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Agenda del Largo Consumo

Le aziende industriali del largo consumo e della moderna distribuzione riunite in GS1 Italy | Indicod-Ecr propongono al Governo che verrà 4 aree prioritarie di intervento per assicurare un rilancio dei consumi nel nostro Paese come premessa per una ripartenza dell’Italia su un sentiero di crescita.

«Le nostre 35.000 imprese ogni giorno producono e distribuiscono beni di consumo. Diamo lavoro ad oltre 1 milione di persone - dichiara Valerio Di Natale, Presidente di GS1 Italy | Indicod-Ecr - e siamo una importante realtà della nostra economia e siamo in contatto quotidiano con i cittadini/consumatori e attraverso i loro comportamenti ne conosciamo le crescenti difficoltà. Il reddito disponibile pro-capite in termini reali è tornato indietro alla metà degli anni ottanta. Anche per il 2013 i fondamentali del consumo rimangono deboli. Per queste ragioni siamo convinti che si debba mettere in atto politiche che favoriscano il rilancio della domanda interna».

La necessità di compensare gli effetti della mancata crescita sul bilancio pubblico ha causato un aumento della pressione fiscale non sostenibile, con risvolti pesanti sul potere d’acquisto delle famiglie che è alla base della caduta dei consumi. Occorre partire dal fatto che l’Italia ha già realizzato un enorme sforzo di correzione dei conti. Adesso bisogna far ripartire la crescita. Quali politiche per uscire dall’impasse? Occorre puntare ad una combinazione tassi d’interesse – crescita più favorevole, con un obiettivo meno ambizioso per il saldo primario. Occorre una politica credibile per favorire la riduzione dei tassi d’interesse e un ritorno della crescita. La sfida è aumentare la produttività.

Quattro le aree prioritarie di intervento proposte:

  1. Occorre rinunciare a riforme fiscali basate su ulteriori aumenti dell’IVA che aumentano l’inflazione, riducono i consumi e peggiorano la distribuzione del reddito a svantaggio dei ceti sociali più deboli.

  2. Riprendere un deciso piano di liberalizzazioni attraverso lo smantellamento di posizioni dominanti o di oligopolio, creando i presupposti per una maggiore concorrenza di mercato a tutto vantaggio dei cittadini consumatori.

  3. Istituire un serio programma di sostegno ai consumi delle famiglie meno abbienti.

  4. Promuovere un trasporto merci più efficiente e più sostenibile.

«Sono quattro punti irrinunciabili che auspichiamo veder affrontati nei primi 100 giorni dal nuovo Governo» dichiara Vincenzo Tassinari, Vice Presidente di GS1 Italy | Indicod-Ecr «Si tratta di interventi immediati e urgenti per evitare un ulteriore peggioramento del potere d’acquisto e delle condizioni di vita delle famiglie italiane. Abbiamo molte idee che vorremmo mettere a disposizione del Paese attraverso i manager delle nostre aziende e i nostri organismi di rappresentanza».

Evitare ogni ulteriore aumento dell’IVA
Lo scambio tra aumento dell’IVA e minore costo del lavoro non aiuta l’economia. Le politiche di svalutazione fiscale aiutano le imprese che esportano a scapito delle imprese che servono il mercato interno e delle famiglie di consumatori, con una redistribuzione del reddito che penalizza in particolare le famiglie più deboli.

Secondo le stime di Ref Ricerche, il passaggio dal 21% al 22% delle aliquote IVA produrrebbero una riduzione del Pil del 0,1% che corrisponde a circa 2 miliardi di euro.

Ulteriori aumenti dell’IVA rischiano di far salire l’inflazione già minacciata dagli aumenti delle materie prime che gravano su molti beni di largo consumo e di deprimere ancor di più i consumi, che invece avrebbero bisogno di essere incentivati. Consumi tradizionalmente anelastici come gli alimentari e i beni di prima necessità, in periodi di crisi hanno dato segnali di incremento dell’elasticità dei prezzi; un incremento dell’IVA su questi prodotti inasprirebbe ulteriormente questa tendenza, colpendo soprattutto le fasce della popolazione meno abbienti, per le quali l’incidenza sul reddito della spesa di beni di largo consumo è maggiore.

