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Liberalizzazioni 4 - Compensare i danni a farmacisti e taxisti?

l'opinione di

L'obiettivo ultimo di ogni liberalizzazione è l'eliminazione delle rendite associate a una regolazione ingiustificatamente restrittiva. Da questo punto di vista, il problema principale è che le rendite vengono capitalizzate e la liberalizzazione, conducendo alla riduzione del loro valore, impone, a chi ne beneficia, significative perdite in conto capitale. Inoltre la liberalizzazione favorisce i nuovi entranti e danneggia coloro che già operano nel mercato. Per questo, simili politiche trovano raramente dei promotori che si impegnino attivamente per favorirne l'adozione. Da qui l’importanza che esista un’istituzione pubblica, nel caso italiano l’Autorità antitrust, che se ne faccia carico.

Restrizioni regolamentari

Alcune rendite sono naturali, per esempio quelle associate a una terra più fertile o a un appartamento nel centro della città. La loro capitalizzazione conduce a prezzi più elevati per acquistarli. La concorrenza (statica) incide soprattutto sui profitti che, rimanendo con gli stessi esempi, sono collegati allo sfruttamento della terra o dell'appartamento e sono disciplinati dalle scelte effettuate da imprenditori, consumatori e utenti. In altre parole, il tasso di profitto dipende dalla struttura dei rispettivi mercati (nel caso specifico generalmente concorrenziale).
La concorrenza come processo (il progresso tecnico, l'innovazione e l'allargamento dei mercati) contribuisce significativamente a ridurre il livello delle rendite naturali. Anche l’eliminazione della regolazione ingiustificatamente restrittiva ha un grande rilievo nella loro riduzione. Per esempio, il modesto sviluppo dei centri commerciali contribuisce a rendere scarsi i locali per l'apertura dei negozi nelle zone centrali delle città facendo lievitare i loro prezzi e i rispettivi canoni di locazione.

Paradossalmente, le rendite associate alla regolazione ingiustificatamente restrittiva sono più stabili di quelle naturali. Una loro rimozione è una scelta politica, dunque ogni proposta in quella direzione è oggetto di una fortissima opposizione da parte delle categorie protette.
Prendiamo come esempi taxi e farmacie. La liberalizzazione dei relativi mercati è rivolta a eliminare le rendite associate alle ingiustificate restrizioni regolamentari, non necessariamente a ridurre i profitti collegati allo svolgimento delle due attività. Infatti la regolazione dei prezzi dei servizi taxi e la concorrenza (sui prodotti a prezzo libero) tra farmacisti già oggi conduce a un livellamento dei profitti (ossia dei loro redditi) considerato che la tariffa o i prezzi (anche se regolati) già contengono tra i costi la remunerazione del valore della licenza. Come effetto del funzionamento dei mercati, le restrizioni numeriche sui taxi e sulle farmacie si riflettono nelle maggiori rendite che tassisti e farmacisti riescono a conseguire, a loro volta capitalizzate nel valore della loro licenza. Al margine, come conseguenza della concorrenza o della regolazione di prezzi e tariffe, i profitti economici di tassisti e farmacisti sono quelli normali.

Perché regolare un mercato?

Le questioni da risolvere sono due.
La prima cosa è stabilire se e come il mercato debba essere regolato.
Nel caso dei tassisti e delle farmacie esistono certamente obblighi di servizio pubblico (il fatto che il servizio sia sempre disponibile, che i prezzi non siano ingiustificatamente elevati, che il fornitore del servizio sia professionalmente competente, che il magazzino sia ben fornito, eccetera) che richiedono specifici interventi regolatori. Tuttavia, gli assetti proprietari non c'entrano con il rispetto di questi obblighi. La farmacia o il taxi può essere di proprietà di chiunque. È sufficiente che chi guida o chi fornisce il servizio in farmacia sia professionalmente competente.

Con una liberalizzazione degli assetti proprietari (e delle piante organiche) gli obblighi di servizio pubblico possono essere più facilmente imposti a tutti: per esempio, le società di taxi possono garantire la copertura giornaliera del servizio (valutata in termini qualitativi da opportune autorità di controllo) senza dover imporre turni e numeri minimi (viceversa con la licenza individuale ciò è impossibile) con la sola previsione dello sventagliamento tariffario (diurno-notturno-festivo) soggetto a regolazione. Per quanto riguarda le farmacie è sufficiente l'imposizione degli obblighi di servizio pubblico a tutti (e la previsione di una turnazione per il servizio notturno) e della presenza di un farmacista nella vendita. Gli assetti di mercato emergeranno come una conseguenza. E non c'è troppo da preoccuparsi che i servizi di prossimità vengano eliminati: anche lo sviluppo delle grandi superfici al dettaglio si è realizzato senza del tutto sostituire i negozi tradizionale.
Liberalizzazioni così concepite, che cioè mantengono vincoli appena sufficienti a garantire il raggiungimento dell'interesse generale, sono quelle più favorevoli a promuovere l'innovazione, la differenziazione dei prodotti, lo sviluppo di nuove forme organizzative, l'abbassamento dei prezzi, e sono spesso accompagnate da effetti a cascata su altri comparti/settori. In altre parole la crescita economica trae origine dagli investimenti complessivamente associati a queste evoluzioni.

Le compensazioni

La seconda questione è come si raggiunge questo nuovo equilibrio. Questa è la parte politicamente più delicata.
Sempre nel caso di taxi e farmacie, il processo di liberalizzazione comporta un progressivo declino del valore delle licenze. Il valore ottimale di una licenza taxi è di poco superiore a zero (la rendita ottimale associata al servizio di taxi dovrebbe cioè essere zero). Chi oggi ha acquistato una licenza di taxi che vale 200mila euro, con una piena liberalizzazione degli accessi perderebbe tutto: è una delle ragioni delle proteste. Nel caso dei tassisti, in considerazione dei risvolti sociali che ne conseguono, la politica pubblica potrebbe intervenire, come avvenuto in Irlanda, istituendo per lo meno un fondo di compensazione per i tassisti al di sopra dei 50 anni (il valore della licenza è infatti anche un'assicurazione contro la malattia e la vecchiaia). Per le farmacie, il problema è socialmente molto meno grave e la compensazione dei farmacisti per la riduzione di valore della licenza non sembra necessaria, perché la diminuzione di valore può essere compensata da opportune iniziative imprenditoriali del farmacista titolare, eventualmente allargando gli assortimenti anche al di fuori del ristretto settore dei farmaci, come in parte già avvenuto.

Liberalizzazioni meno ambiziose (aumento del numero delle licenze o della pianta organica), semplicemente volte a estendere l'accesso alla “torta” ad altri soggetti sono meno efficaci in termini di benefici per i consumatori perché non promuovono la concorrenza tra forme organizzative diverse, anche se anch'esse contribuiscono all'abbassamento delle rendite e, di conseguenza, a un modesto abbassamento dei prezzi. Anche l'effetto sulla crescita è ridotto, non essendo questi interventi associati a innovazioni, investimenti o benefici diffusi.
Talvolta le liberalizzazioni parziali possono essere un primo passo verso una più ampia apertura dei mercati. Per esempio, la liberalizzazione del 2006 dei soli farmaci da banco (e non dell'intero comparto delle farmacie), peraltro associata all'obbligo (ingiustificato) della presenza di un farmacista nella vendita di farmaci liberamente disponibili, era soprattutto volta a vincere le resistenze degli “interessi costituiti”, in questo caso dei proprietari di farmacie esistenti, e a convincere il più vasto pubblico che la salute non ne risultava compromessa.

Tratto dal sito www.lavoce.info