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La disoccupazione giovanile in tempo di grande crisi

l'opinione di

Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è passato dal 24 al 32 %, con un ulteriore balzo al 39,3 % nel primo trimestre 2012. Nello stesso periodo è cresciuta anche la disoccupazione tra gli adulti, ma molto meno. La crisi è stata più pericolosa del solito per i più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo. In miglioramento la condizione delle donne. Particolarmente colpiti i giovani con livelli di istruzione bassi. Mentre il tasso di disoccupazione si è ridotto per i laureati.

L’Italia non è molto diversa da altri paesi dell’Unione Europea, in particolare quelli del Sud dell’Europa, riguardo all’evoluzione del tasso di disoccupazione giovanile al tempo della “grande depressione”. È proprio questa l’espressione usata dal premio Nobel, Paul Krugman, per dire che la recessione iniziata nel 2008 non è meno forte di quella degli anni Trenta, la famosa crisi di Wall Street.

La debolezza dei giovani in queste fasi è un fatto noto nella letteratura, dovuto alla tendenza delle imprese ad applicare il principio Lifolast-in-first-out – nelle decisioni di licenziamento. Il principio dice semplicemente che quando bisogna licenziare è meglio partire dagli ultimi arrivati, cioè dai giovani. In fondo, è un principio sia equo che efficiente: si licenzia chi può più facilmente ritrovare lavoro, e non chi ha una famiglia da sostenere e una maggiore produttività, poiché lavorando da più tempo ha più esperienza.¹

I giovani e la grande depressione

Ma come hanno reagito le imprese italiane durante la crisi attuale? Hanno applicato il principio Lifo anche questa volta? La figura 1 mostra l’evoluzione del tasso di disoccupazione dei giovani (Yur: youth unemployment rate) e degli adulti (Aur: adult unemployment rate) dal 1993 al 2011.² Come era prevedibile, i giovani sono stati i più colpiti dalla recessione. Il tasso di disoccupazione giovanile – la linea rossa – è non solo più alto di quello degli adulti – la linea verde acqua –, ma è anche aumentato di più, passando dal 24 % nel 2007 al 32 % nel 2011. I dati disponibili relativi al primo trimestre del 2012 mostrano un ulteriore balzo in avanti della disoccupazione giovanile fino al 39,3 %, ben al di sopra del livello raggiunto nel 1995. Quello è stato l’anno peggiore sperimentato dopo la precedente drammatica recessione del 1992, quando la lira si svalutò di circa il 30 % del suo valore.

I dati suggeriscono una tendenza all’ulteriore rafforzamento del principio Lifo, a seguito della diffusione dei contratti temporanei nei precedenti quindici anni. In effetti, la figura 1 mostra la presenza di crescenti fluttuazioni nel tasso di disoccupazione dei giovani, negli anni successivi al 1997, quando la legge Treu ha iniziato il processo di liberalizzazione dei contratti di lavoro temporanei. In altri termini, le curve che prima erano piuttosto stazionarie, iniziano a oscillare, a dimostrazione del fatto che sono più influenzate dall’andamento del tasso di crescita di quanto non fossero prima. Si pensava, fino a qualche anno fa, che la disoccupazione italiana fosse indipendente dal ciclo economico. Dopo la legge Treu, la disoccupazione dei giovani è tornata ad aumentare in fasi di recessione e a ridursi in fasi di espansione.

Mentre negli ultimi anni Novanta e nei primi anni Duemila, la disoccupazione dei giovani si è ridotta, anche grazie alla diffusione dei contratti temporanei, quando la crisi è ricominciata, nel 2008, è esplosa, raggiungendo nel 2011 all’incirca il livello della metà degli anni Novanta e superandolo nel primo trimestre del 2012.

A confronto, la disoccupazione degli adulti è molto più stabile nell’arco dell’intero periodo. In un certo senso, le cosiddette riforme al margine, così dette poiché hanno aumentato la flessibilità solo per i nuovi entranti nel mercato del lavoro, hanno ridotto ulteriormente le fluttuazioni della disoccupazione degli adulti, trasferendo gli impulsi del ciclo economico sulla disoccupazione giovanile. Ciò significa che la crisi è stata più pericolosa del solito per i più giovani, poiché loro sono i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo, i primi a essere sciolti. Anche il tasso di disoccupazione degli adulti è cresciuto nel corso della crisi recente, ma molto meno di quello dei giovani.