Nonostante i fattori sopraelencati, attraverso i meccanismi della libera contrattazione e della concorrenza, la filiera del largo consumo riesce a valorizzare la qualità e garantire la convenienza. Ne deriva che l’inflazione per i prodotti del largo consumo è costantemente al di sotto dell’inflazione media del Paese (a dicembre 2012 rispetto a dicembre 2011, i prezzi dei prodotti confezionati di largo consumo venduti negli ipermercati e nei supermercati hanno registrato un +0,7%, a differenza dell’indice generale dei prezzi che è salito del + 2,3% (Fonte: Osservatorio Prezzi Indicod-Ecr - Symphony Iri Group (prezzi LCC a parità)).

Riprendere con decisione il cammino delle liberalizzazioni

«L’erosione del potere d’acquisto delle famiglie passa anche attraverso i prezzi delle cosiddette spese obbligate, di quelle dei molti settori ancora al riparo dalla concorrenza e di quella dei prodotti a elevata incidenza fiscale» sottolinea Valerio Di Natale.

Tra il 2009 e il 2012, ad esempio, i prezzi di alcune spese obbligate come abitazione, acqua, elettricità combustibili sono cresciuti del +14,1%, quelli dei prodotti ad elevata incidenza fiscale sono aumentati del 28,2% a fronte di un aumento del 5,6% dei prodotti di largo consumo e del 7,5% per la media dei prezzi al consumo.

Al contrario dei settori protetti, quella del largo consumo è una filiera che attraverso i meccanismi della libera contrattazione e della concorrenza e senza sussidi pubblici riesce a garantire a milioni di famiglie di consumatori un prodotto di qualità e una ampia possibilità di scelta a prezzi convenienti. È il frutto di una costante attenzione al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei processi e alla ricerca e all’innovazione dirette a soddisfare i bisogni presenti e ad anticipare quelli futuri.

Occorre anche che il resto dell’economia si modernizzi secondo le logiche di una economia di mercato.

Gli effetti positivi delle liberalizzazioni sono documentati in numerosi studi. L’esigenza di uno sforzo nella direzione dell’apertura dei mercati alla concorrenza è ribadita dalle istituzioni internazionali, dalle analisi della Commissione europea, dell’Ocse, del Fondo monetario internazionale. Riduzioni delle barriere all’entrata e ridimensionamenti degli eccessi di regolazione stimolano la concorrenza fra produttori favorendo l’innovazione, accrescono la dimensione delle unità produttive consentendo di conseguire importanti economie di scala, consentono guadagni di efficienza nei settori utilizzatori delle nuove tecnologie dell’informazione. In conseguenza di ciò si riducono i costi delle imprese, aumentano la competitività e le esportazioni, si riducono i prezzi pagati dai consumatori e aumenta il livello dei consumi.

Ad una nuova fase di liberalizzazioni dei settori protetti si assocerebbe un tasso di crescita del Pil più elevato, una maggiore domanda di lavoro, una riduzione della disoccupazione. La modernizzazione del Paese conseguita attraverso un completamento dei processi di apertura al mercato di numerosi settori produttivi porterebbe significativi vantaggi per le famiglie italiane.

In un precedente studio realizzato con Cermes Bocconi, si è stimato che le liberalizzazioni dei mercati della distribuzione alimentare, dei carburanti e dei farmaci, così come delle banche e delle assicurazioni, varrebbero 22,7 miliardi di euro (pari al 2,5% dei consumi delle famiglie). «Da allora non si è fatto a sufficienza per raggiungere questi risultati. Non servono ulteriori studi, serve riprendere con decisione il cammino delle liberalizzazioni» aggiunge Valerio Di Natale.

