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La blockchain e la rivoluzione del web

Continua a crescere l’interesse per la blockchain, la tecnologia nata nel 2008 con il bitcoin, le cui applicazioni stanno velocemente evolvendo verso una nuova versione del web, meno favorevole all’oligopolio e al controllo delle big tech

Nell’ambito della trasformazione digitale succede che la tecnologia blockchain metta in discussione il paradigma (il game, direbbe Baricco) della dipendenza dall’oligopolio delle big tech, che con i social ha caratterizzato l’era del web 2.0. Questo, non sulla base di paletti normativi di controllo, ma con l’evoluzione verso lo sviluppo di una nuova idea di web, e quindi di economia, nel quale gli utenti non sono più solo generatori di contenuti (gestiti però e messi a profitto dalle grandi compagnie) ma ne diventano essi stessi proprietari. E questo grazie al web decentralizzato, il web3.

È la “prossima rivoluzione del web”, come titola l’ultima edizione della ricerca dell’Osservatorio Blockchain e Distributed Ledgerdella School of Management del Politecnico di Milano, sponsorizzato  anche da  GS1 Italy.

«Grazie alla blockchain – spiega Francesco Bruschi, direttore dell’Osservatorio – il web3 consente agli utenti di poter disporre della propria identità, dei propri attributi e oggetti nel mondo digitale: token e NFT (non fungible token), smart contract, applicazioni decentralizzate (DApp) e decentralized autonomous organizations (DAO), sono gli elementi abilitanti».

Gli strumenti del web3

Si parla molto di NFT, in particolare nel mondo dell’arte per rappresentare il possesso di opere nativamente digitali, grazie all’estensione nel mondo virtuale dei concetti di proprietà e di scarsità, che sono al centro delle dinamiche di mercato delle opere artistiche: di fatto gli NFT sono degli asset digitali unici interoperabili, emessi e trasferibili su piattaforma blockchain e offrono opportunità per la realizzazione  del web3, dalla dimostrazione del possesso alla gestione dell’identità. Non solo in ambito artistico.

Le DApp (sono 8 mila quelle censite a livello globale) dal canto loro consentono di sviluppare sistemi di governance distribuita, che comprendono meccanismi di proposta e votazione da parte degli utenti su cambiamenti del protocollo e perfino sull’upgrade a nuove versioni.

Altro acronimo importante è DAO, un tipo di community online di proprietà collettiva degli stessi membri della community. La partecipazione a una DAO è gestita attraverso l’utilizzo di token e ciascun possessore del relativo token ha la possibilità di esprimere il proprio voto sulle questioni inerenti alla DAO stessa. Qualcuno potrebbe obiettare che chi ha più token può dettare le regole, ma la governance di una Dao non è proporzionale al numero di token che si possiedono. È una prospettiva che prefigura per le aziende forme più partecipative, anche se in questa fase c’è sì unanime consenso sulle potenzialità di trasformazione ma vi sono ancora diversi punti interrogativi. «Quali ecosistemi si svilupperanno? Quali i nuovi modelli di business e, per i beni pubblici, di governance?», si chiede Bruschi.

La realtà è che, come sintetizza Paolo Gianturco, core business operations & fintech team leader di Deloitte, «stiamo uscendo dal mondo dei monopoli tecnologici per entrare in un mondo in cui gli utenti sposteranno le aziende verso il web3». E si potranno sviluppare nuove linee di business, come ha fatto Adidas, che ha portato alla creazione e alla vendita pubblica di un NFT (23 milioni di dollari per 30 mila copie vendute) che dà accesso ai proprietari ad alcuni prodotti fisici esclusivi e future esperienze digitali. Non a caso il collegamento più immediato è con il metaverso, mondo virtuale (ma non troppo), nel quale convergono tutte le tecnologie emergenti della blockchain, dell’intelligenza artificiale e della realtà aumentata per nuove interazioni tra le persone, le aziende, le organizzazioni in una fusione tra mondo reale e mondo digitale.

Il terreno sembra comunque fertile. Una rilevazione condotta dall’Osservatorio in collaborazione con Ipsos mostra che i consumatori italiani sono sempre più orientati all’utilizzo di token e criptovalute. Il 12% degli italiani possiede o ha posseduto criptovalute o token, una percentuale che potrebbe crescere nei prossimi anni, poiché il 17% dichiara di essere interessato ad acquistarli in futuro.

Figura 1 - Gli italiani e le criptovalute

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger” 2022

Le applicazioni blockchain

Riguardo alle applicazioni, l’Osservatorio le suddivide in tre categorie: internet of value, che riguarda essenzialmente gli asset finanziari, la blockchain for business, che replica i processi di business tradizionali e, appunto, il web decentralizzato. Pur con valori differenti in gioco, in quanto a progetti in atto, 1.615 casi dal 2016, cresciuti del +39% nell’ultimo anno (vedi anche l’articolo già pubblicato). È verso questa direzione che tutta la tecnologia blockchain sta spingendo, con qualche distinzione.

