01. Distributori e copacker, alleanza per lo sviluppo
Rinsaldare ancor di più la collaborazione fra retailer e copacker per dare maggior forza alle rispettive strategie anticrisi, soddisfacendo in modo distintivo la domanda di convenienza, innovazione, qualità e sostenibilità del consumatore d’oggi.
Sono queste le linee strategiche di sviluppo della private label uscite dal convegno dal titolo «Crisi economica e dei consumi: la distribuzione moderna e la marca commerciale come opportunità per il consumatore e motore di crescita per l’economia» organizzato da Bologna Fiere in stretta collaborazione con Adm, l’Associazione che riunisce le più importanti imprese della distribuzione moderna.
«In questo momento difficile per l’economia dell’Italia e dell’Europa», ha detto Camillo De Berardinis, presidente di Adm, aprendo i lavori «la partecipazione sempre più ampia e qualificata di distributori e industria rappresenta un segnale di vitalità del tessuto imprenditoriale di un comparto rilevante e decisivo per il nostro sistema economico, che vede nella collaborazione un’arma vincente. Anche perché marca commerciale vuol dire partnership».
Contestualizzando, De Berardinis ha approfittato dell’audience di una platea gremita di operatori e di rappresentanti dei media per ribadire il concetto che le imprese della distribuzione moderna respingono al mittente l’insinuazione che alcune misure del decreto Cresci Italia – nello specifico quelle intese a favorire una maggiore apertura del mercato alla concorrenza e a ridurre annose rendite di posizione in settori come la distribuzione dei carburanti e dei prodotti farmaceutici – siano frutto della volontà di far loro un favore.
«Modernizzare la rete distributiva, creare più concorrenza», ha affermato De Berardinis, «va a beneficio dell’intero paese, non soltanto della distribuzione moderna che, peraltro, dà lavoro a oltre 450 mila addetti, su 1,8 milioni di addetti complessivi del commercio; investe ogni anno 3,7 milioni di euro in nuove aperture e in ristrutturazioni della rete esistente; ha costruito e consolidato rapporti con oltre 13 mila imprese industriali, delle quali il 98% sono Pmi, generando, altro dato importante, il 75% del suo fatturato con prodotti di imprese italiane; e ha dato e continua a dare un decisivo contribuito al contenimento dell’inflazione: i prezzi delle merci in vendita nella Gdo sono cresciuti del 5,6% fra il 2004 e il 2010 a fronte di un’inflazione del 26,3% nel settore delle tariffe e dei servizi».
Guido Cristini, professore ordinario di marketing presso l’università di Parma, ha sostanziato, con alcune cifre ed evidenze di recenti ricerche, la capacità della marca del distributore di rappresentare un’opportunità per il consumatore e un motore di crescita per l’economia del paese. «La private label», ha detto Cristini, «che negli ultimi 4 anni ha messo a segno una crescita del 18%, arrivando a coprire il 93% delle categorie merceologiche del Lcc e a farsi scegliere dal 99,8% delle famiglie italiane, rappresenta oggi un’alternativa conveniente all’omologo prodotto di marca industriale: nel 2011 ha consentito un risparmio nell’ordine di 1,6 miliardi di euro. Stimola inoltre la competizione fra operatori della medesima categoria merceologica e crea valore, perché spinge all’innovazione e all’assunzione di responsabilità i retailer e al continuo miglioramento sul fronte produttivo e organizzativo i copacker (per oltre il 90% Pmi italiane, ndr), dando loro anche l’opportunità in generare business aggiuntivo».
Tre i motivi che inducono gli italiani a scegliere la marca del distributore: innanzitutto la qualità e il servizio offerto (con un punteggio di 3,5 su una scala di 5). In secondo luogo, con un punteggio di 3,4, l’innovazione, intesa come capacità d’intercettare rapidamente le novità presenti sul mercato, e, sempre con un punteggio di 3,4, la sostenibilità, intesa come rispetto dell’ambiente, dell’etica nel lavoro e come scelta e valorizzazione di produzioni locali.
Una verifica delle strategie seguite da distributori e copacker per lo sviluppo della marca commerciale è venuta dalla tavola rotonda, cui hanno partecipato: Piero Cavallini, direttore commerciale di Valbona, Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, e Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione di Coop Italia.
Creare valore per le Pmi
«In uno scenario in cui, al di là della crisi contingente, il modello di consumo degli italiani è cambiato per diventare più sobrio, ragionato, qualitativo e sostenibile», ha affermato Tassinari «la marca commerciale può rappresentare un’opportunità formidabile di crescita. Certo, insieme ai nostri partner strategici dell’industria dobbiamo saper cogliere e interpretare le nuove tendenze del consumo e saper mettere a punto un’offerta coerente e nell’interesse del consumatore. Se fino a oggi la marca commerciale poteva essere uno strumento per affermare la distintività di un’insegna o per essere alternativi rispetto all’industria oppure ancora per attrarre clientela e marginare di più, d’ora in poi assolve a tutte e tre le funzioni contemporaneamente, perché se l’industria di marca non interpreta adeguatamente le esigenze del consumatore, non porta sufficiente innovazione, noi distributori possiamo e dobbiamo essere alternativi».
Un’alternativa che Tassinari rivendica può essere di prodotto, ma anche di prezzo. «Con la nostra linea a marchio commerciale Club 4-10, che comprende prodotti studiati per proporre una dieta equilibrata ai bambini», afferma il dirigente Coop, «abbiamo per esempio coperto un vuoto d’offerta delle grandi marche che presidiano quei segmenti, riscuotendo immediato successo. Parlando di convenienza, nel momento in cui le industrie di marca dimostrano scarso orientamento a tutelare il potere d’acquisto delle famiglie italiane, privilegiando la propria redditività, non avremo remore a non considerarle nostri partner. Soltanto con produttori coerenti con la nostra mission potremo mantenere e sviluppare relazioni forti».
