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Dove va lo shopping: le polarità commerciali sotto la lente

Più innovazione, più entertainment, più accoglienza, maggiore distintività. Il futuro dei centri commerciali in Italia sembra dover percorrere queste strade per rivitalizzarsi e confrontarsi (o convivere o integrarsi, ma certamente non contrastare) con internet e il digital world

dove_va_shopping.jpgLe conclusioni della ricerca Dove va lo shopping, realizzata da Trade Lab, Canali & Co e GS1 Italy | Indicod-Ecr, che quest’anno ha goduto del patrocinio del Consiglio nazionale dei centri commerciali, forniscono indicazioni utili per governare lo sviluppo dei poli commerciali nel nostro paese. Quello che la ricerca offre è un quadro d’insieme che sposta il punto di vista dell’indagine dal comportamento dei consumatori e dall’andamento dei consumi alla scelta del polo commerciale, del contenitore nel quale avvengono questi comportamenti, dove i punti vendita sono integrati da altre attività, come la ristorazione e l’entertainment.

Le polarità commerciali uno scenario competitivo

E il quadro d’insieme ci restituisce la conferma di una realtà a più facce, nella quale, afferma Luca Pellegrini, presidente di Trade Lab: «Tutti usano tutte le polarità con finalità magari differenti, ma ciò significa che la competizione è destinata ad aumentare tra i centri commerciali e le strade dei centri urbani, tra internet e il commercio diffuso. E proprio internet ha rotto tutti gli equilibri, perché è sempre disponibile ed è completamente sovrapponibile con l’offerta fisica».

Il punto di partenza del ragionamento di Pellegrini è la differenza tra l’atto di acquisto funzionale all’approvvigionamento (procurement) e l’acquisto per piacere (shopping). Visto con questi occhi, anche internet ha però i suoi punti deboli che sono la mancanza di contatto fisico, di socialità e di entertainment (anche se i social fanno la loro parte), oltre alla mancanza di preselezione dell’offerta, che è invece uno dei tratti distintivi dei retailer fisici «il troppo a volte stroppia», dice Pellegrini. Tuttavia come opzione di procurement è imbattibile. Sta ai retailer fisici offrire un’alternativa complementare e non sostitutiva. L’omnichannel, appunto, che però rimane una soluzione d’insegna. Come si comportano le polarità? In giro ci sono 30 mila metri quadrati che crescono. Chi li perderà? si chiede Pellegrini.

Quanto al commercio diffuso con i 750 mila punti vendita e i 200 mila ambulanti, sarà destinato a lasciare il campo, ma per ora rappresenta ancora una “rassicurante quotidianità”.

Venendo ai centri commerciali naturali, le strade e le aree urbane, questi valgono il 20% dei consumi e sono in ripresa grazie al fatto che sono luoghi identitari. «Devono però recuperare una regia riguardo ai servizi comuni che non hanno e devono recuperar convenienza. La loro quota è destinata a crescere, tanto più se saranno in grado di ottimizzare il merchandising mix», afferma Pellegrini.

I centri commerciali pianificati da un lato hanno raggiunto un radicamento nazional popolare, dall’altro però sono più esposti all’online e ai centri urbani. Il minor utilizzo delle auto potrà costituire un’ulteriore minaccia, ma il tema più caldo è che dovranno passare da scatoloni a landmark. E le gallerie avranno un ruolo più importante dell’ipermercato, visto che già oggi il 61% degli intervistati frequenta i centri commerciali soprattutto per le gallerie. Ed è per ciò che i centri commerciali avranno la necessità di un maggiore coordinamento dell’offerta.

Vi sono poi i cambiamenti strutturali della società, di cui chi programma le attività di retail deve tenere conto. Traguardando i prossimi dieci anni Pellegrini individua i fattori di maggior cambiamento nella demografia (nel 20125 ci saranno 8,5 milioni di “stranieri” in Italia contro 54,5 milioni di “italiani” e la popolazione avrà un’età media di 46 anni con il 24% di over 65enni), nella struttura famigliare (il 57% delle famiglie sarà di 1 o 2 componenti), che incide anche sulla capacità di spesa: più sono numerose le famiglie, più aumentano i rischi di povertà.

Dove va lo shopping

La ricerca di Trade Lab ha analizzato il comportamento e le dichiarazioni dei consumatori riguardo alla frequentazione dei poli commerciali e dove fanno gli acquisti. Centri commerciali e centri urbani risultano essere i più frequentati, rispettivamente dal 96,9% dei rispondenti e dal 90,8% Ma è Internet (61,6%) a fare il balzo avanti più consistente, con un +53,2% rispetto all’anno scorso, contro il +2,8% dei centri commerciali e il +6,2% dei centri urbani.

Uguale dinamica di crescita si registra nella modalità di acquisizione primaria di informazioni per gli acquisti, con il “giro per negozi” saldamente al primo posto con l’80% delle preferenze (+1,8%) quasi equamente suddivise tra commercio urbano ed extraurbano, con Internet che cresce del 39,7% e assorbe l’11% come opzione primaria . È uno scenario sempre più omnichannel, come si vede dalla Figura 1.

Fig. 1 - Uno scenario sempre più omnichannel della frequentazione dei poli commerciali

FIG 1 OMNICHANEL.jpg

Anche per gli acquisti il commercio urbano (50,3% dello share of wallet dichiarato, in crescita del 3,9%) regge il confronto con il commercio extraurbano (46% ma in arretramento del 6,7%). Forte avanzata (8+22%) degli acquisti online che pesa il 3,5%, ma di chi acquista online il 20% ritira la merce in un punto di vendita fisico. Nel caso degli acquisti vi sono significative variazioni a livello territoriale (la ricerca ha preso come riferimento Milano, Roma e Catania) e per categorie merceologiche, con l’elettronica di consumo e la telefonia sbilanciate verso i centri extra urbani con una quota interessante di Internet, l’alimentare verso i centri urbani, così come le altre categorie del non food, ad eccezione dei beni per la casa a metà tra le due polarità.

Tutto ciò fa dire a Maddalena Borella di Trade Lab che «Le polarità commerciali segmentano sempre meno, poiché la multipolarità è appannaggio dell’86% dei rispondenti e sono in diminuzione al 13,9% quelli che si rivolgono a una sola delle polarità considerate.

I terreni di sfida

Riprendendo l’analisi di Pellegrini, Borella individua alcuni dei terreni di confronto e di sfida per i centri commerciali extra urbani e per i centri urbani sulla base delle dichiarazioni degli intervistati.

«Il 73% di loro dichiara che se tutti i centri commerciali fossero raggiungibili con la stessa facilità non cambierebbe quello che frequenta abitualmente, a significare che vi è ancora troppa standardizzazione nell’offerta. Allo stesso tempo il gigantismo non sembra più essere la via maestra per tutti i target: il 40,6% dei rispondenti, per lo più donne di 55-74 anni, con reddito medio e medio-basso, single e coppie senza figli preferisce i centri piccoli senza troppa dispersione e confusione.

Da ultimo, la funzione prevalente di un centro commerciale per il 28% dovrebbe riguardare il mondo dei servizi alla persona, l’entertainment e la ristorazione: è un terzo degli italiani più giovani e con un reddito medio-alto», sottolinea Borella.

Fig 2- Il centro commerciale ideale

Fig 2 cc ideale.jpg

Lo stesso tipo di analisi è svolta per i centri urbani che hanno nell’accessibilità il fattore critico effettivo: il 36% degli individui frequenterebbe di più i centri urbani se fossero sempre facilmente raggiungibilii e non ci fossero problemi di parcheggio. E anche per i centri urbani l’entertainment si conferma come la molla principale per recarsi in un centro urbano, molto più dello shopping per il 65,4% degli individui contro il 29,6%.

«Siamo di fronte alla terza rivoluzione per i centri commerciali - ha commentato il presidente del Consiglio nazionale dei centri commerciali Massimo Moretti -che si confermano come dei veri contenitori di tempo, viste le funzioni secondarie che attribuiscono loro le persone intervistate. Ma la ricerca lascia anche trasparire le opportunità per questi luoghi che, non dimentichiamolo, generano un fatturato di 51 miliardi di euro con 35 mila negozi e attirano dai 4 ai 6 milioni di visitatori al giorno. Queste aree di possibile crescita, ci fa capire la ricerca, sonora la ristorazione il leisure e il settore dei servizi alla persona e per la salute. Di certo non vedremo più ipermercati da 24 mila metri quadrati nei centri commerciali che dovranno essere dei luoghi di destinazione».

a cura di Fabrizio Gomarasca