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La nuova spesa degli italiani mutevoli e multidimensionali

Con il Nuovo Codice Consumi GS1 Italy pone le basi per una nuova lettura del comportamento dei consumatori, ridefinendo i concetti di comunità e di territorio e indica le direzioni per gestire la complessità a Industria e Distribuzione

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Molteplice, eclettico, fluttuante, ossimorico. Sono le diverse dimensioni del consumatore, così come ce le restituisce la ricerca fondativa Nuovo Codice Consumi, realizzata da GS1 Italy in collaborazione con Ipsos e McKinsey & Company, con l’obiettivo di comprendere a fondo i comportamenti d’acquisto degli italiani di oggi e di immaginare le possibili direttrici di evoluzione al 2030, delineando scenari strategici futuri per istituzioni e imprese del largo consumo.

La ricerca è stata presentata il 23 giugno nel corso dell'evento “La spesa e gli italiani: scenari e impatti sul sistema Paese” a Roma e trasmesso anche in diretta streaming.

«Di fronte alla complessità di questi ultimi anni, caratterizzata dalla velocità dei cambiamenti, che ci stava disorientando – spiega Francesco Pugliese, presidente di GS1 Italy e amministratore delegato di Conad – ci siamo chiesti se non fosse arrivato il momento di conoscere le aspirazioni e le esigenze delle persone quando cercano e acquistano un prodotto». Da qui a comprendere che non c’erano a disposizione risposte coerenti e che fosse necessario un nuovo modello di osservazione il passo è stato breve.

Il senso di una ricerca fondativa

«Ormai le variabili socio-demografiche sono sempre più descrittive ma non interpretative – aggiunge Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia – e di conseguenza le marche e la distribuzione, che sono state sempre proattive per il mondo delle ricerche di mercato, devono trovare un nuovo modo di interagire con i propri clienti che oggi sono mutevoli e multidimensionali. Sappiamo che la complessità ha a che fare con macrofenomeni e trend spesso analizzati in modo disgiunto tra loro. Ci sono i grandi cambiamenti come: la demografia, la sostenibilità e la transizione ecologica, la tecnologia, l’omnicanalità, la territorialità, ma il modo in cui gli individui reagiscono alle spinte e i contesti in cui avvengono sono numerosi e variabili. Vi è infine un cambiamento antropologico che sta alla base di una frammentazione identitaria che porta l’individuo ad agire comportamenti diversi, spesso ambivalenti e contraddittori tra di loro, in contesti differenti». Come correlare tutto ciò? Con il superamento delle tradizionali classificazioni, attraverso un metodo di ricerca innovativo che supera la visione classica del settore del largo consumo in Italia, quella fondata sulle segmentazioni geografiche o anagrafiche, grazie a un nuovo metodo di analisi qualitativo e quantitativo.

Da qui nasce lo studio che prende le mosse dall’identificazione delle sei tematiche chiave nel rapporto degli italiani con la spesa e i consumi:

  • Emozionalità di prodotti e marchi.
  • Innovazione dell'esperienza di consumo.
  • Omnicanalità ed esperienza d'acquisto.
  • Cura per l'ambiente e la persona.
  • Territorialità
  • Convenienza e parsimonia.

Sono quindi seguite una fase etnografica, in cui i ricercatori hanno vissuto per un certo periodo con 36 famiglie italiane, nove sessioni di focus group e una fase quantitativa che ha coinvolto 4 mila responsabili di acquisto. Sono le “nuove lenti” necessarie per conoscere i consumatori dai tanti io, che comprano per affinità e per trovare risposte ai propri desideri e che non possono essere definiti per la loro appartenenza a un’unica casella, si chiami area territoriale, livello di studio, genere o classe socio-demografica.

Community, sciami, territori

Così, per districarsi nella complessità, il Nuovo Codice Consumi propone due nuove lenti interpretative: le community of sentiment e i territori distintivi, che con le loro caratteristiche definiscono il modo di essere e di operare delle persone.

Le community sono sciami, raggruppamenti fluidi, non consolidati, di soggetti eterogenei legati da pulsioni, affinità, attitudini e passioni simili. Si uniscono in sciami perché in quel momento hanno le stesse icone di riferimento, condividono la stessa narrazione. E non sono stabili.