Le differenze fra uomini e donne

Ci sono differenze fra uomini e donne? Una misura dei divari di genere è costituita dalla distanza fra le linee viola e verde per i giovani e fra le linee azzurra e giallo-ocra per gli adulti. Si nota dalla figura 1 che le differenze di genere in termini di tasso di disoccupazione tendono a ridursi continuamente nel corso del periodo considerato sia fra i giovani che fra gli adulti, a indicare un continuo miglioramento della condizione delle donne. Per i giovani, la riduzione è dal 9,3 % nel 1993 a circa il 5 % nel 2001. Insomma, lo svantaggio delle donne si è quasi dimezzato. Questo fenomeno è stato già osservato in altri paesi avanzati ed è una conseguenza del crescente livello di istruzione delle donne, che è ormai superiore a quello degli uomini. Ciò riflette una sempre maggiore motivazione femminile nell’acquisire istruzione e trovare occupazione.

I giovani stanno peggio o meglio degli adulti?

Si è visto che il tasso di disoccupazione dei giovani dipende molto dalle fluttuazioni del reddito nazionale. Da solo, però, non ci consente di comprendere se lo svantaggio dei giovani è maggiore o minore di quello degli adulti e se tale “svantaggio relativo” è aumentato o diminuito nel corso della crisi. Per rispondere a questa domanda, si consideri la figura 2. Mostra l’evoluzione del rapporto fra il tasso di disoccupazione dei giovani e degli adulti (si chiama appunto “svantaggio relativo”) nel periodo dal 1993 a oggi. La linea blu indica il valore medio, quella rossa indica il valore relativo agli uomini e quella verde il valore relativo alle donne. La figura conferma chiaramente che oltre a essere molto alto in media (altro mio articolo pubblicato su Lavoce.info), lo svantaggio relativo dei giovani è ulteriormente aumentato a causa della grande depressione. È interessante notare che, nonostante (o forse proprio a causa della) diffusione dei contratti temporanei, lo svantaggio relativo dei giovani era già aumentato dai primi anni Duemila, in particolare a partire dal 2002, raggiungendo un picco nel 2007, per ridursi nel primo anno della crisi e poi esplodere di nuovo a crisi in corso. La dinamica è di nuovo collegata alle riforme al margine e all’aumento del tasso di occupazione nella prima metà degli anni Duemila. Confrontando la figura 1 e 2 si può vedere che il rapporto fra tasso di disoccupazione dei giovani e degli adulti è aumentato nella prima metà degli anni Duemila a causa di una lenta, ma continua riduzione di quello degli adulti in presenza di una stabilità del tasso di disoccupazione dei giovani. Nel periodo della crisi economica, il rapporto è aumentato a causa della crescita relativamente maggiore della disoccupazione giovanile.

Essere più istruiti paga?

Un modo interessante per valutare l’impatto della crisi sui giovani consiste nel guardare al tasso di disoccupazione giovanile per livelli di istruzione. Secondo la teoria del capitale umano,, assieme a una maggiore esperienza lavorativa sia generica che specifica a un certo posto di lavoro, l’istruzione è lo strumento più efficace per combattere il rischio di disoccupazione.

La figura 3 fornisce l’evoluzione dei tassi di disoccupazione dei giovani per diversi livelli di istruzione per il periodo dal 2004 al 2011. La linea bordò riguarda i giovani con istruzione primaria; la linea verde l’istruzione dell’obbligo; la linea viola l’istruzione secondaria superiore; e la linea verde acqua l’istruzione universitaria. Se la linea va verso l’alto, significa che c’è un peggioramento; se va verso il basso c’è un miglioramento. La figura mostra che la crisi non è stata neutrale in termini di livelli di istruzione. In effetti, il gruppo più colpito include i giovani con istruzione primaria o inferiore (linea bordò) e quelli con istruzione al livello di scuola dell’obbligo (linea verde). In entrambi i casi si era visto un miglioramento fino agli anni prima della crisi. Anche i giovani che possiedono un diploma di scuola secondaria superiore hanno visto peggiorare la loro posizione assoluta nel corso del periodo. L’unico gruppo che ha sperimentato una riduzione (anziché un aumento) del tasso di disoccupazione è costituito dai giovani con un diploma universitario. Insomma, la laurea paga durante la crisi.

Un confronto (non riportato qui, per amore di brevità) fra i risultati ottenuti da uomini e donne suggerisce che il miglioramento per i giovani laureati riguarda soprattutto la componente femminile. I gruppi appartenenti ad altri livelli di istruzione mostrano una evoluzione simile fra i generi.

¹Per un approfondimento delle cause della disoccupazione giovanile, consiglio la lettura del mio libro: Fuori dal tunnel: le difficili transizioni dalla scuola al lavoro in Italia e nel mondo, Giappichelli, Torino.
²Naturalmente, i dati annuali relative al 2012 non sono disponibili. Solo ai primi di giugno, l’Istat ha fornito alcuni dati relativi al primo trimestre.

Tratto dal sito Lavoce.info