Ma le formiche non crescono
l'opinione di
È tornata di moda la favola della formica e della cicala. Gli italiani sarebbero le virtuose formiche e gli americani sarebbero le cicale che hanno cantato per un’estate sola. Ecco un aneddoto che spiega perché la favola potrebbe essere falsa. Spende e si indebita chi è ottimista sul futuro, risparmia chi ha paura. Il risparmio ci ha forse preservato da guai peggiori nella crisi. Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana.
Il fatto
Sabato 18 aprile alle quattro del pomeriggio, Bruxelles, Gare Central. Sono il terz’ultimo in una fila di duecento persone in coda alla biglietteria che vende biglietti per l’estero. Spunta Brian, un americano di Seattle, che nella sua lingua va in giro a chiedere a tutti: «Qualcuno vuole dividere il costo di un autista per andare a Milano?». Alzo la mano e chiedo: «Quando andresti? Quanto costa? » Risposta di Brian: «Partiamo tra un’ora. Il costo della macchina con l’autista è 1.600 euro». Legge sulla mia faccia un «800 euro è troppo». E allora aggiunge: «Ho già un altro oltre a te. Se tu ci stai e trovo ancora un altro, mi date 250 euro a testa e io metto il resto dei 1600. Voglio tornare a casa da mia figlia e mia moglie a Seattle». Affare fatto. Il biglietto del treno per Milano sarebbe un po’ meno di 200 euro, ma chissà se c’è ancora posto quando arrivo in fondo alla coda. Torno in albergo a chiudere la borsa e fare il check-out e ritorno da Brian. Alle cinque e mezza in punto saliamo su una grossa Mercedes, guidata dal nostro autista turco Iossef, assieme a Nicola, ex-studente di scienze politiche ora alla Commissione europea, e Helena, una greca che viene a Milano come tappa intermedia verso Ancona, Patrasso e Atene. Dopo una volata notturna giù per Germania - dove l’autostrada non si paga e non ci sono limiti di velocità - e Svizzera, eccomi a casa a Milano alle tre di notte. Con la sensazione di avere vinto la lotteria. Grazie a Brian.
Brian e Giovanna
Chi è, cosa fa Brian? Fa il portfolio manager. Per conto della sua azienda, si occupa di collocare titoli di paesi emergenti presso importanti clienti istituzionali come i fondi pensione. Per lavoro si fa 250 mila miglia in un anno. Nei giorni prima dell’eruzione in Islanda era stato in Lussemburgo, Olanda e Regno Unito. È a Londra che il vulcano l’ha sorpreso. Allora ha preso un treno per Bruxelles sperando di sfuggire alla nuvola e, già che c’era, anche per incontrare qualche altro cliente. Durante la volata in Germania e Svizzera, ricarica il suo Blackberry nel quarto d’ora di una sosta in un autogrill mentre mangia una quiche. Poi, avendo capito che anche i cieli di Milano sono chiusi, sposta nuovamente la prenotazione del suo volo da lunedì a giovedì mattina. Per ora. Fino alla partenza, sarà in un albergo milanese nel suo ufficio digitale a occuparsi dei suoi clienti. Nel tempo libero, proseguirà il suo allenamento in piscina e sul tapis roulant in vista della prova da “iron man” che lo aspetta il prossimo ottobre, una prova che prevede in sequenza due miglia e mezza di nuoto, 180 chilometri in bicicletta e una maratona (sì, una maratona!). Ci tiene perché è stato così “fortunato” da essere estratto tra i 150 americani “normali” che parteciperanno alla competizione degli iron man insieme con centinaia di atleti professionisti. Uno come Brian non si fa fermare da un’eruzione vulcanica.
Nel mondo lasciato a piedi dal vulcano c’è un’altra storia che, invece, dice qualcosa sull’Italia. La figlia di Giovanna doveva andare in gita scolastica a Parigi martedì in aereo assieme alle sue compagne di scuola. Invece, tutto cancellato, a causa del vulcano. Giovanna propone agli altri genitori: andiamo in treno, per non perdere i soldi dell’albergo già pagato in anticipo. Ci voleva però il consenso di tutti. Due genitori-formichine, preoccupati di non sprecare i loro soldi e malgrado la virtuale certezza del rimborso dei soldi dell’aereo, si sono opposti. Così tutti i ragazzi perderanno i soldi della gita. E a Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Trenitalia, non rimane che da rammaricarsi perché il treno speciale organizzato in tutta fretta per far fronte alle cancellazioni aeree per Parigi non ha avuto prenotazioni sufficienti per partire.
È la paura del futuro che fa crescere poco l’Italia
Si può provare a trarre una lezione dalle storie di Brian e dei genitori italiani. Se l’America uscirà per prima dalla crisi (e lo sta già facendo), è perché gli americani non si perdono d’animo. Mai. Quando Giulio Tremonti, Marco Fortis e Joseph Stiglitz sostengono che il boom americano era figlio di un’economia di carta dimenticano di considerare che l’America non produce solo i Richard Fuld e i Lloyd Blankfein, avidi Ceo di Lehman Brothers e Goldman Sachs, ma anche e soprattutto tanti Brian che fanno 250 mila miglia all’anno per cercare affari e visitare clienti, risolvendo tutti i tipi di problemi negli alberghi di tutto il mondo. Dietro alla volontà di spesa (e al debito privato) degli americani c’è un’incrollabile fiducia nel futuro. Fiducia che, evidentemente, manca alle formichine italiane, tanto spaventate dal futuro da essere spinte addirittura a risparmiare individualmente in modo miope anche i pochi soldi di un treno, a rischio di mettere a repentaglio la gita scolastica, cioè l’investimento collettivo. Il risparmio ci avrà anche preservato da guai peggiori nella crisi. Ma è l’incrollabile ottimismo che farà ripartire la locomotiva americana, mentre è la paura del futuro a frenare la crescita dell’Italia.
(Tratto dal sito www.lavoce.info)