Sono nove le comunità di sentire:

  1. Basta poco per essere felici: le persone che si gustano le piccole cose (12%).
  2. Caring parsimoniosi: gli angeli custodi, che curano il nido (11%).
  3. Disattenti con il gusto di essere ammirati: gli ispirati dall’edonismo (14%).
  4. Ricercati dal gusto brandizzato: i follower del fashion (10%).
  5.  Conviviali concentrati sulla salubrità: i saggi del benessere (20%).
  6. Urban-onnivori disinteressati, la vita è un delivery: i costretti a vivere veloce (13%).
  7. Moral suasion: i ribelli etici, no logo e freddi con la GDO (11%).
  8. Sperimentatori accorti: i creatori di gusti informati e avveduti (22%).
  9. Autentici nostalgici del genius loci: i custodi tradizionalisti ed elegiaci a km0 (12%).

Questi sciami, le nuove tribù del consumo, vengono posizionati dai ricercatori in una mappa suddivisa in quattro campi di atteggiamenti, laddove un campo è uno “spazio sociale di consumo“, macro-elementi che caratterizzano gli atteggiamenti delle persone.

Quindi si individuano il campo dei caring parsimoniosi e nostalgici (persone attente al risparmio, alla famiglia, con una visione nostalgica degli acquisti); il campo degli etico ricercati del gusto (che uniscono il bisogno di brand con l’etica delle imprese); quello degli urban advocacy (attenti al gusto ma brandizzati, per i quali il green diventa una forma di compensazione) e il campo dei fast salutisti (chi è attento alla salute e al benessere dei prodotti che compra).

Fig1_NuovoCodiceConsumi.jpgFigura 1 – Il peso delle community e i campi di atteggiamentoFonte: GS1 Italy “Nuovo codice consumi - La spesa e gli italiani” 2022

Riguardo ai territori distintivi, per i quali la ricerca definisce anche le attitudini d’acquisto e i canali prediletti per categorie di prodotto e la loro frequentazione, è stato rotto lo schema geografico classico, estrapolando quattro territori che marcano la distintività del consumo, ognuno dei quali caratterizzato da diversi filoni legati da uno in comune, cioè la spesa come comportamento routinario.

  • Le aree a prevalenza agricola (18% della popolazione), sono connotate da tre caratteristiche: la urban imitativa in cui le scelte di consumo, come il delivery, sono guidate da una spinta imitativa di quanto avviene nelle aree metropolitane, la velocità e semplicità, che portano alla colpevolizzazione del gusto, e il tradizionalismo riflessivo in cui filiera corta ed etica del produttore sono scelte in quanto vicine a sé, nello stesso territorio.
  • Le aree a prevalenza turistica (25%), dove il caring green-riflessivo, la cura del sé e del corpo e la velocità guidano le scelte di consumo consapevoli e meditate per stare bene.
  • Le aree a vocazione industriale (i distretti, con il 37% della popolazione), hanno come vocazioni principali l’urban-cool, legato alla visione dell’essere metropolitani, di esprimere la propria ricchezza e di ostentazione del consumo, e alla visione urban-nostalgica, che esprime il bisogno di ritornare alle tradizioni, alla scelta del genius loci.
  • Nelle aree metropolitane (20%) un pezzo del consumo è legato a una forma di disincanto dove il disinteresse per la cucina è al massimo compensato dai prodotti bio, cui si affianca una quota molto forte di cura e nostalgia dove si ricerca il produttore a chilometro zero perché ritenuto più etico, e una parte cool e riflessiva dove sofisticatezza, gusto colpevolizzato diventano l’emblema.

Fig2_NuovoCodiceConsumi.jpgFigura 2 – I quattro territori distintiviFonte: GS1 Italy “Nuovo codice consumi - La spesa e gli italiani” 2022

«Si stanno delineando quindi nuovi paradigmi dei cambiamenti in atto nel consumatore italiano caratterizzati dall’orientamento alla parsimonia (che non è solo risparmio ma diviene obiettivo di senso in sé, diventa modo di stare nel consumo) e contemporaneamente dal bisogno di nuove “experience” nel processo di acquisto, e dalla possibilità, grazie all’omnicanalità (o meglio, cross-canalità), di avere il negozio in tasca 24 ore su 24» afferma Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos Italia. «La spinta alla sostenibilità diviene poi sempre più legata al genius loci locale e assurge al profilo di un neo-romanticismo della terra, mentre i nuovi stili, un tempo prettamente metropolitani, conquistano i territori della provincia e divengono un modo per sentirsi al passo con i tempi. Nostalgia e rito esprimono, infine, le due polarità di una ricerca di sé nel fare la spesa, trasformando la scelta dei prodotti in una opzione di un senso per narrare se stessi (anche quando si cerca di risparmiare)».

