consumi

Quale vuoi? Vedi se c'è quello del supermarket

I prodotti a marchio commerciale riscuotono un crescente successo, come dimostrano le quote di mercato che sono riusciti a raggiungere a livello globale. Questo successo è particolarmente marcato in Europa, dove la quota di mercato media delle private label è più elevata rispetto al resto del mondo (35%) e alcuni distributori raggiungono anche punte che si attestano intorno al 50% (Nielsen, 2011).
Se originariamente la strategia dei retailer in relazione ai prodotti a marchio era basata sull’offerta di prodotti che replicavano l’offerta industriale venduti a un prezzo più conveniente, oggi le marche commerciali si sono trasformate in alternative d’offerta sempre più evolute, in grado di competere con successo con le marche industriali ai vari livelli della scala prezzi.

I distributori si sono infatti progressivamente appropriati delle competenze tipiche delle imprese industriali e hanno via via sviluppato brand system sempre più complessi.
L’acquirente, che si è avvicinato alla marca commerciale per ragioni di convenienza, ne riconosce ora le caratteristiche di qualità e il ruolo di garanzia, come si evince dall’aumento in quota della private label di tipo premium.

Appare perciò di notevole interesse per i manager sia del comparto industriale che di quello distributivo comprendere quale tipologia di brand, national (offerto da imprese manifatturiere) o private label (dei retailer), vince la competizione nelle percezioni del consumatore.

Alla domanda ha provato a rispondere una ricerca dell’Osservatorio retailing della SDA Bocconi, condotta da Sandro Castaldo e Monica Grosso.
Lo studio, di natura sperimentale, si è focalizzato su varie categorie dei Fast moving consumer good e ha coinvolto in totale 1951 soggetti, campione rappresentativo della popolazione italiana.

Un risultato interessante sulle percezioni dei consumatori rivela come le private label siano perfettamente allineate ai marchi industriali in termini di fiducia riposta nel brand.
L’analisi sulla significatività delle differenze tra medie condotto sul livello di fiducia relativa a 4 tipologie di brand (brand industriale noto, brand industriale non noto, private label nota e private label non nota) mostra come la private label nota detenga sostanzialmente lo stesso livello di fiducia del brand noto.
Lo stesso vale per le due tipologie di brand (industriale e distributivo) non note che si attestano a un livello di fiducia significativamente inferiore rispetto a quello dei brand noti.
Stesso discorso per la frequenza d’acquisto, a dimostrazione che le private label godono dello stesso livello di fedeltà comportamentale dei brand industriali, principale conseguenza della fiducia.

Dalla ricerca appare infine la maggior capacità dei retailer di sfruttare il patrimonio fiduciario conquistato proponendo nuovi prodotti con il proprio marchio.
Essi appaiono infatti avvantaggiati nelle percezioni dei consumatori nel portare avanti una strategia di estensione più aggressiva e svincolata dal prodotto in sé.
Ciò rappresenta una minaccia ai brand industriali e alle imprese di servizi perché si aprono ai distributori potenzialità di estensione tendenzialmente infinite.

Alcuni retailer ‘evoluti’ si sono già estesi in aree di business svincolate dalla tradizionale funzione commerciale facendo leva sulla vicinanza con i clienti finali di cui godono grazie ai punti vendita, vere e proprie piattaforme di sviluppo della relazione con gli acquirenti.

Alle imprese che fino a questo momento non hanno svolto funzioni distributive ma esclusivamente quelle produttive resta quindi la scelta di cogliere questa la sfida, cercando di colmare in autonomia questo gap relazionale con la domanda, oppure allearsi con i retailer per sviluppare metodi innovativi di co-creazione del valore.

A cura di Monica Grosso, PhD Candidate in business administration and management presso l'Università Bocconi di Milano.
Tratto dal sito www.viasarfatti25.it