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Gli alieni in cucina

l'opinione di

L’invasione è ormai avvenuta. E non possiamo certo dire che non sia stata annunciata. Da anni schiere di officianti ne hanno pervasivamente preparato il terreno. Centinaia di guru dietologi, sacerdoti nutrizionisti, condottieri masterchef hanno dissodato le nostre pigre abitudini alimentari mediterranee. Oggi non ci resta che piegarci ai nuovi diktat del dernier cri della gastronomia fashion intrecciata ai rituali fanatici dei culti culinari. L’etica vegetariana, il puritanesimo vegano, l’ascetismo fruttariano, persino l’eresia dello Spaghetto Volante pastafariano dominano le nostre vite.

Tutto è cominciato con la crociata dello Slow Food e il suo potente alleato Bio, detentore dell’arma segreta – il “km.0” – contro il Lato Oscuro, il comodo ma maligno Fast Food, fiancheggiato dai guerriglieri del Junk Food e del Finger Food: si sono cristallizzate nuove ortodossie, dalla cucina molecolare a quella primordiale, dalla fusion allo street food.

Quindi sono arrivati loro, gli alieni veri e propri. Il complotto è fin troppo palese. Noi siamo ciò che mangiamo. “Stay hungry, stay foolish” – alla lettera, nessuna intenzione metaforica. Si sono insinuati nei nostri piatti e nei nostri apparati digerenti. Spesso hanno nomi con troppe vocali o troppe consonanti, assemblate a casaccio.

Avevamo appena cominciato a distinguere tra sushi e sashimi. Era solo l’inizio.

Poi qualche testa di ponte, le truppe scelte: Couscous e Hummus, Kebab e Falafel. Guacamole e gaspacho. Infine, son dilagati a valanga: Quinoa. Kalette. Soia. Pokè. Goji. Ramen. Giacaaka Jackfruit. Muhammara. Calcots. Miso. Khachapuri. Hijimi. Kombu. Matcha. Dank.

Potremmo andare avanti per ore. Nutrimenti non proprio “terrestri”, e per di più difficili da pronunciare, in compenso bellissimi da fotografare e postare su Instagram e social-simili. La prima ondata ora è irreversibilmente insediata, come Marines su Omaha Beach al settimo giorno dal D-Day.

Ma non è finita, anzi: con il nuovo anno la UE approverà la lista dei Novel Food. I reggimenti che procederanno alla vera e propria colonizzazione dei nostri languori famelici avranno nomi - per noi italici - quasi familiari, spesso rivelatori di quarti di nobiltà e antica casata latina. Nezara Viridula. Melolontha Melolontha. Tettigonia Viridissima. Halymorpha Halys. Arthrospira Platensis. Cassiopea Mediterranea. Bombix.

Sì, proprio così. Ci ingozzeremo di insalatone di libellule, farine di larve, fritturine di vermi, spezzatini di bachi da seta, polpette di scarabei, zuppe di ragni, grigliate di alghe, pasticci di grilli, brodini di cavallette, dessert di camole.

E perché no, uno snack alla medusa. Mica ci facciamo mancare niente. Intere famiglie di ortotteri e coleotteri crocchieranno sotto i nostri denti, voraci di cibi e di novità, o più semplicemente spinti dall’umano, troppo umano impulso global a divorare entrambi i regni del pianeta, animale e vegetale – a quello minerale ci pensano già svariati comparti minerari. Altro che Lucullo. Ma quale Sardanapalo.

D’altra parte, chi mai è davvero vissuto d’arte e d’amore? Novelli Pantagrueli compulsivi contempliamo l’adorazione per il cibo, e l’unica arte ammessa è saperlo cucinare. Il Nuovo Verbo dei piaceri della Gola - ma non era peccato capitale? - si muove tra la Tradizione e l’Esotico. Niente paura, era già accaduto secoli fa con pomodori e pesche, oggi la nostra innata xenofilia ci aprirà sconfinate praterie 4.0 di sperimentazioni e mashup.

Sempre più lontani da sofferte ascesi dello spirito. Semmai ci fosse stata l’intenzione… In effetti, non era proprio Kierkegaard a dire, “qualunque cosa accada, ho a cuore il caffè”?

Gino Ventriglia lavora come sceneggiatore e script consultant per varie società di produzione cinematografiche e televisive. Insegna drammaturgia cinematografica e seriale e digital storytelling (Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma; Scuola Holden, Torino). È developer e pitching trainer in numerosi programmi di sviluppo nazionali e internazionali (Biennale Cinema College; Series Lab Italia; Series Lab International). Dice di sé: «Di una mia qualità vado molto fiero: non generalizzo mai».

L'editoriale di Gino Ventriglia è pubblicato nella seconda edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy.

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