economia

La sfida del cambiamento

l'opinione di

Joanne Denney-Finch

Chi è stato tanto fortunato da nascere nei paesi occidentali negli ultimi 60 anni ha vissuto in un’epoca di pace, prosperità e crescita. E lo stesso può dirsi per le nostre aziende.
Per circa 12 anni, a partire dalla metà degli anni Novanta, i consumi europei sono cresciuti al ritmo del 4% l’anno. Ma i venti del cambiamento soffiano implacabili e la nostra epoca di prosperità vive oggi sotto minaccia. Quali sono questi venti di cambiamento? E quali sfide propongono all’industria dei beni di consumo europea? Per affrontarle, ecco le proposte per un piano d’azione comune.

Sei direzioni di cambiamento

Il primo elemento di cambiamento è stato chiamato la “grande correzione”.
Parte della nostra prosperità è stata costruita sul credito. Nel corso dell’ultimo decennio, il debito pubblico complessivo europeo è aumentato del 59%, quello delle famiglie dell’86%, mentre quello delle imprese del 57%. La situazione era ormai insostenibile e nel 2007 la stretta creditizia è diventata una dolorosa realtà.
Da allora, le vendite di prodotti alimentari, bevande e tabacco in Europa sono diminuite del 2%. L’Europa fa economie per ridurre il debito e noi tutti abbiamo dovuto abituarci a una crescita sostenibile basata sulla produttività, invece che sul prestito. Naturalmente, alcuni paesi rimangono al di sopra della media, ma per quanto ancora?

Vi è infatti da considerare un secondo vento di cambiamento, che può essere definito la bomba a tempo demografica.
In Europa ogni donna ha in media 1,5 figli. Il che significa che senza l’immigrazione ogni nuova generazione si ridurrebbe di un quarto rispetto alla precedente. L’età media dei cittadini europei inoltre nel 2060 salirà da 40 a 48 anni. Pochi lavoratori attivi dovranno sostenere un numero sempre maggiore di pensionati. In Germania, perché il rapporto tra il numero di lavoratori attivi e quello dei pensionati rimanga in equilibrio, entro la metà del secolo l’età pensionabile dovrebbe essere innalzata a 75 anni. Al di fuori dell’Europa, invece, la popolazione mondiale continua ad aumentare.

E questo mi conduce al terzo vento di cambiamento: le nuove superpotenze.
Quando sono nata, per ogni persona che viveva nel “mondo sviluppato”, ve ne erano due nei paesi in via di sviluppo. Ponendo il caso che io viva fino a 100 anni, tale rapporto sarebbe invece di uno a sei. Una profonda trasformazione, quindi, che potrebbe verificarsi nell’arco di una sola vita.
E il divario relativo allo sviluppo va rapidamente riducendosi. Molti dei paesi più popolosi hanno sperimentato il progresso economico quasi contemporaneamente, creando un flusso senza precedenti.
Entro il 2050, tre quarti della popolazione mondiale vivrà nei centri urbani. Ciò significa che ogni settimana, nel corso dei prossimi 30 anni, occorrerà costruire l’equivalente di una città come Bruxelles!

È un traguardo importante, ma anche carico di conseguenze: la battaglia per le risorse è infatti il quarto vento di cambiamento.
Nel corso degli ultimi dieci anni, il consumo mondiale di petrolio è aumentato del 17%. Oggi la Cina è il maggiore mercato automobilistico del mondo, sebbene vi siano ancora solo 30 automobili ogni mille persone, rispetto alle 750 degli Stati Uniti. Shell ritiene che entro la fine del decennio sarà necessario scoprire nuovi paesi come l’Arabia Saudita se vogliamo continuare a soddisfare la domanda di petrolio.
Ma c’è una risorsa ancor più preziosa del petrolio: l’acqua dolce. Solo lo 0,005% dell’acqua presente sulla Terra è acqua dolce utilizzabile. E il ritmo di crescita della domanda di acqua è più che raddoppiato rispetto al tasso di crescita della popolazione.
Nel 60% delle città europee, l’acqua viene consumata più velocemente di quanto non si riesca a reintegrarla. E l’ONU prevede che entro 15 anni, due terzi della popolazione mondiale soffrirà per la scarsità d’acqua.
Quando le persone si trasferiscono nelle città, modificano anche la loro dieta. In Cina il consumo di carne si è quadruplicato nel corso degli ultimi 30 anni, mentre quello dei latticini è aumentato di ben sette volte.
Più automobili, una dieta più proteica e un maggiore sviluppo provocano un aumento delle emissioni di anidride carbonica.

