Una grande depressione italiana
l'opinione di
La gravità dell’attuale scenario macroeconomico italiano impone, prima ancora di un’analisi econometrica o di politica economica, la presa di coscienza delle dimensioni del problema. Sebbene, infatti, le statistiche rilevino uno scenario di profonda sofferenza, a volte si ha l’impressione che nel dibattito se ne ignorino i reali contorni. Un termine naturale di confronto è quello con le esperienze più disastrose nella storia contemporanea dei paesi sviluppati: la grande depressione statunitense (1929-1940) e la crisi finanziaria giapponese dell’inizio degli anni Novanta.
Gli indici azionari
La figura 1 mette a confronto l’andamento degli indici azionari in termini di perdita cumulata dal picco pre-crisi durante i tre episodi considerati. A 62 mesi dal picco, l’indice Ftse-Mib perde il 70,6 per cento contro il 75,6 nel corrispettivo periodo negli Stati Uniti e “solo” il 52,1 per cento in Giappone.
La produzione industriale
Il quadro che emerge dal confronto è severo in termini di produzione industriale. Analogamente alla figura 1, la figura 2 mostra la perdita cumulata dal picco pre-crisi. L’ultimo dato disponibile per l’Italia è quello di marzo 2012. Il volume di produzione dell’industria italiana rimane 22,2 punti percentuali sotto il picco 2007. Nello stesso arco temporale, la produzione industriale americana aveva perso circa il 33 per cento e quella giapponese il 4,7 per cento.
La disoccupazione
In termini di disoccupazione, gli effetti sono oggi più contenuti rispetto all’esperienza americana degli anni Trenta. Negli Stati Uniti i disoccupati passarono, infatti, da 1,55 milioni nel 1929 (pari al 3,1 per cento delle forze di lavoro) a 12,8 milioni nel 1933 (pari al 24,7 per cento delle forze di lavoro). Attualmente il tasso di disoccupazione italiano è del 10,2 per cento (aprile 2012). Ma gli occupati (a tempo pieno e parziale, con varie tipologie di contratto) sono solo 22,7 milioni (pari al 37,7 per cento della popolazione totale) mentre le persone in cerca di occupazione sommate agli inattivi in età lavorativa raggiungono i 17,2 milioni (ovvero il 28,5 per cento della popolazione).
Il PIL cumulato
La vera cattiva notizia è data dalle prospettive di medio termine. In termini di Pil cumulato, la perdita di ricchezza nazionale in Italia potrebbe essere perfino superiore alla perdita durante la grande depressione negli Stati Uniti - e certamente superiore alla perdita di Pil italiano negli anni Trenta.
La figura 3 mostra la perdita cumulata in termini di prodotto interno lordo dall’inizio della crisi 2007. In questo caso le osservazioni sono annuali e le previsioni per l’Italia (linea tratteggiata nel grafico) sono basate sugli ultimi dati disponibili del Fondo monetario internazionale (World Economic Outlook, aprile 2012). Nei primi cinque anni di crisi, la perdita di ricchezza in Italia è un quarto rispetto alla perdita americana negli anni Trenta, ma è già superiore a quella giapponese negli anni Novanta. È anche superiore alla perdita accumulata dalla stessa Italia nel periodo 1929-1933.
La stagnazione economica prevista per i prossimi quattro anni (in peggioramento) porterebbe la caduta del Pil reale a superare quella registrata nella grande depressione statunitense entro la fine del 2015. Già oggi le previsioni per il 2012 del Fondo monetario internazionale appaiono ottimiste: attualmente, il Fondo prevede una contrazione del Pil dell’1,9 per cento nel 2012. Ma secondo l’ultimo bollettino Istat la perdita acquisita da inizio anno è stata, solo nel primo trimestre, dell’1,3 per cento.
Questo intervento non vuole soffiare sul fuoco dell’allarmismo economico, in nome del quale generalmente si operano interventi squisitamente politici e redistributivi. Al contrario. Ciò che appare in gioco è il livello di benessere che gli italiani hanno raggiunto con decenni di lavoro e di risparmio.
La grande depressione non è inevitabile. Ma è difficile pensare a un’inversione di tendenza senza un’azione decisa di politica economica.
Tratto dal sito www.lavoce.info