
Un nuovo studio ECR Retail Loss dedicato allo spreco alimentare ha stimato che i costi aggiuntivi nascosti per la gestione all’interno del punto vendita del cibo invenduto e della sua uscita dall’attività, qualora non possa essere più venduto, arrivano fino all’1,8% dei ricavi.
Attraverso il coinvolgimento di quattro rivenditori alimentari (due del Regno Unito e due dell’Unione europea) sono stati mappati i percorsi di uscita di un campione di categorie di prodotti freschi a breve scadenza, identificando le principali cause di uscita del cibo e i costi visibili e nascosti di ciascun percorso. È stato inoltre sviluppato un modello interattivo con cui calcolare il vero costo dello spreco alimentare di ogni referenza, considerando i costi per far uscire il prodotto, la maggiorazione sul costo d’acquisto per vendite perse e un margine lordo ridotto.
Lo studio riportato nel nuovo report Food waste di ECR Retail Loss ha ricoperto il periodo da settembre 2020 a marzo 2025, lasso di tempo in cui, sotto la spinta normativa e di gruppi della società civile, le pratiche di gestione di cibo e bevande invendute da parte dei retailer si sono ncremento delle donazioni sia verso modelli di riutilizzo in altre filiere. I retailer si stanno dedicando attivamente al raggiungimento dell’obiettivo SDG 12.3 dell'ONU di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, ma molti di loro sono motivati anche da forti convinzioni personali: le interviste infatti mostrano che l'impegno dei membri di ECR Retail Loss va oltre la prevenzione delle perdite o il miglioramento dei profitti.
L'iceberg dei costi nascosti
Il gruppo di lavoro ECR paragona i costi dello spreco alimentare a un iceberg in cui la parte visibile, ovvero il costo della referenza invenduta, è solo la punta, mentre la parte sommersa, costituita da tutti i costi di gestione del prodotto, è molto più ampia. Il 75% di questi costi nascosti è legato all'attività quotidiana in negozio: il tempo speso dal personale per controllare le date di scadenza, applicare i ribassi e gestire la rimozione degli articoli dagli scaffali. Questo dato sfida l'intuizione comune, secondo cui donare o gettare il cibo in discarica è un'azione rapida e a costo zero. Al contrario, viene dimostrato che ogni articolo gestito fuori dal normale ciclo di vendita comporta un costo aggiuntivo in termini di manodopera, materiali e logistica, anche quando viene donato a enti di beneficenza.
Modello di calcolo del costo dell’invenduto
Dato che nessuno dei retailer coinvolti aveva raccolto in maniera sistematica tutti i dati necessari sul loro spreco alimentare, per la realizzazione del modello di calcolo “What If” è stato creato un caso studio ipotetico fondato su dati forniti da altri casi studio integrati con benchmark tratti da fonti affidabili. È stato calcolato che il costo di acquisto del cibo donato, ridistribuito o gettato via equivale all'1% del fatturato dei rivenditori. A questo valore, che corrisponde al costo riconosciuto dell’eccedenza e dello spreco alimentare, il rivenditore deve però aggiungere i cosiddetti costi nascosti di gestione di tutto il cibo non venduto a prezzo pieno, quantificati nell’1,8% del fatturato. Si tratta di eccedenze e sprechi alimentari, ma anche di ribassi e perdite inspiegate.
FIGURA 1 - Costi nascosti del cibo invenduto

Dal profitto alle perdite, l’impatto sul margine netto
Lo studio mostra, attraverso diversi scenari, come il costo del cibo invenduto possa trasformare un profitto atteso in una perdita e che se non gestito correttamente può annullare completamente il margine di profitto netto su una singola referenza. Per questo, nel rapporto viene consigliato ai retailer di integrare i costi nascosti direttamente nei processi di acquisto, prevedendo un margine aggiuntivo di almeno il 2,7% sul prezzo di acquisto di ogni articolo. Questo permette di gestire in modo più consapevole i ribassi e le eccedenze. Per ridurre i costi dello spreco alimentare dai casi ipotizzati sembra essere marginalmente più conveniente scegliere la ridistribuzione alimentare rispetto alle uscite per lo spreco alimentare per il cibo invenduto, in particolare dove questo può essere fatto direttamente nel punto vendita.
Linee guida ECR Italia sulle eccedenze alimentari
in Italia vengono generate 5,6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari lungo tutta la filiera, pari al 16% del consumo annuo. Di questi 5,6 milioni di tonnellate, circa il 20% è prodotto dalle aziende dell’industria e della distribuzione (Fonte: Politecnico di Milano e Fondazione Banco Alimentare Onlus “Surplus Food Management Against Food Waste. Il recupero delle eccedenze alimentari. Dalle parole ai fatti 2015). Per prevenire e trattare le eccedenze alimentari ECR Italia ha stilato delle linee guida frutto del lavoro comune delle aziende di Industria e Distribuzione che hanno identificato e condiviso delle strategie di prevenzione delle best practice per la redistribuzione, il riciclo, il recupero e l’eliminazione delle eccedenze.