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Competitività del Paese

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Un proverbio turco recita: “Se stai annegando ti aggrappi anche a un serpente”. Non c’è dubbio che una correzione dei conti pubblici era necessaria, e quindi la manovra è stata vista da molti come un salvagente. Purtroppo, più la si guarda e più sembra un serpente. Il problema principale è che non si affronta nessun nodo strutturale, anzi alcuni provvedimenti aggraveranno la situazione.

Non si vive di sole PMI

Il settore pubblico ne esce umiliato. Passa il principio di una massa di sfaccendati di cui non ci si può sbarazzare, ma che si deve vessare. Il blocco indiscriminato degli stipendi è una pietra tombale su qualunque speranza di uno Stato efficiente e snello, con meno dipendenti pubblici, più responsabilizzati e, nel caso lo si meriti, meglio pagati (e viceversa). Sarebbe stata più coraggiosa una riduzione immediata (perché il blocco degli stipendi nominali è una riduzione di stipendio, e molto consistente) che permettesse comunque di applicare meccanismi premiali e avanzamenti di carriera per i giovani meritevoli. Ministro Brunetta, se c’è batta un colpo.

Lo stesso principio si è applicato nel caso degli enti soppressi: invece di razionalizzare, si è chiuso senza che emerga un disegno organico e senza veri risparmi, a parte quelli simbolici dei cda e presidenti, valutati da Tito Boeri e Massimo Bordignon nell’ordine dei 2 milioni l’anno. Meglio sarebbe stato individuare davvero gli enti “inutili” e mettere in atto politiche di riduzione strutturale della spesa. Dove c’era veramente materia di razionalizzazione, tipo le famigerate province o i grandi enti previdenziali Inps e Indap, non si fa niente.
Le norme per lo sviluppo sono poche e poco utili. Quelle che usano la leva fiscale sono già state commentate su queste pagine da Silvia Giannini e Cecilia Guerra.
L’articolo 43 introduce le zone a zero burocrazia per il Meridione, in deroga ai regolamenti in vigore. L’idea è sembrata così buona che il ministro del Tesoro e il presidente del Consiglio l’hanno rilanciata su larga scala: si tratterebbe di sospendere per 2-3 anni le autorizzazioni per le Pmi, le attività artigiane e la ricerca. Giulio Tremonti intende proporla in sede G20 e all’Ecofin. Peccato che, in molti paesi, l’apertura di un’attività è già un adempimento leggero, senza scomodare i Grandi della Terra, la Costituzione, la filosofia e l’etica. Il principio della deroga alla norma denota l’incapacità di correggere una legge quando non va bene. Non si capisce perché non si possa proseguire sulla strada dello sportello unico, valutandone l’esperienza e formulando i correttivi necessari. Più in generale, i confronti internazionali mostrano che in Italia i tassi di natalità sono in linea, se non superiori, con quelli degli altri paesi industrializzati. Il problema è che poi le nostre imprese non crescono. Quindi, più che barriere all’entrata, bisogna interrogarsi sulle barriere alla crescita delle imprese. Le Pmi sono importantissime, ma non si può vivere solo di piccola impresa.

Un’economia avanzata ha bisogno anche di medie e grandi aziende che facciano gli investimenti in ricerca e sviluppo, in marchi, in nuovi prodotti. E sono queste le imprese che scarseggiano in Italia. Non credo che si possa ovviare alla loro mancanza favorendo fiscalmente i distretti, come fa l’articolo 42, che ripropone quanto già stabilito dal decreto legge del 10 febbraio 2009, n. 5 sulla tassazione di distretto. La norma, che prevede il coordinamento fra le imprese per ripartire il carico tributario e un concordato preventivo con l’Agenzia delle entrate, mi sembra difficile da mettere in pratica. Sarebbe interessante fare una valutazione della sua applicazione.
L’articolo 53 introduce il “Contratto di produttività”. Data la sua indeterminatezza e dato che il sostegno fiscale è ancora da determinare, non c’è niente da commentare.

(Tratto dal sito www.lavoce.info)