E questo introduce il successivo vento di cambiamento, rappresentato dal nostro clima volubile, in cui il termine vento assume il suo senso letterale, visto che eventi come El Niño diventano sempre più frequenti e intensi, portando con sé uragani, inondazioni e siccità.
Le inondazioni che hanno flagellato il Pakistan l’anno scorso hanno causato perdite agricole per un miliardo di dollari. Un terzo del raccolto di grano russo è andato perduto per un’ondata di caldo. L’Australia dal canto suo ha recentemente dovuto affrontare gravi inondazioni nell’est del paese e incendi boschivi a ovest. Il cambiamento climatico è probabilmente il fattore più difficile da prevedere e pianificare.

Ma ho ancora un vento di cambiamento da menzionare: la rivoluzione digitale.
Si tratta di un cambiamento benefico ma destabilizzante. Una rivoluzione che ci ha già donato computer, Internet e telefoni cellulari, promuovendo una maggiore connettività, creatività e democrazia tra i consumatori, ma che non accenna a placarsi.
Lo shopping online fa sparire i negozi fisici, ma il dispositivo che porta con sé i maggiori cambiamenti è probabilmente lo smart phone. Entro la fine dell’anno, più della metà dei consumatori europei possiederà un telefono con connessione Internet. Ben presto li useremo per le videoconferenze, come mezzo di pagamento, traduttore istantaneo e in modi che ancora non riusciamo neppure a immaginare.

Cinque sfide globali

Ho menzionato sei venti di cambiamento, ciascuno dei quali molto potente, e che uniti tra loro si possono trasformare in un vero e proprio tornado.
Ma che cosa significa tutto questo per l’industria dei beni di consumo europea?
È su questo aspetto che vorrei soffermarmi ora, evidenziando cinque grandi sfide.

La prima è come fare ripartire la crescita nel settore delle vendite in Europa.
La domanda continuerà a essere compressa tra economia e demografia. Il nostro consueto approccio all’innovazione non sarà sufficiente a fare ripartire la crescita. E con tutte le voci che concorrono al budget familiare, dovremo continuare a batterci per convincere i consumatori che scegliere la qualità paga.
La seconda sfida è conquistare una grossa quota sui mercati emergenti.
Questi mercati possono essere un terreno fertile per i nostri marchi e prodotti ma non bisogna dare nulla per scontato. Proprio come Toyota, Sony e Samsung, solo per citare alcuni nomi noti, che prima hanno imparato dall’Occidente e poi sono partiti alla conquista dei mercati occidentali, anche il nostro settore deve fare lo stesso.
Le imprese di beni di consumo cinesi, indiane, russe e brasiliane hanno il potenziale necessario per imporsi non solo nei rispettivi paesi ma anche in Europa. Per emergere, le nostre società devono lottare duramente.
La terza sfida è rappresentata dalla gestione dei costi di produzione.
Nell’arco di otto mesi il prezzo del petrolio è aumentato del 50% mentre rispetto allo scorso anno l’Indice ONU per i prodotti alimentari si è incrementato del 40%. Ciò è dovuto in parte ad alcuni fattori a breve termine, sebbene la lotta per le risorse e i cambiamenti climatici sembrino destinati a influire a lungo.
Gli esperti sostengono che per scongiurare una crisi energetica saranno necessari 1000 miliardi di dollari, ovvero il 2% del PIL globale investito in energia ogni anno per i prossimi 20 anni.
Secondo l’FMI “Il mondo deve abituarsi a prodotti alimentari più costosi”.
La quarta sfida è come migliorare la sostenibilità delle nostre supply chain e renderle più flessibili, per affrontare eventuali imprevisti.
Quasi la metà dei terreni agricoli mondiali sono sempre meno fertili, perché non sono stati coltivati in modo sostenibile. Gran parte delle più abbondanti risorse ittiche del pianeta si sono già esaurite. E la falda freatica diminuisce rapidamente in Stati Uniti, Cina e India, paesi che rappresentano circa metà della produzione mondiale di cereali.
Non si tratta pertanto solo di responsabilità d’impresa, è il futuro delle nostre forniture alimentari a essere in pericolo.
A mio avviso l’ultima sfida è come costruire rapporti più stretti con la società.
La fiducia nell’autorità è in declino e le persone si domandano di chi si potranno fidare adesso. Viviamo in un mondo dove le notizie fluiscono 24 ore su 24 e dove riceviamo un feedback istantaneo attraverso Twitter, Facebook e Google. La nostra industria si trova in solida posizione ma le grandi aziende sono ancora circondate da un forte scetticismo. Saremo in grado di convincere gli scettici che il nostro pensiero va ben oltre i profitti a breve termine e che le grandi aziende possono essere una forza positiva?

