducia che i cittadini hanno espresso nei confronti delle istituzioni impegnate nel contenimento dell’epidemia e in un elevato senso civico verso le indicazioni sui comportamenti da adottare. La stragrande maggioranza dei cittadini, trasversalmente a tutto il paese, ha seguito le regole definite, specie il lavarsi le mani (mediamente 11,6 volte in un giorno), disinfettarsele (5 volte), rispettare il distanziamento fisico (92,4% della popolazione), ridurre le visite a parenti e amici (l’80,9% non ne ha fatte) e gli spostamenti (il 72% non è uscito il giorno precedente l’intervista).

Nonostante l’obbligo di restare a casa, emerge l’immagine di una quotidianità ricca ed eterogenea, in cui la famiglia ha rappresentato un rifugio sicuro per molti, ma non per tutti.

L’obbligo di restare a casa ha imposto una ricomposizione dei tempi quotidiani, con un forte impatto sulla giornata di ampia parte della popolazione. Anche le attività fisiologiche ne sono state interessate: un terzo dei cittadini si è svegliato più tardi e un quinto ha dormito di più. Più di uno su quattro ha dedicato più tempo ai pasti principali, diventati momento conviviale anche nei giorni feriali. La preparazione dei pasti ha impegnato il 63,6% della popolazione e per molti è stato un momento di svago e un’occasione per sperimentare nuove ricette culinarie o riscoprire il piacere di preparare pizza, pane o dolci fatti in casa (53%), anche tra gli uomini e soprattutto tra i giovani. Vivere in una famiglia riunita per più ore della giornata ha indotto a dedicare maggior tempo anche alla cucina: è accaduto per un terzo della popolazione, senza differenze di genere.

Figura 2 - Persone di 18 anni e più per tempo dedicato alle attività svolte in una giornata della Fase 1 rispetto a una giornata pre-Covid (per 100 persone di 18 anni e più che hanno svolto l'attività)

Fig 2 Rappoorto Istat_Rid.png

Fonte: Istat, 2020

Le restrizioni non hanno impedito alle persone di dedicarsi alle relazioni sociali (il 62,9% ha sentito parenti e si è intrattenuto di più nel 60% dei casi), alla lettura (il 26,9% ha letto libri, il 40,9% quotidiani), all’attività fisica, che ha coinvolto quasi un quarto delle persone (22,7%), e ai tanti hobbies, consentendo di cogliere anche le opportunità che la maggiore disponibilità di tempo ha offerto alla gran parte della popolazione.

Mobilità sociale, diseguaglianze e lavoro

La pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti e crescenti disuguaglianze. La classe sociale di origine influisce ancora in misura rilevante sulle opportunità degli individui nonostante il livello di ereditarietà si sia progressivamente ridotto. Per la generazione più giovane però è anche diminuita la probabilità di ascesa sociale. Sul fronte del mercato del lavoro la fotografia al 2019 indica crescita di diseguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio rispetto al 2008. Quelle di genere sono diminuite in termini di quantità di occupati ma aumentate sotto il profilo della qualità del lavoro.

L’elevato tasso di irregolarità dell’occupazione - più alto tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani e tra quelli più anziani - nella crisi è fonte di fragilità aggiuntiva per le famiglie. Rischi di amplificazione delle diseguaglianze a svantaggio delle donne sono associati alla precarietà, al part time involontario e alla conciliazione dei tempi di vita, resa più difficile dalla chiusura delle scuole e dalla contemporanea impossibilità di affidarsi alla rete familiare. Le disuguaglianze tra bambini crescono per il digital divide, la mancanza di attrezzature informatiche e l’affollamento abitativo. Crescono anche per la carenza strutturale dei nidi, in particolare nel Mezzogiorno. Infine, in un paese in cui l’organizzazione del lavoro è ancora rigida, l’esperimento dello smartworking, bruscamente accelerato dall’emergenza sanitaria, ha messo in evidenza le potenzialità di questo strumento, al netto delle criticità legate all’ampio divario digitale che caratterizza il paese e alle cautele legate agli squilibri tra lavoro e spazi privati.