«In questo senso - continua Vincenzo Tassinari - voglio ribadire il ruolo decisivo che può svolgere la distribuzione moderna. Come abbiamo già dimostrato, là dove è stato possibile, liberalizzare significa aumentare la concorrenza, guadagnare in efficienza e ridurre i prezzi a favore dei consumatori. Esattamente come succede nei paesi europei più evoluti e quindi più competitivi rispetto all’Italia dove la liberalizzazione dei servizi è in atto (come nel caso dei farmaci o dei carburanti, ad esempio)».

Sostenere i consumi delle famiglie meno abbienti

La privazione e l’esclusione sociale sono in crescita:

  • 8 milioni di persone non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (12%)
  • 17 milioni di persone sono a rischio di povertà o esclusione sociale (28%)
  • 25 milioni di persone non possono sostenere una spesa imprevista di 800 euro (39%)

L’emergenza è arrivata dentro la classe media.

Proponiamo di introdurre una forma di sostegno specifico ai consumi di beni di largo consumo per le famiglie a basso reddito. Si tratta di una leva ampiamente sperimentata negli Stati Uniti (programma Food stamps), dove grazie a questo intervento su 21 milioni di famiglie (pari al 15% della popolazione) è stato possibile offrire un sostegno diretto all’acquisto di beni di prima necessità alle famiglie che vivono in stato di privazione materiale e di disagio economico.

In Italia l’esperienza della Social card non basta: occorre allargare la platea degli attuali beneficiari (500mila famiglie nel 2011) ad almeno 3 milioni di famiglie con deprivazioni nutrizionali gravi.

Questa operazione avrebbe effetti positivi in termini sociali dati dall’effetto moltiplicativo dell’impatto della social card sul potere d’acquisto dei soggetti disagiati (al sostegno varato dal Governo si aggiunge l’effetto dello sconto proposto dalla filiera). Ma anche effetti positivi sulla crescita, legati alla minore dipendenza dei consumi dai prodotti importati e alla possibilità di selezionare i beneficiari nei segmenti delle famiglie a basso reddito (abilitati dietro esibizione del modulo ISEE), quella parte di popolazione, cioè, in cui il soddisfacimento di bisogni primari, come l’alimentazione, assorbe una quota prevalente del reddito (tra il 30 e il 50%).

Promuovere un trasporto merci più efficiente e più sostenibile

Lo studio “Intermodability: il settore del largo consumo e la sfida del trasporto ferroviario” realizzato per Indicod-Ecr dal Politecnico di Milano e dalla LIUC -Università Carlo Cattaneo ha stimato una domanda potenziale per il settore del largo consumo di 450mila unità di carico che, attraverso la rete ferroviaria che connette il sistema nazionale degli interporti, potrebbero viaggiare non più su strada ma su ferrovia.

«L’efficienza del sistema Italia passa attraverso la movimentazione delle merci e il loro trasporto, che continua ad essere prevalentemente su gomma (per il largo consumo il 95%) e quindi più costoso e meno sostenibile che altrove. Anche in questo ambito il nostro Paese sconta un divario competitivo con gli altri Paesi europei che non è più sostenibile dal nostro sistema di imprese. La filiera del largo consumo si sta attrezzando per poter cogliere l’intera potenzialità del settore che è di trasferire su treno fino al 30% delle merci trasportate. Da parte nostra ci concentriamo su progetti che riducono le inefficienze, benché molte di queste siano ancora determinate da gravi carenze infrastrutturali. Occorre una pianificazione nazionale centralizzata che indichi e favorisca investimenti in infrastrutture strategiche generando così ritorni economici in termini di tempi e di costi e al tempo stesso ripercussioni significative sul versante della sostenibilità: spostare come è possibile 450.000 camion dalla strada alla rotaia significa abbattere mediamente in un anno del 55% le emissioni di anidride carbonica» conclude Vincenzo Tassinari.


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