Piano d’azione in sette mosse

Dopo avere individuato le cinque sfide per me sostanziali, vorrei proporre un action plan per affrontarle.

La prima azione è avvicinarsi sempre di più a consumatori e acquirenti.
Gli acquirenti riconoscono le sfide globali. Si aspettano di più dalle aziende e cambiano le regole di base. Se vogliamo costruirne la fiducia e individuare nuove modalità di crescita, è essenziale comprendere meglio i nostri clienti, impegnarli e coinvolgerli di più nelle nostre decisioni.
La seconda azione è operare con la massima trasparenza possibile.
Gli acquirenti trascorrono sempre più tempo a ricercare prodotti e aziende. Oggi, il 42% dei clienti britannici afferma di voler limitare i propri acquisti di prodotti alimentari a quelli completamente tracciabili. Vogliono conoscere ingredienti, metodi di produzione e standard etici.
Lasciare libero potere di scelta al consumatore può rivelarsi importante nell’ambito della sostenibilità e può contribuire alla differenziazione nonché a promuovere la concorrenza per qualcosa di più che non la determinazione di un giusto prezzo.
Smartphone e iPad sono un mezzo, ma siamo noi a dover fornire le informazioni. Se non lo faremo, saranno altri a farlo e le informazioni saranno al di fuori del nostro controllo.
La terza azione è continuare a migliorare l’efficienza delle risorse producendo di più ma utilizzandone di meno.
Attualmente, produrre una caloria di cibo ne richiede cinque di energia mentre un chilo di carne di manzo richiede 500 litri d’acqua. Grandezze di questo tipo, ci forniscono nuovi obiettivi di prestazione. Sapevate che il 70% dell’acqua dolce del pianeta è utilizzato nell’agricoltura?
Quindi, se non saremo noi a pensare all’efficienza idrica, chi lo farà al nostro posto?
La quarta azione è dichiarare guerra agli sprechi.
La metà del cibo prodotto a livello mondiale non viene consumato. Persino nei paesi sviluppati, un terzo viene scartato. Nel Regno Unito, due terzi degli sprechi si concentrano a livello domestico, e un terzo nella supply chain.
Forse possiamo aiutare i consumatori a sprecare una quantità inferiore di cibo a casa, ma di sicuro possiamo ridurre gli sprechi nella nostra catena produttiva.
La quinta azione è trarre vantaggio della tecnologia.
Questo decennio ha assistito a enormi progressi scientifici e tecnologici, non solo nel settore digitale ma anche nella biotecnologia, nanotecnologia e in diverse forme di eco-tecnologia. E non tutti hanno origine nei soliti paesi, tanto che quest’anno la Cina spenderà oltre 25 miliardi di dollari in R&S.
Dobbiamo quindi essere coscienti dei rischi, ma anche essere pronti a individuare nuove tecnologie in grado di fare la differenza e a investire in esse.
La sesta azione è investire nelle competenze del nostro personale.
Le nuove sfide richiedono nuove competenze. Abbiamo tutti molto da imparare e dobbiamo trovare lo spazio per farlo. Le sfide da affrontare sono complesse, difficili e fondamentali e non riusciremo a superarle con la mentalità commerciale consueta e qualche progetto speciale.
La nostra industria ha le dimensioni e le risorse necessarie per fare davvero la differenza.
Per questo non mi sento affatto scoraggiata, ma al contrario sono fiduciosa nel futuro e rassicurata dalla storia. In passato, tanto l’umanità quanto la nostra industria hanno superato sfide altrettanto grandi; possiamo farlo di nuovo.
Vorrei infine ricordare la missione di ECR, cioè lavorare insieme per soddisfare i bisogni, in modo migliore, più rapido e a costi inferiori. Tutto ciò è più importante che mai. E mi conduce all’ultimo punto, il più rilevante.

Nessuno può superare le sfide che ho evidenziato poc’anzi da solo. Non vi è persona, azienda, paese che possa farlo individualmente. Ma tutti insieme possiamo oltrepassare i confini, trovare le risposte ed estendere quest’epoca di pace, prosperità e crescita.
Quindi, facciamoci pure una concorrenza fiera e leale, ma nei casi in cui è necessario uniamoci in team e partnership forti all’interno delle aziende, tra aziende e con i consumatori.
Sono convinta che più una sfida è impegnativa, più il nostro lavoro è motivato e maggiore è la soddisfazione quando si individuano infine azioni risolutive.

*Chief Executive IGD, Londra. Sintesi dell'intervento all’ECR Europe Conference 2011