Il sistema delle imprese, elementi di crisi e resilienza

La recessione del 2011-2014 ha determinato una selezione tra le imprese di minore dimensione, con un conseguente aumento del ruolo di quelle più grandi; la successiva ripresa non ha ricostituito la base produttiva persa. Nel 2017, il sistema appare altrettanto frammentato sul piano dimensionale, ma mediamente più interconnesso rispetto al 2011, in particolare per i settori dei servizi.

Le imprese rimaste attive nel corso del lockdown appartengono soprattutto a comparti che trasmettono gli impulsi su scala estesa, ma lentamente. Il ritorno ai livelli pre-crisi potrebbe richiedere tempi piuttosto lunghi anche alla luce delle stime sugli effetti inter-settoriali delle misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero.

Nel 2018 il sistema produttivo mostra un rafforzamento della sostenibilità economico-finanziaria; durante il lockdown oltre un terzo del fatturato non realizzato nei comparti “chiusi” della manifattura sarebbe stato generato da unità “in salute” dal punto di vista finanziario e circa la metà da imprese “fragili”.

L’autofinanziamento continua a rappresentare la principale fonte di reperimento delle risorse delle imprese. La crisi di liquidità del 2020 potrebbe incidere fortemente sull’operatività qualora l’accesso a risorse esterne non fosse agevole. Si stima che a fine aprile quasi due terzi delle circa 800 mila società di capitale italiane avessero liquidità sufficiente a operare almeno fino a fine 2020 mentre oltre un terzo sarebbe risultato illiquido o in condizioni di liquidità precarie.

Ambiente, conoscenza, bassa fecondità

Il sistema Italia soffre di alcune criticità strutturali legate all’ambiente, all’istruzione e alla permanente bassa fecondità: problemi annosi ma urgenti, sui quali il dibattito riguardante specifici aspetti della crisi ha riportato l’attenzione. Soprattutto, si tratta di questioni che meritano azioni e investimenti – sia pubblici sia privati - che a loro volta possono costituire una leva essenziale per la ripartenza.

I dati ambientali sul consumo di materia e le emissioni rivelano performance relativamente positive per il nostro paese. Dal 2008 al 2018 le emissioni di in CO2-equivalenti, si sono ridotte del 23%, attestandosi negli ultimi anni attorno ai 440 Mt, mentre nel periodo 2008-2017 le emissioni di particolato (PM10) - che hanno effetti dannosi sulla salute - hanno registrato una riduzione del 22%. Tali riduzioni sono dovute prevalentemente all’andamento sfavorevole dell’attività economica e insufficienti rispetto agli obiettivi europei finalizzati al contrasto dei cambiamenti climatici. La popolazione è molto sensibile alle tematiche ambientali ma i comportamenti non sono altrettanto coerenti. L’Istat rileva che c’è una grande attenzione verso gli sprechi (di acqua ed energia) finalizzata alla conservazione delle risorse naturali: il 67% dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 64,4% a non sprecare acqua. Molto meno positivi sono i risultati in merito alla scelta di mezzi di trasporto alternativi (18,7%) e all’uso di prodotti usa e getta (21,2%).

L’Italia ha affrontato lo shock da pandemia partendo da una situazione di consistente svantaggio in termini di digital divide e anche rispetto ai livelli di istruzione e di investimento in conoscenza. Dal lato delle imprese, i dati evidenziano i vantaggi dell’istruzione in termini di performance e prospettive occupazionali.

Sulla permanente bassa fecondità italiana è atteso un peggioramento a causa degli effetti del Covid. Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10 mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021.

La prospettiva peggiora ulteriormente se agli effetti indotti dai fattori di incertezza e paura si aggiungono quelli derivanti dallo shock sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426 mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396 mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021. Inoltre, emerge una marcata discrepanza tra tassi di fecondità desiderati ed effettivi che può rappresentare una chiave per disegnare politiche orientate alla rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del desiderio di avere figli, ancora elevato nel paese.

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab