tecnologia

01. Risparmi per 200 miliardi di euro

La fatturazione elettronica e i processi di dematerializzazione costituiscono una sorgente di potenziale competitività per le imprese italiane ancora poco sfruttata, nonostante il rientro dagli investimenti per la loro implementazione sia relativamente rapido: uno o due anni al massimo. Ciò perché la loro adozione, oltre a generare risparmi di spazio e di materiali, consente di liberare ore-uomo lavorate, da dedicare ad attività a maggior valore aggiunto all’interno dell’azienda.

È questa la tesi che hanno dimostrato i responsabili dell’Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano al convegno «Italia digitale: è possibile», di presentazione dei risultati del sesto anno di ricerche dell’Osservatorio stesso.

La dematerializzazione dei 45 miliardi di documenti cartacei prodotti in Italia ogni anno (15 miliardi relativi al solo ciclo dell’ordine), secondo i calcoli dell’Osservatorio, vale risparmi per 200 miliardi di euro l’anno. Di questi, 43 miliardi sarebbero ottenibili nella PA (all’incirca la metà nei processi interni e i restanti nella relazione con le imprese) e 160 nel mondo delle aziende. Somma, quest’ultima, che a sua volta i ricercatori dell’Osservatorio scindono in 60 miliardi di risparmi riconducibili alla dematerializzazione di processi di filiera (ciclo dell’ordine) e in 100 miliardi di altri processi interni ed esterni.

«Un risparmio», ha detto Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio, «che si può calcolare anche in ore di lavoro. E in questo caso parliamo di 10 miliardi di ore, pari al 25% di quelle complessive lavorate nel nostro Paese. Un risparmio che, anche se lo dimezzassimo per maggior prudenza, sarebbe comunque più che sufficiente per compensare la perdita di produttività registrata in Italia nell’ultimo decennio, pari a 15 punti percentuali».

Le cifre sciorinate da Perego sono il frutto d’accurati calcoli dei ricercatori dell’Osservatorio dei costi associati alla gestione dei documenti cartacei, tenendo conto del numero d’interazioni e di dialoghi di ogni processo, dei costi di rettifica dei possibili errori, della complessità dei documenti scambiati e del numero degli interlocutori coinvolti. Costi legati essenzialmente ad attività umane a basso valore aggiunto, ma necessarie per gestire tali processi. E che possono variare, a seconda della tipologia di documento o processo dematerializzato, da pochi euro (1-2 euro per ogni documento avviato alla conservazione sostitutiva, da 4 a 12 euro per ogni fattura elettronica scambiata in forma non strutturata o come flusso strutturato di dati) a parecchi euro (60-80 per ogni ciclo dell’ordine completamente dematerializzato e 100 euro per ogni fascicolo doganale digitalizzato).

Nonostante ciò, la digitalizzazione dei processi stenta a farsi realtà fra le imprese italiane. Gli ostacoli principali alla sua diffusione diversi: dai timori, infondati ma diffusi, che la normativa ponga vincoli e attribuisca un valore diverso al medesimo documento fisico o digitale alla mancanza di cultura diffusa sulla materia, dalla resistenza al cambiamento alla propensione a perpetuare le prassi consolidate.

«In realtà», ha assicurato Perego, «il quadro normativo italiano, in linea con quello europeo, non soltanto consente, ma addirittura favorisce la dematerializzare di tutti i documenti di business, salvo pochissime eccezioni, che riguardano i documenti storici, con valenza culturale-artistica. Ciò detto, è vero che l’efficacia probatoria e il valore giuridico di un documento dematerializzato dipendono dagli strumenti e dal processo con cui lo si è digitalizzato».

I ricercatori dell’Osservatorio non nascondono che la complessità della migrazione verso la dematerializzazione dei documenti e la digitalizzazione dei processi dipende dal modo in cui i singoli documenti sono generati. E che è molto più semplice digitalizzare i processi quando i documenti nascono già in formato elettronico. Quando sono originariamente cartacei, in alcuni casi, necessiteranno di una firma digitale.

«Tuttavia», ha ribadito Perego, «cè possibile dematerializzare praticamente tutto, come testimonia il graduale diffondersi del fenomeno dell’Italia digitale. Un fenomeno ancora ai primi passi, ma che conta importanti cantieri di lavoro».

Il riferimento è all’e-procurement nella PA, che rappresenta oggi il 5% del totale acquistato; alla ricetta elettronica e al fascicolo sanitario elettronico nel mondo della Sanità, che alcune Regioni stanno già adottando; al fascicolo doganale digitale, un progetto originariamente concepito per rendere più efficiente il lavoro dell’Agenzia delle Dogane; e ai progetti d’integrazione del ciclo dell’ordine (EDI), di digitalizzazione degli sportelli bancari o dei documenti di trasporto, sui quali i ricercatori del Politecnico di Milano hanno condotto degli approfondimenti.

Meglio non attendere

Alla domanda che si pongono molte imprese se sia preferibile aspettare che la PA definisca meglio i contorni delle relazioni digitalizzate da intrattenere con l’esterno o anticipare un obbligo prossimo futuro, Paolo Catti, responsabile della ricerca dell’Osservatorio, ha dato una risposta netta. «L’opzione attendista», ha affermato, «è perdente. Relazionarsi proattivamente con la PA che si sta muovendo sul fronte della digitalizzazione favorirà un’armonizzazione dei processi e un allineamento dei rispettivi sistemi informativi. Questo è il momento in cui la PA è più aperta al confronto».

«Chi approccia la dematerializzazione dei documenti fiscalmente rilevanti», ha aggiunto Mario Carmelo Piancaldini, capo ufficio imprese minori e lavoratori autonomi della Direzione centrale accertamento dell’Agenzia delle Entrate, «non avrà svantaggio alcuno nell’eventualità di un controllo da parte nostra o di altri organi dell’amministrazione finanziaria. I controlli fiscali scattano, infatti, in base a strumenti d’analisi dei rischi di non compliance con la normativa basati sull’importante patrimonio informativo dell’anagrafe tributaria di cui disponiamo, non sui dati deducibili dai documenti dematerializzati. Al contrario dematerializzare i documenti avvantaggerà le imprese perché consentirà loro di risparmiare tempo/uomo impiegato per soddisfare eventuali richieste di verifiche delle autorità di controllo. E di abbattere i costi amministrativi legati alla tenuta della contabilità o agli obblighi di comunicazione dell’elenco clienti-fornitori».