«Centralità del consumatore, qualità, innovazione, sostenibilità», ha osservato Cavallini, «sono tutti concetti e temi che per essere implementati dalle aziende industriali comportano un lavoro duro e investimenti importanti. È vero che il contatto diretto col consumatore della distribuzione più illuminata rappresenta per noi fonte di stimoli sempre molto validi. È altrettanto vero però che il fatto d’aver conseguito diverse certificazioni Iso, oltre a quelle internazionali, ha fatto sì che la nostra azienda si sia dotata di un’organizzazione tale da consentirle d’ottenere risultati che non si sarebbero potuti raggiungere improvvisando. Vissuta in chiave di partnership, insomma, la marca commerciale può rappresentare un’opportunità formidabile di crescita per un’impresa di medie dimensioni come la nostra».
È chiaro che il rapporto tra distribuzione e copacker è una questione cruciale per entrambi gli attori della filiera. Così se per una Pmi come Valbona «la marca commerciale, vissuta in chiave di partnership, può rappresentare un’opportunità formidabile di crescita per un’impresa di medie dimensioni», per un’azienda delle dimensioni di Conserve Italia le cose sono un po’ più complesse, perché, ha spiegato Gardini, «non può essere votata esclusivamente alla marca del distributore né al solo mercato domestico. Proprio la scelta dell’internazionalizzazione e la crescita a due cifre sui mercati esteri ci sta consentendo di supplire alla stagnazione dei consumi in Italia. Sono però convinto che in Conserve Italia abbiamo trovato un’ottima integrazione fra essere industria di marca da un lato e copacker dall’altro. La conoscenza che avevamo già delle imprese della distribuzione moderna in qualità di loro fornitori di prodotti di marca ci ha consentito di stabilire con loro rapporti virtuosi, di diventarne partner affidabili». Anzi, dei benefici potrebbero derivare al sistema delle aziende di produzione se la crescita delle private label fosse la base di una strategia di ritorno alla crescita, facendo della Gdo un elemento di traino dell’economia nazionale, perché no, anche con progetti di espansione all’estero.
Un concetto condiviso anche da Cobolli Gigli che, riferendosi al rispetto delle regole, in particolare dei tempi di pagamento, ha dichiarato che «Dobbiamo contribuire a dar forza alle Pmi, ossia di quelle aziende che ci consentono di portare avanti un discorso di tipicità. Questo perché le Pmi hanno problemi di conto economico come tutti, ma sentono anche molto di più il problema del credito». Ma il presidente di Federdistribuzione rilancia, auspicando il rafforzamento e le aggregazioni delle piccole imprese: «Avere un interlocutore più strutturato dal punto di vista della capacità produttiva più organizzato e quindi con maggiore capacità d’investimento, consentono alle catene distributive d’impostare strategie anche di medio periodo».
Innovazione e progetti comuni
Ma come dare maggiore notorietà alle private label? E che cosa l’industria si aspetta che i distributori facciano?
A giudizio di Tassinari la Gdo ha dunque ancora molto lavoro da fare sulla private label in termini di differenziazione e di distintività. Ormai affermata nel grocery, deve ancora svilupparsi nel non alimentare. «Se riusciremo a portare un sistema valoriale e convenienza in nuovi mercati», ha detto il dirigente Coop, «consolideremo il valore e la reputazione delle nostre insegne. Chi dice che liberalizzando si fa un favore alla Gdo, in realtà, ha paura di dover competere con operatori che possono svolgere in nuovi settori il ruolo che già hanno giocato nel food a favore del consumatore».
«Il ruolo di noi copacker», secondo Cavallini, «è mettere in campo la nostra specificità, la nostra cultura aziendale e professionale. È vivere con grandissima responsabilità il compito di realizzare prodotti che porteranno un marchio su cui i nostri partner investono una montagna di risorse. Ma, per noi che lavoriamo anche all’estero, dove la marca commerciale è più evoluta, può anche voler dire portare la nostra esperienza, dare il nostro contributo al miglioramento e alla crescita del comparto».
«Alla distribuzione», ha affermato Gardini, «chiediamo stabilità dei contratti di fornitura a fronte dell’affidabilità del copacker». Il presidente di Conserve Italia non ha negato che sul fronte dell’innovazione si potrebbe fare di più. «Quando i margini si riducono e la crisi si fa più acuta», ha ammesso Gardini, «succede che il capitolo della ricerca e sviluppo ne soffra. In un’Italia vocata alle produzioni agroalimentari, ma che non ha investito su di esse, considerando il mondo agricolo e della trasformazione un comparto maturo, occorrerebbe invece mettere in circolo risorse pubbliche su capitoli specifici di ricerca. Eventuali forme di co-investimento con la distribuzione moderna su alcuni progetti, potrebbero rappresentare un ulteriore elemento di stabilizzazione del rapporto copacker-insegna».
«Il tema dell’innovazione», ha convenuto Cobolli Gigli, «è cruciale. Sarebbe importante che la distribuzione moderna si appropriasse di questo capitolo, normalmente prerogativa dell’industria. Dotandosi di un settore di marketing e d’ingegnerizzazione dei prodotti, la distribuzione riuscirebbe a fare della vera innovazione. Ed è noto che un prodotto innovativo crea valore aggiunto».
A cura di Luisa Contri