Le prospettive al 2030

Se questa è la fotografia al 2022, il Nuovo Codice Consumi propone alcune direzioni evolutive traguardate al 2030, individuando quattro scenari differenti:

  • Il primo, statico nelle inclinazioni degli individui, determinato dalla pura proiezione demografica (A).
  • l secondo che prevede mutamenti delle community in base a eventi socio-economici ed è considerato il più probabile (B).
  • Il terzo e il quarto che a seconda della prevalenza di alcuni trend socio culturali prende la direzione verso l’urban trend (C1), con l’abbandono dei territori rurali da parte dei giovani, o verso la green revolution (C2), con l’abbandono, viceversa, delle metropoli, con modificazione dello stile di vita, come lascito della pandemia.

Incrociando le community con i fattori di maggiore impatto i ricercatori di McKinsey indicano l’evoluzione delle singole comunità nei diversi scenari.

Fig3_NuovoCodiceConsumi.jpgFigura 3 – Direttrici di evoluzione delle comunità al 2030Fonte: GS1 Italy “Nuovo codice consumi - La spesa e gli italiani” 2022

Quali sono le implicazioni per le imprese?

La ricerca individua alcune direzioni di lavoro che rendono possibile formulare proposte di valore più articolate e focalizzate al soddisfacimento di bisogni mutevoli e sempre più specifici. Per questo, il Nuovo Codice Consumi ha voluto delineare le strategie da adottare da parte degli attori del settore per rispondere alle nuove sfide del mercato, così sintetizzabili:

  • Instaurare una nuova era di collaborazione per trarre beneficio dalla minore fedeltà dei consumatori e dalla variabilità delle community e dei territori.
  • Caratterizzare i propri prodotti in modo selettivo affinché conquistino selezionate community con attitudini e desideri specifici.
  • Adottare un approccio multicanale che consenta di offrire servizi di pre e post vendita sempre più personalizzati e integrati.
  • Essere “agili” per adattarsi alla mutevolezza e alla transitorietà dei tratti distintivi dei consumatori evidenziate sia nel breve che nel lungo periodo.

«Diventa così essenziale per le imprese del settore proporre un’offerta distintiva e innovativa, adottando un approccio ecosistemico alle nuove forme di cooperazione, una trasformazione in cui assumono rilevanza strategica le competenze analitiche e digitali e la flessibilità dei modello organizzativi», sottolinea Gemma D’Auria, senior partner di McKinsey & Company.

Industria e Distribuzione: è tempo di scelte

Nello scenario fluido e continuamente mutevole presentato nel Nuovo Codice Consumi, le nuove lenti di lettura dei comportamenti dei consumatori possono consentire a Industria e Distribuzione di gestire meglio la complessità.

A patto però di operare delle scelte, di decidere quale consumatore servire, come rispondere ai suoi bisogni, come posizionarsi nei territori e nei confronti della concorrenza, con quali fornitori e in che modo lavorare. Sono questioni certamente ampiamente dibattute, salvo restare lettera morta, ma che oggi assumono nuove urgenze per la presenza di quelli che Nando Pagnoncelli chiama “tragici acceleratori”: la pandemia, l’inflazione, la paura delle conseguenze economiche della guerra.

«Oggi – sottolinea Francesco Pugliese – dobbiamo rispondere in chiave di assortimento alle community of sentiment, non più omogenee per pura appartenenza territoriale, essendo consci che le dimensioni dei punti vendita non sono più una variabile indipendente. E se vogliamo realizzare ciò con l’efficienza che ci contraddistingue e ottenere un equilibrio nella distintività, si impongono delle scelte. Bisogna scegliersi tra Industria e Distribuzione perché si devono potere fare cose differenti nell’ambito dei singoli territori e nei diversi formati. Non posso rispondere nello stesso modo a tutti i consumatori e quindi non posso nemmeno comportarmi nello stesso modo con tutti i fornitori. Devo necessariamente fare scelte e selezionare per offrire profondità di assortimento in determinate categorie o con la MDD. È necessaria un’attenzione nuova e diversa nei confronti delle Pmi, non più come complemento dell’assortimento in funzione generale, ma come risposta per cercare di differenziarsi. E oggi nella Distribuzione la differenziazione non esiste».

Non è un passo semplice da affrontare. Non lo è per le Pmi, che pur essendo agili e rapide nelle decisioni, come sottolinea Aldo Sutter, ceo di Sutter, «spesso non hanno a disposizione team con competenze sugli analytics e quindi impreparati ad affrontare una nuova direzione in cui l’analisi dei dati è fondamentale». Non è semplice nemmeno per la Distribuzione che, pur rendendosi conto che il generalismo ha ormai dei limiti nell’interpretazione delle differenze, non riesce a trovare ancora il giusto compromesso.

«Per chi fa mass market scegliere è sempre complicato, ma sarà indispensabile immaginare un percorso verso delle scelte attraverso l’equilibrio del trade-off tra ciò che conviene e ciò che non conviene, tra l’efficacia di un adattamento territoriale, per esempio, e i suoi costi» afferma Maniele Tasca, general manager di Selex Gruppo Commerciale. «Tuttavia, grazie alle Pmi, in Italia la ricchezza e la varietà di proposte non ha pari in Europa. E non è un caso che la crescita di quote di mercato si sia concentrata molto sulle Pmi, proprio perché interpreti dell’esigenza dei territori. La buona notizia per la filiera è che c’è una direzione verso la quale le esigenze della domanda, se ben canalizzate, possono trovare un’offerta con la giusta distintività. Per aziende come la nostra, il problema non è l’economia di scala ma la scala organizzativa, un’organizzazione capace di interpretare i consumi e di non cadere nelle trappole delle generalizzazioni».

Di rimando Alessandro D’Este, presidente di IBC - Associazione delle Industrie dei Beni di Consumo, ricorda come le aziende industriali italiane abbiano sempre avuto capacità di reazione e adattamento. «Ma lo scenario cambia in fretta. Non esiste più un posizionamento centrale che copra una buona parte del mercato, ci sono più centri e il tema del posizionamento dell’azienda, dei prodotti, della reputazione che vi sta dietro è fondamentale per una relazione con i consumatori con sistemi di comunicazione personalizzata. Ed è fondamentale per sostituire le economie di scala perché il mass market non consente più di rispondere e di adattarsi al consumatore differenziato e mutevole».

La situazione è però aggravata dal fatto che già oggi, è la sintesi di D’Este, il 25% delle imprese distributive, citando Mediobanca, non è profittevole, che l’inflazione alla produzione ha raggiunto in aprile il 23% mentre quella alla vendita il 6% e che è in vista una nuova crisi dei consumi.

Il rischio è che sarà quindi molto probabile riversare almeno parte dell’inflazione sui consumatori. Ma è opinione condivisa dai quattro interlocutori che non si potrà rispondere utilizzando i vecchi arnesi delle relazioni tra le imprese. Occorrerà sfruttare l’opportunità virtuosa dal rientro dell’inflazione quando le determinanti inflative saranno cadute. È in gioco, secondo i distributori, un pezzo del valore della filiera e la dimostrazione del suo livello di maturità.

«Aumentare le attività promozionali e imbarcarsi in una guerra dei prezzi ci farebbe diventare tutti più poveri. È necessario passare dall’analisi alla sintesi, dai dati alle informazioni alle azioni, dobbiamo lavorare sui dati e trovare delle nuove strade che difendano il valore e la relazione con i consumatori. Ma abbiamo bisogno di competenze e di investimenti e probabilmente le aziende non possono lavorarci singolarmente. Solo insieme le aziende industriali e distributive lo possono fare», prosegue D’Este.

È un messaggio che Pugliese rafforza: «Avevamo visioni differenti su quanto stava accadendo. Ora abbiamo gli strumenti per comprendere cosa succede nel nostro settore e condividerlo è l’unica ricetta che abbiamo per gestire la complessità dinamica. GS1 Italy ha il compito di continuare a monitorarla. Ma oggi chi è in grado di fare tendenza nel mercato sono le grandi imprese. E in questo senso l’invito rivolto a tutte loro è di tradurre in fatti concreti le analisi e le indicazioni della ricerca».

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab