03. Le nuove dinamiche dei consumi e il riscontro di industria e distribuzione: i diversi punti di vista
Come vive la filiera del largo consumo l’entrata in vigore dell’art. 62 e quali sono i motivi per la scarsa propensione dei retailer italiani all’internazionalizzazione. Ne hanno parlato gli ospiti della tavola rotonda di fine mattina del 6° Consumer & Retail Summit.
Il bicchiere mezzo vuoto…
L’entrata in vigore dei nuovi termini di pagamento dei prodotti agroalimentari desta alcune perplessità in Daniele Bragaglia, amministratore delegato di Eridania Italia. «Il nostro settore», ha detto Bragaglia, «è già abbastanza tirato dovendo anticipare i costi di produzione di 10 mesi rispetto al momento della vendita del prodotto. Da 3 anni a questa parte dobbiamo poi fare i conti con il credit crunch. Abbiamo comunque già vissuto e superato momenti di discontinuità. Nel 2005 l’Europa ha imposto una drastica cura dimagrante al nostro settore, con la chiusura di 15 dei 19 zuccherifici esistenti in Italia. Rimboccandoci le maniche abbiamo fatto investimenti per migliorare la nostra efficienza e fatto innovazione. Soltanto la nostra azienda negli ultimi 3 anni ha lanciato almeno 15 prodotti e confezioni nuove. Nonostante il category che proponiamo al retail venga ancora accolto con difficoltà, siamo convinti che una maggiore collaborazione, uno scambio trasparente dei dati potrebbe portare a un 15% di vendite aggiuntive, senza aumentare la promozionalità».
«Il mancato scambio dei dati», ha osservato Fabio Sordi, direttore acquisti e mercati di Auchan Italia, «non è la causa delle tensioni fra gdo e industria. Ne è l’effetto. Non dimentichiamo che in Italia, diversamente da altri paesi, la gdo ha una redditività molto bassa. Occupiamo quindi buona parte della negoziazione a cercare di recuperare la nostra produttività. L’art. 62, a mio parere, non aiuterà a migliorare le cose. A meno che si faccia una rivoluzione copernicana e sia noi sia l’industria accettiamo di parlare di triplo netto».
… e quello mezzo pieno
Più positiva la valutazione di Francesco Pugliese, direttore generale di Conad, pur se per il suo gruppo l’entrata in vigore dell’art. 62 significherà una diminuzione della liquidità di 353 milioni di euro. «Noi riusciremo a farvi fronte», ha assicurato Pugliese. «Ma non sarà così per tutti. Ci risulta che un 30% dei retailer non sarà nelle condizioni di finanziarsi presso il sistema bancario per far fronte ai più brevi termini di pagamento. E siccome le aziende falliscono per cassa e non per patrimonio, è molto probabile che quel 30% sarà in difficoltà e metterà in difficoltà anche l’industria».
«È vero», ammette Ángel Sanchez, direttore generale di Conserve Italia, «ci saranno problemi anche per noi. I retailer che resteranno sul mercato, poi, per incrementare il loro livello d’efficienza diventeranno più esigenti nei nostri confronti. Ci sarà una selezione naturale anche fra l’industria, ma mi auguro s’inneschi un circolo virtuoso nel quale lo scambio dei dati non sarà visto più, com’è ora, un metodo per fare cassa, bensì come uno strumento per migliorare l’efficienza d’entrambi».
Le dimensioni contano
Una concentrazione fra le fila dell’industria è auspicabile quanto quella fra retailer. «C’è già spazio per moltiplicare per dieci, per 100 volte l’attuale export di prodotti alimentari tipici italiani», ha detto Sordi, «ma le ridotte dimensioni delle nostre aziende ha fin qui reso difficile la loro internazionalizzazione. Se l’Italian sounding s’è sviluppato è perché i contraffattori hanno potuto occupare un vuoto di mercato. Se invece le aziende italiane fossero meglio in grado di raggiungere i mercati esteri, nel paese arriverebbe più denaro, riprenderebbero i consumi, ripartirebbe l’economia e sia noi che l’industria potremmo tornare a crescere».
Mentre Bragaglia e Pugliese si sono trovati d’accordo nell’auspicare l’implementazione delle innovazioni che generano efficienza di cui da anni IDM e GDO discutono e Tefiletti ha sollecitato industria e distribuzione a far fronte comune contro gli speculatori e a premere sul governo per scongiurare un nuovo aumento dell’Iva, Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, ha richiamato l’attenzione sul fatto che le liberalizzazioni varate dal governo Monti sono contrastate dalle regioni e dai comuni.
Enti locali ostacolo alla crescita
«Abbiamo dovuto presentare decine e decine di ricorsi al Tar nei confronti dei comuni e delle regioni», ha rammentato Cobolli Gigli, «perché s’opponevano alla liberalizzazione degli orari d’apertura dei nostri negozi». A sostegno della sua tesi il presidente di Federdistribuzione ha citato le dichiarazioni di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, in un’intervista rilasciata all’Huffington Post. Pitruzzella ha affermato che le regioni sono un ostacolo alla modernizzazione e all’efficienza del nostro paese, in quanto boicottano le liberalizzazioni fatte dal governo. «Regioni, province e comuni», ha detto, «sono uno scoglio perché non applicano le leggi o addirittura decidono in senso opposto. Bisogna prendere atto che questo federalismo non funziona. È anzi necessario un disegno di legge costituzionale che definisca un nuovo assetto delle Regioni».
Manca una cultura del retail
Severo il giudizio di Vittorio Radice, vice presidente de la Rinascente, sulla GDO italiana e sulla sua mancata internazionalizzazione. «La prima ragione per la quale i retailer italiani non sono andati all’estero», ha affermato Radice, «va ricercata nel fatto che da noi non c’è una grossa cultura del retail. Siamo degli ottimi produttori, ma dei pessimi venditori. Gli stessi brand italiani dell’alta moda che vanno all’estero, non sono dei bravi retailer. Nessuno di loro ha raggiunto le dimensioni di Ralph Lauren o di Burberry. Manca in Italia una scuola di retail forte, forse anche per il fatto che al settore non è stata data l’opportunità di svilupparsi».
A cura di Luisa Contri