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03. Il mestiere di copacker e le sue implicazioni

Sono oltre 1500 le imprese fornitrici di prodotti a marchio del distributore (MDD), il 90% delle quali composte da Pmi che operano nelle principali fiere alimentari. Tutte quante rappresentano uno snodo cruciale nell’evoluzione della MDD verso prodotti di qualità superiore, certificati che richiedono rapporti strutturati e di medio-lungo periodo. I retailer italiani l’hanno ben chiaro in testa, tanto che si stanno sperimentando contratti “blindati” da vincoli reciproci per sei-sette anni.

«Nel processo di specializzazione della MDD – afferma Marco Pedroni presidente di Coop ­ – è importante l’ingaggio con le Pmi che hanno enormi possibilità e varietà di offerta. È nostro compito stimolare e far crescere le Pmi per valorizzare l’enorme patrimonio alimentare e gastronomico di cui sono portatrici».

Ma dal punto di vista delle imprese produttrici quali sono le implicazioni operative e strategiche della produzione di marche del distributore?

Una questione di volumi

A sollevare il velo su questo aspetto è l’Associazione industrie beni di consumo (Ibc) che ha affidato a Trade Lab una ricerca che propone il punto di vista dei fornitori sulle variabili in gioco, sulle opportunità da cogliere e sullo stato delle relazioni tra produttori e retailer. Data la numerosità del campione (nove imprese nella fase qualitativa e 75 imprese in quella quantitativa con risposte a un questionario) i risultati non sono esaustivi, ma per la composizione del campione offrono un adeguato punto di vista. Le imprese considerate, inoltre producono sia MDD sia marchi propri.

«In termini generali – afferma Luca Pellegrini presidente di Trade Lab – si tratta di imprese di medie dimensioni, centrali per il mercato italiano, con posizionamenti elevati (pochissimo primo prezzo, molto alto di gamma) e quindi con quote di mercato ridotte, ma con una buona performance di mercato, che esportano in media il 25% del loro fatturato». Il percorso seguito da queste imprese nella decisione di diventare copacker è abbastanza diverso: oltre la metà inizia con la produzione della marca industriale e poi sviluppa la MDD soprattutto per saturare l’utilizzo degli impianti produttivi e migliorare le relazioni con i distributori, il 34,8% sviluppa contemporaneamente entrambe le tipologie di marche e il 10% inizia con la MDD e successivamente passa alla marca industriale, con la motivazione principale di migliorare i margini e ridurre la dipendenza dalla distribuzione.

Le differenze tra gdo e discount

«Nondimeno la scelta di produrre MDD non è un ripiego ma è una scelta proattiva volta a cogliere delle opportunità, con scelte di portafoglio equilibrate», afferma Pellegrini. Che durano nel tempo: mediamente producono MDD da 17,8 anni (ma il 43,6% lo fa da oltre vent’anni), hanno relazioni con 9,6 insegne della gdo e 2,6 del discount; la quota MDD sulle prodotte è del 32%, sul  fatturato in volume del 40% e in valore del 32%. L’88% si attende nel prossimo triennio una crescita nella produzione o al massimo stabilità.

L’indagine ha poi suddiviso le risposte tra chi lavora con la gdo e chi con i discount, evidenziando alcune differenze di fondo. Che per esempio i vantaggi sono legati all’aumento dei volumi in particolare per chi opera con i discount e a un migliore posizionamento a scaffale dei propri prodotti nel caso della gdo; che la durata delle relazioni è superiore con la gdo e che solo per poco più di un terzo dei casi vi sono state rotture, determinate per il 50% dall’ingresso di concorrenti più aggressivi. Nonostante le buone relazioni non si tratta di fornitori unici. In più dell’80% dei casi si è in presenza di forniture condivise.

Fig. 1 - MDD e rapporti con le insegne

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Un tema importante, nella strategia di distintività che guida l’evoluzione della MDD, in particolare nel segmento premium, riguarda la differenziazione della MDD rispetto ai propri prodotti. Sono diversi per il 42,6% nel caso della gdo e per il 50,8% sul fronte discount.

Fig 2 - MDD e differenziazione

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Vi sono poi delle zone di criticità, come la richiesta di contributi per sostenere la promozionalità delle MDD che, secondo Pellegrini, crea una rilevante incertezza su condizioni di fornitura che già scontano una redditività contenuta. Oppure il trasferimento sulla MDD dell’innovazione veicolata sulla marca commerciale, «che però non sembra influenzare in modo determinante l’investimento in innovazione».

Quanto alla redditività, tenuto conto delle partite contrattuali, anche non previste all’atto del contratto, la redditività della MDD rispetto alle marche proprie risulta inferiore o decisamente inferiore (70,2% con la gdo e 78,7% con i discount).

«In definitiva – conclude Pelegrini – vi sono sensibili differenze nel rapporto dei copacker con la gdo o con i discount. Con la prima l’approccionegoziale è simile a quello usato per l’acquisto di prodotti dell’Idm e la forte polverizzazione delle insegne e la presenza della MDD tra le molte alternative a scaffale può portare a volumi insufficienti e, talvolta, a rinunciare alla fornitura. Viceversa con i discount l’approccio negoziale è spesso più aggressivo sulle condizioni di prezzo, ma anche più allineato sulle logiche dell’industria e aperto al riconoscimento di problematiche di natura produttiva nello sviluppo dei capitolati. Di conseguenza la concentrazione dell’offerta del discount sulle MDD fa crescere i volumi e consente di raggiungere più facilmente le economie di scala che hanno in partenza spinto i produttori a fornire le MDD. Il quadro di relazioni è quindi caratterizzato da una notevole stabilità e da un clima nel complesso buono, che favorisce un approccio di medio-lungo periodo».

E proprio sulla costruzione di un rapporto duraturo tra retailer e copacker che si giocherà gran parte della futura evoluzione della MDD.

Da un lato il distributore diventerà iperesigente in termine di innovazione, velocità, volumi, proposizione di nuove idee da parte del fornitore. Dall’altro l’industria dovrà scegliere i partner in grado di dare valore a tutto il processo. Una sintesi efficace è quella di Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes: «Con i copacker è ammessa la poligamia, ma non il bunga bunga. Bisogna scegliersi sulla base di tre criteri: specializzazione, competenza, passione».

A cura di Fabrizio Gomarasca