È positivo il contributo della GDO al buon andamento del Sistema Paese
La distribuzione moderna italiana non ci sta a passare per l’asso piglia tutto della filiera agroalimentare, per la principale responsabile degli aumenti dei prezzi dei generi alimentari, com’è stata spesso dipinta sui media dal 2008 ad oggi.
«La realtà è ben più complessa», ha detto Paolo Fregosi, consigliere delegato di ADM - associazione delle imprese della distribuzione moderna in ambito Indicod-Ecr - aprendo i lavori della Giornata ADM 2009, che si è svolta a Milano il 4 novembre scorso. «Lo testimoniano le relazioni di Nomisma sul ruolo della distribuzione moderna nel Sistema Paese, il tema che abbiamo scelto d’approfondire in questa giornata, e di Nielsen, che fa anche il punto sulla crisi». Relazioni che hanno fornito spunti per la tavola rotonda che ha chiuso la mattinata di lavori.
«Dalla nostra analisi», ha esordito Ersilia Di Tullio, responsabile area agricoltura e industria alimentare di Nomisma, «emerge che la distribuzione al dettaglio è un settore di primaria importanza nell’economia del nostro Paese. Direttamente e indirettamente tramite l’indotto, contribuisce per il 7,2% alla formazione del Pil nazionale e per il 10,2% all’occupazione complessiva. Emerge anche chiaramente che la gdo non attua fenomeni speculativi sui prezzi dei prodotti alimentari. Gli utili della filiera agroalimentare ammontano infatti soltanto al 3% del fatturato del comparto».
Anche dall’analisi del ROS e del ROI degli attori della filiera, Nomisma deduce che i margini della distribuzione moderna sono quelli che meno impattano sul prezzo finale dei prodotti alimentari. «È il gap organizzativo e strutturale delle imprese e del sistema Paese», ha proseguito Ersilia Di Tullio, «che comprime la redditività degli operatori».
La ricetta di Nomisma per superare l’empasse passa dunque per una razionalizzazione dei costi, per un ritorno ad un confronto più pacato fra gli attori e per una generale assunzione di responsabilità per la riorganizzazione della filiera
«Colpisce», ha detto Paolo Fregosi introducendo la relazione di Romolo De Camillis, retailer director di Nielsen, «il fatto che la filiera agroalimentare italiana debba sopportare costi superiori del 5,7% per trasporti e logistica, del 3,7% per l’energia rispetto a quelli sopportati dai colleghi europei».
Un gap di competitività che va assolutamente colmato. A maggior ragione in previsione del fatto che, nel 2010, gli effetti della crisi in Italia si faranno sentire con più decisione sui consumi alimentari. Consumi che fino al 2008 avevano retto, anche grazie all’effetto travaso da altri canali, dal fuori casa in primis. «L’atteso incremento della disoccupazione nel 2010», ha spiegato Romolo De Camillis, «e l’arresto del travaso dei consumi, che già si sta manifestando, si prevede determinerà un’erosione della domanda di alimentari e bevande che impatterà sulla distribuzione». Un impatto che sarà amplificato dall’andamento già deflativo dei prezzi dei generi alimentari, dal progressivo downgrading del carrello operato dal consumatore, dall’aumentata pressione promozionale (nonostante questo strumento stia dimostrando di non essere più in grado di sostenere il sell out) e dal rallentamento delle aperture di nuovi punti vendita (il mercato distributivo è ormai prossimo alla saturazione).
In tale scenario, Nielsen individua però delle opportunità per la gdo: nella private label, un importante fattore di crescita (a luglio e agosto scorsi, i due mesi in assoluto più neri per la gdo italiana, la private label non ha interrotto il suo trend di crescita) Nell’attenzione al punto vendita, la miglior leva per recuperare valore offerto al consumatore. E nel miglioramento del clima di fiducia degli italiani, un trend da cavalcare.
Nell’evidenziare come il consumatore italiano sia tuttora interessato al valore, inteso come proposta in termini di servizi, d’offerta, di valore complessivo dell’insegna, Fregosi ha passato il testimone a Cristina Alfieri, direttore di Food, e agli ospiti della tavola rotonda: Camillo De Berardinis, presidente di Conad e di ADM, Valerio Di Natale, amministratore delegato di Kraft Foods Italia, Gino Lugli, amministratore delegato di Ferrero Italia e Vincenzo Tassinari, presidente del comitato di gestione di Coop Italia, che hanno dato la loro lettura della crisi e su come affrontarla.
«La crisi sarà lunga», ha esordito Vincenzo Tassinari. «La situazione richiede un cambiamento radicale. E penso a una maggiore caratterizzazione dei nostri format e della nostra offerta soprattutto a marchio commerciale, a nuovi processi commerciali che ci rendano più efficienti, a nuovi servizi. Un’innovazione basata sulla comprensione di ciò che veramente vuole il consumatore, i cui comportamenti d’acquisto oscillano fra la ricerca di convenienza e di gratificazione. È indiscutibile, comunque, che in questo momento di difficoltà dobbiamo stare dalla parte del consumatore».
«L’impoverimento del carrello cui stiamo assistendo», gli ha fatto eco Camillo De Berardinis, «è frutto di un mix di fattori: da un lato la tendenza del consumatore a fare acquisti più ragionati e dall’altro le minori disponibilità di denaro. Nell’innovare dobbiamo quindi aver ben chiaro quali trend sono dettati dalla congiuntura e quali frutto di cambiamenti in atto del modo di consumare. E poiché mi pare assodato che il consumatore di oggi non intende rinunciare alla qualità, ma allo stesso tempo non è disponibile a pagare un sovrapprezzo per averla, siamo chiamati tutti a ricercare una maggiore efficienza all’interno della filiera».
«Non nego l’importanza della convenienza», ha ribattuto Gino Lugli, «ma per uscire vincenti dalla crisi dovremo soprattutto puntare sulla ricerca del valore che c’è ma non è percepito dal consumatore. Cosa ben più difficile che tagliare i costi».
«L’impatto della crisi sui consumi», ha osservato Valerio Di Natale, «dev’essere di stimolo alla nostra filiera per affrontare, una volta per tutte, problematiche da tempo sul tavolo. Dobbiamo smettere di contenderci vicendevolmente quel magro 3% di utili. È tempo d’attaccare il 30% d’inefficienze, di trovare il modo di farci sentire di più, di comunicare meglio i valori della marca e il contributo che le nostre aziende possono dare alla modernizzazione del Paese».
Il fatto che i tre attori della filiera agroalimentare (agricoltori, industria di trasformazione e distribuzione) debbano tornare a lavorare insieme per colmare il ritardo in fatto di modernità del nostro Paese trova d’accordo Vincenzo Tassinari. «Se la marginalità della distribuzione nel nostro Paese è di 1-2 punti più alta rispetto a quella dei colleghi dei paesi europei più avanzati», ha osservato però il presidente del comitato di gestione di Coop Italia, «dipende da fattori strutturali: da noi i punti vendita di piccole dimensioni hanno un peso maggiore. Salvo rare eccezioni, comunque, oggi la nostra marginalità è in calo. Chiediamo dunque all’industria di tenerne conto e di fare la sua parte».
Spazi d’efficientamento in gdo certo non mancano. Camillo De Berardinis ha evidenziato, per esempio, come Conad sia riuscita a contenere di 2 punti la pressione promozionale, senza per questo perdere vendite. Ma lo stesso vale per gli altri attori della filiera agroalimentare. «La sua riorganizzazione », ha detto il presidente di ADM, «è improcrastinabile. In Italia non sappiamo esportare. Da un’analisi che abbiamo condotto in ambito Coopernic, è emerso che i nostri partner in questa supercentrale europea acquistano in Spagna il 30% in più di quello che acquistano in Italia. E questo gap è colmabile soltanto rendendo la filiera più competitiva, pianificando insieme le iniziative invece di limitarci a gestire le emergenze».
«In uno scenario in cui la competitività è sempre più esasperata poiché la marginalità s’è abbassata a tal punto da creare ad alcuni operatori seri problemi di sopravvivenza», ha sottolineato Gino Lugli, «è indispensabile spostare l’attenzione del consumatore dal prezzo al valore. E per farlo servono contenuti concreti».
Nel secondo round di domande agli ospiti della tavola rotonda il direttore di Food ha richiamato l’attenzione su alcuni temi caldi del rapporto industria-distribuzione
«L’industria di marca», ha domandato Cristina Alfieri, «sarebbe disponibile ad accettare listing fee inversamente proporzionali alle performance dei prodotti a scaffale?». «La distribuzione», ha risposto Valerio Di Natale, «dovrebbe avere il coraggio di non referenziare i prodotti in cui non crede e inserire, viceversa, soltanto quelli che ritiene siano veramente innovativi. Se agisse così non ci sarebbe più necessità dei listing fee». «I listing fee però», ha ribattuto Vincenzo Tassinari, «oggi rappresentano una polizza assicurativa per noi, considerato che le vere innovazioni di prodotto sono pochissime. A ideare questa pratica, oltre 25 anni fa, è stata la stessa industria e la gdo ci ha finanziato strutture e politiche di bilancio. Per abolirla occorre una profonda trasformazione dei processi commerciali. Il che comporta dei costi. Non dico insomma che i listing fee siano ineliminabili, ma andiamo per gradi».
Quanto all’esistenza o meno di spazi per la ripresa del dialogo Idm-gdo, Gino Lugli ha auspicato che i due fronti possano ricominciare trovando una convergenza su regole condivise. «Anche in tema di tempi di pagamento», ha detto De Berardinis «servirebbero regole certe e più trasparenza. È vero che oggi alcune aziende non riescono a rispettare i termini di pagamento perché sono in difficoltà. C’è però anche chi usa il ritardo come leva competitiva».
Valerio Di Natale respinge invece al mittente l’accusa rivolta all’industria di non voler semplificare la contrattualistica. «Si è già fatto molto in questo senso», ha detto l’ad di Kraft Foods. «Occorre però essere realisti e considerare che non tutta la gdo è allineata e che alcuni interlocutori sono più moderni di altri».
«Se il nostro Paese è al 66° posto per modernità nel mondo», ha fatto autocritica VincenzoTassinari, «e se la gdo dalla panchina è ora relegata alla tribuna, è in parte anche colpa nostra. Non siamo riusciti a portare avanti unitariamente le nostre istanze con le istituzioni né a far fronte comune con gli altri attori della filiera agroalimentare e spiegare a chi ci governa quanto potremmo contribuire alla crescita del Paese». «Le istituzioni», ha convenuto Camillo De Berardinis, «non hanno effettivamente colto il grande cambiamento strutturale del commercio moderno. Guardano più ai 100 mila negozi alimentari marginali, e non tengono conto del fatto che la gdo fa il 90% del fatturato ed è oggi un importante datore di lavoro».
«Abbiamo lo stesso obiettivo: rilanciare i consumi», ha detto Riccardo Francioni, vice presidente di ADM e procuratore generale di Selex, chiudendo i lavori. «Facciamo dunque gioco di squadra con gli altri operatori della filiera agroalimentare e ritroviamo la motivazione al dialogo».
A cura di Luisa Contri