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Manuela Soressi L’opinione di Manuela Soressi

Benvenuti nella quinta stagione

Una bella opportunità per i consumatori che godono di un’offerta destagionalizzata che condensa le quattro stagioni ma che mette in crisi il comparto tradizionale

Economia e consumi Largo consumo

Piccolo (ma interessante) esercizio di sociologia spicciola: entrare in un negozio di fast fashion e cercare di indovinare la stagione osservando l’assortimento proposto nello store. Indovinarla? Quasi impossibile, perché in vendita (e anche in cassa) si vedranno piumini e t-shirt, soprabiti e costumi da bagno, felpe e bermuda. Analogamente, entrando in un ipermercato o un superstore, si potranno comprare polenta e sorbetti, radicchi e fragole, asparagi e mirtilli (e forse anche panettone e pastiera) in ogni mese dell’anno. Sono solo due dei segnali che mostrano come siamo ormai entrati nella quinta stagione, quella che condensa le altre quattro. Un eterno presente, dove tutto ha ragione e senso per chi acquista.

Sul fronte della supply chain le possibilità offerte dai progressi in agricoltura, gli scambi garantiti dal commercio globale e la rete internazionale di fornitori hanno permesso di estendere la stagionalità e di aumentare la disponibilità di molti prodotti. A goderne i benefici sono stati i consumatori che hanno un’ampia offerta destagionalizzata, resa ancora più allettante alla luce dei cambiamenti climatici, che ci sta abituando a continui viaggi di andata e ritorno tra estate e inverno nell’arco di pochi giorni. Oggi è sicuramente facile adattare ai capricci del meteo la dispensa e l’armadio di casa. Altrettanto facile non è, però, cambiare l’approccio di molti attori della filiera.

Pensiamo al commercio tradizionale e ai saldi: fissati regione per regione, con mesi di anticipo, restano ancorati al calendario e, quindi, slegati dall’andamento meteorologico. Con profondi effetti negativi sulle vendite. Se a metà agosto in vetrina arrivano i capi autunnali ma le temperature restano estive sino a novembre, si arriverà ai saldi di gennaio con i magazzini pieni. E, in febbraio, quando l’inverno si farà rigoroso, nei negozi non ci saranno più capi e scarpe pesanti cercate dai consumatori perché ci si starà già preparando per la primavera. Una disfasia che non giova a nessuno, se non (come ha fatto finora) ai category killer che hanno saputo inventarsi un assortimento sfaccettato e dinamico, dove si può trovare quel che serve praticamente in ogni giorno dell’anno.

Un modello che richiede un ripensamento radicale del sistema del mass market (e del tessile e moda in primis) anche perché sta avendo impatti importanti sul comparto distributivo, in particolare sulla crisi del commercio tradizionale, il più radicato nel territorio italiano.

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