Liberalizzazioni 5 - I saldi, un assurdo che parte da lontano
Gelata sui consumi. Non solamente in senso metaforico, vista l'ondata di gelo e neve che si è abbattuta sulla Penisola nelle settimane scorse. Certo è che, stando anche ai dati diffusi dall'Osservatorio acquisti CartaSi, anche la stagione dei saldi, definita opaca, si avvia stancamente alla sua conclusione. Nelle settimane dal 2 al 15 gennaio gli acquisti con carte di credito nei negozi tradizionali, in alcuni outlet e nell'e-commerce hanno avuto un calo dell'8,2%.
Anche se nelle settimane successive, grazie anche alle aperture domenicali, qualcosa è stato recuperato, il rito dei saldi di fine stagione rigorosamente fissati per legge due volte all'anno sembra essere giunto al capolinea, complice anche la crisi che fa tenere il portafogli chiuso.
Giunge quindi a proposito, per stimolare la riflessione sul meccanismo dei saldi, l'approfondito studio di Silvio Boccalatte, avvocato, pubblicato sul sito dell'Istituto Bruno Leoni, dal titolo esplicativo: I saldi: storia di un'assurdità italiana.
La sua lettura è molto istruttiva perché, in epoca di liberalizzazioni, l'excursus legislativo sui saldi offre una chiave di interpretazione illuminante dell'intrico di regolamentazioni e lacci che vincolano l'economia italiana in nome di non si sa quali benefici comuni.
Il primo dato che forse non tutti conoscono, perché si perde nel circuito della memoria collettiva, è che la disciplina in materia di saldi risale al 1939. Epoca fascista, corporazioni e corporativismo imperanti. allora si parlava di vendite straordinarie e vendite in liquidazione. Secondo il giurista, «lo scopo di questa complessa ed articolata disciplina andava individuata nell’approccio all’economia fornito dal sistema corporativo fascista: nella sua volontà di “superare” sia il libero mercato sia il collettivismo di stampo marxista, il regime immaginava una gestione “concertata” di ogni attività economica. In quest’ottica, l’autorità statale doveva porsi come mediatrice tra l’esigenza del commerciante ad “esitare” (il linguaggio burocratico riesce a far inorridire in ogni epoca), quella degli altri commercianti a non essere danneggiati dai prezzi praticati da chi compie la vendita di fine stagione e quella dei cittadini ad acquistare a condizioni favorevoli». Alla base di questa disciplina, secondo la quale lo Stato si sostituiva «al ruolo che avrebbe dovuto essere svolto dall'incontro di domanda e offerta in un mercato ove agiscono operatori in concorrenza tra loro», non solo stava il rifiuto dell'idea di concorrenza, ma anche la teoria per cui un bene è intrinsecamente dotato di un prezzo giusto dal quale non bisogna discostarsi.
Dal fascismo alla Repubblica
Caduto il fascismo i poteri passarono nel 1944 dai Consigli delle Corporazioni alle ricostituite Camere di commercio affidando a un successivo decreto legislativo le disposizioni integrative. «Confermando l'adagio secondo cui in Italia non ci è nulla di più definitivo del provvisorio, stiamo tuttora attendendo tale decreto legislativo», chiosa l'avvocato Boccalatte.
Si arriva così al 1979 quando la Democrazia Cristiana presenta una proposta di legge sulla “Disciplina delle vendite straordinarie e di liquidazione”, che riprese i contenuti della norma fascista con lo scopo di “moralizzare il mercato”, “difendere i consumatori” ed “eliminare le abnormi forme di vendita che, facendo leva sulla credulità, impediscono un corretto sviluppo di una sana e leale concorrenza, base del nostro sistema economico”. Il paragrafo dedicato alla discussione della legge (poi votata nel marzo del 1980) è ricco anche di aneddoti curiosi, come l'affermazione dell'allora deputato Carlo Sangalli che definiva “operazioni pirata” le vendite straordinarie non regolamentate.
La storia della legislazione sui saldi si completa con la legge 130 del 12 aprile 1991 che fissa in due periodi nel corso dell'anno la possibilità di effettuare i saldi e si occupa anche di vendite promozionali, completata dal successivo intervento del 1998 che pone in capo alle Regioni la decisione sui periodi di effettuazione dei saldi e dalla riforma del Titolo V della Costituzione che consegna la materia alla potestà legislativa regionale residuale.
Ciò non ha portato a una liberalizzazione dei saldi, ma ha dato vita a un florilegio di «vincoli e divieti diffusi in modo del tutto casuale sul territorio nazionale», sottolinea Boccalatte.
La conclusione cui arriva il giurista è molto semplice. Da un lato vi è una «selva di disposizioni complesse, confuse e irrazionalmente diversificate sul territorio nazionale». Dall'altro, «la nozione di vendita di fine stagione è delineata come precipua forma di limitazione alla libertà economica, giustificata attraverso una pretesa tutela del consumatore e di eliminazione delle storture del mercato».
In realtà, secondo Boccalatte la disciplina sui saldi tratta il consumatore come sostanzialmente incapace di intendere e di volere, oltre a non sviluppare la cultura dell'acquisto consapevole e lo spirito critico del consumatore, facendogli balenare l'idea che i ribassi eccezionali si possono tenere solo in due periodi dell'anno. Inoltre rappresenta una limitazione alla libertà economica della concorrenza senza alcuna giustificazione
«Insomma» conclude l'autore «al di fuori di ogni balzana prospettiva di economia corporativa – cui nessuno crede più, ma che ha costituito il substrato genetico della normativa sulle vendite di fine stagione – non vi è nessuna ragione accettabile che giustifichi l’esistenza anche solo della nozione di “saldi”: tutto l’ingente corpus di norme sopra descritto, insomma, va completamente abrogato, a vantaggio sia dei commercianti sia dei consumatori.
I saldi di cui la nostra economia avrebbe urgente bisogno sarebbero solo i saldi della normativa vigente, che andrebbe svenduta senza rimpianti. Anzi: in mancanza di acquirenti, andrebbe proprio rottamata».
A cura di Fabrizio Gomarasca