«A livello internazionale in generale vi è una maggiore concretezza: più progetti in corso e meno annunci rispetto a qualche anno fa», commenta Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger. «Per quanto riguarda l’internet of value, il 2021 è stato un anno di maturazione per le criptovalute e l’attenzione delle istituzioni e di alcune grandi aziende si è concentrata anche su stablecoin e CBDC (Central Bank Digital Currency), la moneta digitale delle banche centrali. Vi è stata una forte spinta di marketing verso il mass market, ma per rendere il mercato più consapevole è necessario fare uno sforzo maggiore verso l’informazione alla portata di tutti. E se gli Stati Uniti aprono agli stablecoin e la Cina va verso un’espansione globale, l’Europa è caratterizzata da tempi biblici di decisione, in un mondo che viaggia alla velocità della luce, avendo fissato al 2026 la data di lancio del digital euro».

Del web decentralizzato si è detto precedentemente ed è quello che cresce in maniera più consistente. La blockchain for business è in rallentamento anche a causa della pandemia, ma secondo i ricercatori, vi è una difficoltà oggettiva nel coinvolgere gli attori della filiera che stentano a dialogare tra di loro e a realizzare processi affidabili. «Molti progetti si fermano a una digitalizzazione dei processi esistenti e faticano a generare valore tangibile: alcuni hanno dato prova di buona crescita, altri sono ancora promesse tutte da verificare. È necessario un maturity assessment per approcciarsi con le giuste aspettative e con le competenze adeguate al contesto. Senza contare che l’incertezza normativa impedisce lo sviluppo di alcune soluzioni», riprende Portale.

Tuttavia, il raffreddamento su progetti molto grandi non vale in assoluto. «Carrefour, per esempio, pioniere a livello europeo nell’utilizzo della blockchain per la tracciabilità dei prodotti ha adottato la blockchain per la tracciabilità del cotone utilizzato nei capi di abbigliamento MDD. A fronte di ciò vi sono realtà minori affacciate alla blockchain per differenziare i propri prodotti di nicchia, come Olio Coricelli con l’intento di migliorare la percezione qualitativa del prodotto», sottolinea Emiliano Pacelli, Ai applications technical sales leader di Ibm.

Il mercato italiano

Nel contesto internazionale, il mercato italiano appare ancora in fase di attesa, ma non addormentato. Non si è vista una crescita decisa dell’adozione delle tecnologie blockchain, tuttavia il nostro paese è nella top ten delle nazioni con il maggior numero di progetti, prima di Germania e Svizzera e a pari merito con Francia, Corea del Sud e Australia. Gli investimenti in blockchain da parte delle aziende italiane sono rimasti per lo più stabili rispetto al 2019 (28 milioni di euro nel 2021 rispetto ai 23 milioni di euro nel 2020 e ai 30 milioni di euro nel 2019).

Figura 2 – Il fatturato generato da progetti blockchain in Italia*

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*Interviste ad aziende dell’offerta di servizi blockchain
Fonte: School of Management Politecnico di Milano, “Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger”, 2022

Il settore più attivo in Italia, in termini di investimenti, si conferma anche quest’anno quello finanziario e assicurativo, con il 50% degli investimenti del 2021. Al secondo posto si trova la pubblica amministrazione (15%) che, nonostante un rallentamento del processo di collaborazione tra pubblico e privato, ha visto una forte crescita di investimenti e lo sviluppo di Ibsi (Italian blockchain service infrastructure), la piattaforma per le pubbliche amministrazioni italiane basata sui principi dell’infrastruttura europea (Ebsi).

Rimane stabile il peso degli investimenti nel settore agroalimentare (11%) mentre aumenta la rilevanza di quello utility (10%) che, dopo essere stato teatro di numerose sperimentazioni negli scorsi anni, ha visto nel 2021 un deciso incremento nel numero di progetti e negli investimenti. In continuità con il 2020, il mercato è focalizzato maggiormente sullo sviluppo di progetti pilota e sull’evoluzione di quelli già in produzione: solo il 13% degli investimenti, infatti, ricade su proof of concept o attività di formazione. Le aziende della domanda evidenziano i limiti ancora presenti relativi alla conoscenza dei benefici (il 58%) e delle tecnologie (43%), alla difficoltà di individuare i casi d’uso (42%) e nello spiegare le tecnologie in azienda (36%), alla incertezza normativa (26%), per arrivare ai costi troppo volatili (11%) o troppo elevati (9%). Per l’8% pesa la cattiva reputazione delle criptovalute e per il 6% non vi sono barriere significative.

Che cosa riserverà il futuro è ancora difficile da dirsi. Molto dipenderà da fattori come la velocità di evoluzione della tecnologia, dall’attitudine a collaborare tra le aziende, dalle direzioni che prenderanno le valute digitali e dal maggiore impegno normativo delle istituzioni. L’attenzione si è però alzata e non a caso per il web3 è stata rispolverata la definizione di nuova economia. Sembra proprio che la tecnologia della blockchain stia uscendo dall’universo delle criptovalute e dalle stanze degli specialisti per guidare la nuova rivoluzione del web.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab